In ufficio una banale distrazione o un momento di stanchezza, imprudenza e scarsa lucidità possono costare cari. Un incidente, improvviso e doloroso, è in grado di segnare in negativo una giornata altrimenti tranquilla. In circostanze come quelle dell’infortunio sul lavoro, il datore potrebbe essere chiamato a rispondere dei danni, anche se convinto di non essere minimamente coinvolto.
Lo ha recentemente ricordato la Corte di Cassazione con la sentenza 21714/2025, che appare di monito per tutti i datori di lavoro. Vediamo allora la vicenda in sintesi e le indicazioni generali che offre.
Indice
L’incidente durante l’esercizio delle mansioni contrattuali
Non l’utilizzo di sostanze potenzialmente nocive o di impalcature per svolgere lavori di edilizia, ma una semplice caduta da una sedia ha condotto a una disputa giudiziaria tra una Oss e il proprio datore.
L’incidente era originato da una prassi poco “ortodossa” del luogo di lavoro, quella di salire sulle sedie per svolgere le mansioni, invece che usare le scale portatili.
Non riuscendo a raggiungere uno scatolone collocato su un pensile della cucina del reparto a cui era addetta, la lavoratrice ospedaliera – che stava preparando i pasti per i degenti – era salita su una sedia girevole. Ma, come ricostruito in corso di causa, la donna aveva perso l’equilibrio, cadendo e subendo un infortunio sul lavoro, certificato da Inail.
Come non di rado accade nelle controversie che hanno a oggetto lesioni da infortunio sul lavoro (da tener ben distinto dalla malattia professionale) e relativa contestazione di una responsabilità per danni dell’azienda, l’iter in tribunale non è stato lineare.
A un primo grado favorevole alla donna, è seguito infatti un appello di segno opposto e poi il provvedimento dei giudici di piazza Cavour che, in definitiva, hanno riconosciuto le ragioni dell’Oss. Si noti, peraltro, che la donna risultava già destinataria dell’equo indennizzo, una prestazione economica di natura indennitaria e versata a fronte di lesioni legate a causa di servizio.
Via al risarcimento danni da parte del datore
Con la sentenza 21714/2025 la Corte di Cassazione ha spiegato che, in tema di sicurezza, l’azienda non può lasciare che i lavoratori agiscano in discrezionalità, gestendo i rischi con piena libertà di scelta.
Altrimenti, può essere chiamata a rispondere in via risarcitoria per grave negligenza e violazione degli obblighi di sicurezza.
In sostanza, il datore deve vigilare in modo costante e attivo, assicurandosi che ogni mansione sia svolta nel rispetto di tutte le procedure di sicurezza, compreso l’utilizzo di scale girevoli.
Perciò, in aderenza al d. lgs. 81/2008 e all’art. 2087 del Codice Civile sulla tutela delle condizioni di lavoro, l’obbligo del datore è duplice, in quanto egli deve:
- dotare il personale dei dispositivi o strumenti di sicurezza;
- controllare che siano utilizzati, il loro corretto uso e l’effettivo rispetto di ogni regola atta a prevenire incidenti e infortuni.
Per questo i giudici di piazza Cavour hanno deciso di annullare la sentenza di secondo grado, ritenendo il datore responsabile per colpa grave. Sono stati i fatti di causa, e il ragionamento logico-giuridico che li ricostruiva e valutava, a spingere la Suprema Corte verso questo esito.
Il ruolo chiave dell’istruttoria e delle prove
L’istruttoria è stata decisiva. Se è vero che nel reparto erano presenti due scale portatili, è altrettanto vero che, nella prassi quotidiana, nessuna di esse veniva utilizzata per le mansioni in cucina, perché in quest’ultima non ne era stata inserita una.
In breve, anche per risparmiare tempo, le operatrici socio-sanitarie erano solite arrangiarsi come meglio potevano, utilizzando le sedie al posto delle scale portatili. Un’imprudenza “lasciata correre” che è costata cara al datore di lavoro, determinando la sua responsabilità per danni da scarsa organizzazione.
In particolare, a inchiodare quest’ultimo è stato il contributo della donna, che ha dimostrato:
- di aver subito un infortunio;
- la pericolosità dell’ambiente di lavoro (in questo caso la mancanza di una scala dedicata per raggiungere oggetti nella cucina del reparto);
- il rapporto di collegamento tra detto rischio e il danno alla salute.
Innanzi a questa ricostruzione, per il datore è stato impossibile dare la prova opposta, cioè di aver adottato tutte le cautele possibili per prevenire l’incidente.
Ecco perché, in proposito, la Corte (Cass., Sez. L, n. 6984 del 16 marzo 2025) ha ribadito che:
incombe, per converso, sulla parte datoriale l’onere di provare l’inesistenza della condizione di pericolo oppure di avere predisposto tutte le misure atte a neutralizzare o ridurre, al minimo tecnicamente possibile, i rischi esistenti.
Inoltre, sottolinea la Cassazione, non può essere essere motivo di esonero totale da responsabilità, come riporta un’altra sentenza (Cass., Sez. L, n. 2209 del 4 febbraio 2016):
l’eventuale concorso di colpa di altri dipendenti, se non quando la loro condotta rappresenti la causa esclusiva dell’evento.
Che cosa cambia
La sentenza della Cassazione ha rimarcato che, anche qualora il dipendente compia un gesto maldestro, imprudente o poco avveduto, facendosi male, il datore di lavoro non è esonerato da possibili responsabilità.
Anzi, è egli è tenuto a pagare i danni se viene provata la sua insufficiente vigilanza e attenzione all’incolumità dei dipendenti.
Infatti, l’azienda non deve soltanto indicare una procedura di sicurezza, redigere il Dvr e fornire i Dpi e tutti gli strumenti o attrezzature utili a evitare danni alla salute, ma anche impegnarsi quotidianamente nel reprimere ogni possibile rischio.
Recentemente, ad esempio, un datore è stato condannato al risarcimento per non aver impartito la formazione in apprendistato.
In breve, se l’azienda non riduce, nei limiti del possibile, i pericoli alla salute e sicurezza, derivanti dall’esercizio delle mansioni in contratto, sarà chiamata a rispondere e risarcire i danni di un infortunio sul lavoro.
Lo stesso principio è applicabile, ad esempio, nei casi in cui un magazziniere che, invece di usare il transpallet previsto, decide di trasportare a mano un carico eccessivo, oppure quando un operaio, pur avendo a disposizione un’imbracatura, sceglie di lavorare in quota senza indossarla.
In entrambe le ipotesi, i giudici sono concordi nel ribadire che il datore risponde comunque se non ha vigilato attivamente per impedire comportamenti pericolosi.
Concludendo, il datore avrebbe potuto salvarsi dalla responsabilità provando la presenza di un rischio elettivo, ossia quella situazione in cui il lavoratore, per scelta volontaria e arbitraria, si espone a un pericolo totalmente estraneo alle mansioni o alle necessità di lavoro, interrompendo così il nesso tra attività lavorativa e infortunio (tra l’altro non indennizzabile da Inail). Ma non era questa, chiaramente, la situazione.