Tasse, incubo cartelle: come non pagarle, legalmente

Tutti i passaggi attraverso i quali si può fare richiesta di sospensione della riscossione al giudice

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista economico-finanziario

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

L’arrivo di una cartella esattoriale rappresenta una circostanza complicata per chiunque. Se il debito con il Fisco non viene saldato entro 60 giorni l’Agenzia delle Entrate-Riscossione può procedere al pignoramento dei beni senza dovere passare dal tribunale. La semplice opposizione non è sufficiente a bloccare la pratica e per far sì che arrivi la sospensione da parte del giudice bisogna fare esplicita richiesta nell’atto di ricorso, attraverso una serie di passaggi.

Tasse, incubo cartelle: a cosa fare attenzione

Oltre ai giudizi di merito sullo storico di ogni contribuente, che sono relativi da caso a caso, per impugnare la cartella esattoriale è opportuno tenere in considerazione la presenza di eventuali vizi di forma, che si riferiscono alla compilazione della cartella e possono determinare la nullità dell’atto solo se sono di gravità tale da non consentire al contribuente di difendersi, e di vizi di sostanza.

Una volta arrivata la cartella esattoriale non è più possibile contestare né la legittimità né l’ammontare dell’imposta, perché eventuali errori possono essere contestati solo al momento dell’avviso di pagamento.

Per questo l’unico modo di opporsi rimane controllare l’esistenza di possibili errori di compilazione o notifica, che possono essere rappresentati dai vizi di forma. Ecco alcuni dei più tipici:

  • Nella cartella deve risultare l’imposta a cui si riferisce o la sentenza di condanna.
  • Deve essere indicare il responsabile del procedimento.
  • Devono essere specificati i criteri di calcolo degli interessi, che devono essere analiticamente indicati per ciascun anno, in modo che il contribuente possa verificare che gli stessi siano stati conteggiati correttamente. 

Altri classici “vizi” sono quelli di sostanza, come:

  • la mancata notifica del precedente atto di accertamento, senza la quale il contribuente non può difendersi
  • l’emissione della cartella nonostante il debito sia stato già saldato
  • l’avvenuta prescrizione del debito con l’amministrazione, che per tutti i tributi dovuti allo Stato (Iva, Irpef, Irap, Ires, canone Rai, imposta di registro, ecc.) è di 10 anni, di 5 per quelli dovuti alle Regioni e ai Comuni (Tari, Imu, ecc.) e di 3 anni per il bollo auto. La prescrizione però è sempre di 10 anni se il credito fatto valere dall’amministrazione è basato su una sentenza.

Caso particolare è quello in cui la cartella non venga correttamente notificata, quando ad esempio non è spedita o viene portata dal postino a un indirizzo sbagliato.

In queste situazioni la contestazione dimostrerebbe che il contribuente è venuto a conoscenza dell’atto.

Altro tipico vizio di notifica si verifica quando il contribuente non è reperibile: la Cassazione ha stabilito che, prima di depositare l’atto presso il Comune o l’ufficio postale, l’addetto alla notifica deve dimostrare di aver effettuato ricerche sul luogo, prendendo informazioni dai presenti circa il possibile indirizzo di residenza del destinatario.

In ogni caso l’Agente per la riscossione ha l’obbligo di conservare la copia della cartella di pagamento anche se la notifica è avvenuta tramite raccomandata postale.

Come procedere

Nel momento in cui si prende visione della cartella è necessario verificare la data in cui si è ricevuta la cartella, momento dal quale decorrono i 60 giorni per fare ricorso.

Se la cartella è stata ritirata all’ufficio postale o al Comune, il termine decorre dal giorno del ritiro, sempre che sia entro i 10 giorni dal rilascio dell’avviso di giacenza. In caso contrario, l’arco di tempo all’interno del quale ci si può opporre alla cartella ha effetto comunque a partire dall’undicesimo giorno.

Tra le prime cose da fare prima di opporsi è accertarsi di qual è il giudice competente:

  • se la cartella si riferisce al mancato pagamento di imposte (ad esempio Imu, Tari, Iva, Irpef, Canone Rai, bollo auto, addizionali, ecc.) bisogna rivolgersi alla Commissione Tributaria Provinciale, il giudice cioè competente per tutta la materia fiscale.
  • se la cartella è relativa invece a multe stradali, sanzioni amministrative (ad esempio quelle relative a un protesto) o al canone dell’acqua domestica la competenza è del Giudice di Pace.
  • se infine la cartella si riferisce all’omesso versamento di contributi all’Inps o all’Inail, il ricorso va presentato dinanzi al Tribunale ordinario, sezione lavoro.

Per il ricorso è bene rivolgersi a un avvocato o in caso di competenza della Commissione tributaria, anche ad un commercialista o un ragioniere, ma è possibile difendersi da soli se la controversia non supera 1.100 euro se si tratta di competenza dinanzi al Giudice di Pace o 3mila euro se si tratta della Commissione Tributaria.

In generale quando la cartella non supera 20mila euro, prima del ricorso alla Commissione Tributaria bisogna avviare la cosiddetta mediazione tributaria.