Gli stipendi aumentano dell’1,6% nel 2023, ma non reggono il passo dell’inflazione

Gli stipendi aumentano dell'1,6% nel 2023, ma non reggono il passo dell'inflazione e le aziende cercano ancora 500mila lavoratori

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Redazione

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I dati Istat sull’occupazione per il 2023 rivelano anche quale sia la situazione dal lato delle aziende italiane. Crescono le posizioni lavorative, soprattutto nel settore dei servizi, ma rimangono invariate quelle vacanti, un grosso problema per il nostro Paese conosciuto come mismatch.

Cresca anche il costo del lavoro, dovuto anche a un aumento delle retribuzioni che però da una parte rallenta rispetto al risultato straordinario del 2022, dall’altro non tiene il passo dell’inflazione fermandosi a un +1,6%. Aumentano le ore lavorate, soprattutto per i dipendenti, ma anche la cassa integrazione.

Più posizioni lavorative ma stessi posti vacanti: il lavoro in Italia visto dalle industrie

I livelli record dell’occupazione nel 2023 hanno avuto un impatto significativo anche dal lato della domanda di lavoro, quella delle industrie e dei settori produttivi italiani. Nel 2023 in media le posizione lavorative per i dipendenti sono aumentate del 2,9%, con importanti variazioni all’interno dei vari segmenti dell’economia del nostro Paese. Il ritmo è leggermente ridotto rispetto a quello del 2022, che risentiva però ancora in parte della fine della pandemia.

Significativa ma più bassa della media la crescita della domanda di lavoro nell’industria, che fa segnare un +2,4%. A trascinare il numero di posizioni lavorative messe a disposizione sono i servizi, con un +3,2%. In particolare risalto il risultato di settori strettamente legati al turismo, come la ristorazione e l’accoglienza, che aumentano del 6%. Anche le nuove tecnologie però richiedono un gran numero di lavoratori, con una crescita del 4,4%.

Per quanto riguarda i posti di lavoro cercati, si tratta principalmente di posizioni a tempo pieno, con il part time che ha una crescita quasi nulla nell’industria. Il tempo parziale mantiene invece significativo nei servizi, ma comunque molto minore come fattore di crescita rispetto alla giornata intera. In totale, il part time rappresenta meno di un terzo dei contratti da dipendenti stipulati in Italia.

Non tutte queste posizioni vengono però coperte. Il tasso di posti vacanti rimane al 2,2%, in leggerissimo aumento rispetto al 2022. Ci sono circa 500mila posti vacanti in Italia, un fenomeno strano per un Pese con una forte crescita dell’occupazione. Solitamente gli economisti prevedono che il mercato del lavoro regoli questi scompensi con l’aumento degli stipendi, ma nel nostro Paese questo non succede.

Le ragioni sono per lo più dovute alla demografia dell’Italia, con la crisi delle nascite che continua da quasi 30 anni e ha comportato un invecchiamento molto grave della popolazione lavorativa che quindi non può coprire il fabbisogno delle aziende. In parte la situazione è dovuta anche alle politiche migratorie e alla bassa competitività degli stipendi offerti dalle aziende italiane rispetto a quelle estere.

Retribuzioni in aumento ma costo del lavoro sempre più alto

Aumenta per le aziende anche il costo del lavoro nel 2023. Rispetto all’anno precedente ogni impresa spende in media il 3,2% in più per assumere un dipende. In questo caso servizi e settori produttivi sono all’incirca agli stessi livelli di crescita. Pesano su questo dato gli oneri sociali, che crescono in media del 3,9% più nei servizi che nel secondario.

Inferiore invece il peso delle retribuzioni. Nel 2023 gli stipendi degli italiani sono aumentati dell’1,6%, molto meno che nell’anno precedente, quando invece erano saliti del 3%. Il 2022 però è stato anche l’anno degli arretrati per i rinnovi della pubblica amministrazione, quindi i dati sono parzialmente alterati da questa congiuntura.

I migliori settori sono quello industriale, dove l’aumento delle retribuzioni è stato del 3,3%, e quello dei servizi di mercato, dove si è attestato attorno al 2,6%. Nemmeno in questi casi però queste dinamiche ricalcano l’inflazione, che ha quindi eroso parzialmente il potere d’acquisto degli italiani, attestandosi lo scorso anno al 5,1% per il dato di fondo in crescita del 3,3% sul 2022.