Quali sono i limiti al lavoro festivo? Il dipendente può unilateralmente scegliere di assentarsi nei giorni di festività infrasettimanali presenti in calendario? Oppure deve sempre attenersi a un precedente accordo che preveda la disponibilità a lavorare anche in giornate altrimenti dedicate al riposo? Su queste questioni è tornata a esprimersi la Corte di Cassazione, con la decisione 21864/2025, che ribadisce un costante orientamento in materia.
Vediamo insieme che cosa è stato chiarito dai giudici e spieghiamo a cosa tutti i lavoratori debbono fare attenzione, in base al contratto che hanno.
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La violazione del dipendente, la sua tesi difensiva e la versione dell’azienda
A seguito di un procedimento disciplinare avviato nei suoi confronti, un dipendente di una società di telecomunicazioni era stato sanzionato per essersi assentato durante due festività infrasettimanali. L’uomo non si era recato in ufficio sia il 26 dicembre (Santo Stefano) che il successivo 6 gennaio (Epifania). La sua iniziativa unilaterale non fu gradita dall’azienda, che nei suoi confronti dispose infatti la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per due giorni.
Ne seguì una disputa giudiziaria che arrivò fino in Cassazione. La tesi difensiva del dipendente, che pur riconobbe di non aver lavorato in quei due giorni, ruotava sostanzialmente su due elementi chiave. Non c’era alcun obbligo normativo di lavorare, perché lo negava una costante giurisprudenza che si pronunciava sulle leggi 260/1949 e 90/1954 sulle ricorrenze festive, e perché nella stessa direzione spingeva l’art. 30 del Ccnl Imprese Servizi di Telecomunicazioni, applicabile al rapporto e disciplinante il lavoro supplementare, straordinario, notturno e festivo.
Secondo l’uomo, c’era quello che in gergo si chiama diritto soggettivo di astenersi dal lavoro, in occasione delle festività infrasettimanali. Un diritto al riposo che rendeva illegale la sanzione inflitta. Per questo il dipendente l’aveva impugnata in tribunale, chiedendo che venisse dichiarata nulla con condanna della società datrice alla restituzione delle somme trattenute in busta paga (che è preferibile saper leggere).
L’azienda, al contrario, sosteneva che il lavoratore fosse comunque tenuto a recarsi in ufficio in base al contratto individuale. Il suo testo infatti disponeva un impiego part-time come turnista, con turni organizzati su 7 giorni la settimana e 24 ore al giorno, in base a uno schema di turnazione specifico che era stato accettato al momento della firma.
Il cammino giudiziario in primo e secondo grado
Ricostruendo in estrema sintesi le varie tappe della disputa, in primo grado il giudice del lavoro diede ragione al dipendente, riconoscendogli il valore del menzionato diritto soggettivo al riposo nei giorni di festività infrasettimanale, al di là della presenza di una clausola di turnazione.
La contesa andò avanti e, con una differente lettura nel merito, il giudice d’appello diede invece ragione all’azienda. Affermò infatti che la clausola contrattuale, a cui il dipendente diede l’ok all’inizio del rapporto:
- era precisa e dettagliata e prevedeva una prestazione lavorativa a copertura di tutti i sette giorni della settimana;
- conseguentemente, dall’accettazione si traeva la volontà di ambo le parti di di comprendere anche i giorni festivi tra quelli su cui c’era obbligo lavorativo.
Ecco perché, secondo il giudice di secondo grado, l’accordo individuale rendeva legale la conseguente sanzione per l’assenza ingiustificata.
La Cassazione conferma la sanzione per non aver lavorato nelle feste infrasettimanali
La Suprema Corte ha ritenuto corretto il ragionamento logico-giuridico del precedente giudice e ha – quindi -respinto il ricorso dell’uomo. In particolare, i giudici di piazza Cavour hanno ulteriormente precisato che il diritto al riposo non è solo soggettivo, ma è giuridicamente disponibile. Quindi, in riferimento al lavoro festivo, può essere oggetto di rinuncia tramite accordo (individuale con l’azienda o sindacale).
Non solo. Questo accordo tra le parti del rapporto, in merito a un contratto che include un’organizzazione a turni a copertura continua della settimana (24/7), è del tutto valido e prevale su differenti successive scelte del dipendente, perché è sufficiente a far dedurre il suo consenso a obbligarsi a lavorare anche nelle feste infrasettimanali. Parallelamente, la clausola legittima la richiesta del datore.
Ricapitolando, a differenza del riposo settimanale (di solito la domenica) – diritto irrinunciabile e sancito dalla Costituzione – il dipendente può scegliere di rinunciare al riposo nelle altre festività. In questo caso, lo aveva fatto firmando il contratto e, conseguentemente, la sanzione doveva ritenersi giustificata.
Che cosa cambia
Quella sulle assenze dal lavoro – più o meno giustificate – è sempre una materia calda, come testimoniano tra l’altro le moltissime sentenze in tema di ferie (ad es. quella recente sulle ferie al posto dei permessi 104). La recente decisione della Cassazione ha ribadito che il diritto di astenersi dal lavoro nelle feste infrasettimanali è disponibile, cioè il lavoratore può rinunciarvi tramite un accordo individuale (o sindacale) chiaro, trasparente e preciso, che – con apposita clausola – esprima in modo esplicito la volontà di derogare al diritto generale al riposo festivo. Di conseguenza, il datore non può imporre unilateralmente la prestazione nei giorni di festa, se non è stato firmato un patto in tal senso.
In pratica, questo significa che se ad es. un dipendente di supermercato con turni su 7 giorni la settimana sottoscrive un contratto che include anche le festività infrasettimanali, non potrà poi rifiutarsi di lavorare a Santo Stefano o all’Epifania: un’assenza in quei giorni, pur tipiche festività civile o religiose in base al calendario ordinario, può legittimamente portare a una sanzione. Al contrario, in un ufficio con orario standard dal lunedì al venerdì, dove non è prevista alcuna clausola sul lavoro festivo, il datore non potrà chiedere ai dipendenti di presentarsi il 2 giugno o il 15 agosto: l’assenza in quelle date resta pienamente giustificata.