La disoccupazione cala davvero? Aumenta il lavoro fragile e povero

I nuovi dati Istat su occupazione e inattività mostrano un mercato del lavoro in stallo, con crescita nei contratti stabili ma anche nei lavoratori vulnerabili e nei giovani inattivi

Foto di Giorgia Bonamoneta

Giorgia Bonamoneta

Giornalista

Nata ad Anzio, dopo la laurea in Editoria e Scrittura e un periodo in Belgio, ha iniziato a scrivere di attualità, geopolitica, lavoro e giovani.

Pubblicato: 3 Giugno 2025 17:41

Secondo i dati Istat, ad aprile il tasso di disoccupazione in Italia è calato al 5,9%, con una diminuzione di 0,2 punti rispetto al mese precedente. La disoccupazione giovanile scende al 19,2%, ma il tasso di inattività, cioè la quota di persone che non studiano né lavorano e non cercano un impiego, sale al 33,2%. Si delinea così un fenomeno più complesso dietro l’apparente miglioramento del mercato del lavoro.

Il calo dei disoccupati riguarda tutte le fasce d’età tranne quella tra i 25 e i 34 anni, dove il numero resta stabile. Allo stesso tempo, crescono gli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+39mila unità), mentre il numero complessivo di occupati è sostanzialmente fermo. I dati Istat ci mostrano quindi una realtà poco raccontata, ovvero che non basta registrare meno disoccupazione per parlare di reale crescita occupazionale, soprattutto in un contesto segnato da lavoro povero, bassa produttività e una fuga di giovani laureati e laureate.

Disoccupazione in calo, ma crescono gli inattivi

Secondo i dati provvisori di Istat, il tasso di disoccupazione ad aprile 2025 è calato di 0,2 punti. Un calo che viene rivenduto come un successo, ma che nasconde diversi fattori critici. Infatti, se cala la disoccupazione (rispetto ad aprile 2024), c’è da sottolineare che cresce anche il tasso di inattività, ora al 33,2%.

Ad aprile il numero delle persone in cerca di lavoro è calato di 48.000 unità, in maniera simile tra donne e uomini, a eccezione della fascia d’età tra i 25 e i 34 anni. Per questa infatti il dato di disoccupazione è sostanzialmente stabile, dopo la crescita di marzo 2025.

Il dato di inattività, ovvero chi non studia e non cerca attivamente lavoro, invece cresce tra i 15 e i 64 anni (+39.000 unità). Sono coinvolti uomini e donne, tranne che tra i 25 e i 34 anni, dove il dato è in calo.

In altre parole, rispetto ad aprile 2024 è diminuito il numero di persone che cercano lavoro (-209.000 unità), ma è cresciuto il numero di inattivi (+14.000 unità). A conti fatti, quindi, il numero di occupati è stabile rispetto a marzo 2025 con 24.200.000 unità.

Occupazione stabile ma fragile

Il tasso di occupazione è quindi stabile al 62,7%. Nel confronto tra il 2024 e il 2025 è sì possibile vedere una crescita di +282.000 unità, che è la sintesi dell’aumento dei dipendenti permanenti (+2,2%) e degli autonomi (+2,2%), ma anche del calo dei dipendenti a termine (-6,1%).

Quello che i dati puramente numerici non raccontano è che l’occupazione è cresciuta nei settori a bassa produttività. Negli ultimi 20 anni, il numero degli occupati è aumentato (in linea con Francia e Germania), ma si tratta di attività di servizio a basso contenuto tecnologico e ad alta intensità di lavoro.

Per questo il Pil per occupato in Italia si è ridotto del 5,8%, mentre in altri Paesi come Francia, Germania e Spagna è invece cresciuto dell’11-12%. A condizionare i dati è anche la questione salariale. Lo stipendio, ormai è argomento noto e dibattuto, se non è del tutto fermo negli ultimi trent’anni, sicuramente non è cresciuto al pari con il costo della vita.

Lavoro fragile e povero

Si può quindi parlare di aumento dell’occupazione, ma c’è da considerare la qualità di questa occupazione. Una grossa fetta dei lavoratori e delle lavoratrici continua a essere in una condizione di fragilità e vulnerabilità, data da stipendi non adeguati, un lavoro che non permette la crescita professionale e una serie di altre tutele mancanti o deboli da parte dello Stato.

Basti pensare a come un terzo dei giovani under 35 e un quarto delle donne lavorino in forma di vulnerabilità occupazionale. Questo vuol dire che hanno un contratto a termine o un part-time involontario. Se la condizione di occupazione li esclude dal calcolo dell’inattività e della disoccupazione, non li esclude però dall’elenco dei soggetti a rischio di povertà relativa, lavoro povero e instabilità economica. Senza contare che il lavoro povero di oggi diventa incapacità di avere un’adeguata pensione in futuro.

Basti vedere come:

  • il 28,1% dei giovani under 35 lavora a tempo determinato;
  • il 5,9% ha un lavoro a termine con part-time involontario;
  • il 13,7% delle donne lavora con part-time involontario;
  • il 4,3% anche con contratto a tempo determinato.

“Occupazione” quindi non vuol dire per forza avere una buona occupazione.

Italia sempre più vecchia: la fuga dei giovani

In Italia c’è anche un altro problema, quello demografico. Anche in questo caso, però, la fotografia non è a fuoco. Negli ultimi anni infatti si è registrata una fuga di giovani laureati e laureate da “record”. Rispetto al 2022, per esempio, c’è stato un aumento del +21,2%. I rientri, incentivati in maniera troppo blanda, sono stati -4,1% nello stesso periodo. In questo modo, il bilancio è a perdere e a perdersi sono le risorse qualificate (97.000 in 10 anni).

Un dato che diventa evidente nel caso di richieste di competenze tecnologiche e informatiche. Per quanto ci siano sempre più specialisti ed esperti, in Italia c’è un deficit di personale qualificato. Questo ricade sulla gestione dal piccolo al grande, dal Comune agli uffici pubblici più importanti.

Quindi sì, forse si può dire che la disoccupazione è in calo (sempre nei limiti dei dati provvisori prodotti da Istat e relativi al confronto con il 2024), ma è bene concedersi il dubbio di fronte a simili notizie. Dietro spesso si nasconde, come in questo caso, un mercato del lavoro stagnante, dove vengono riconfermati i numeri dell’occupazione, che però non cresce. A crescere, invece, è l’inattività: cioè l’assenza di interesse sia nello studiare, che nell’aggiornarsi, oltre che nella ricerca del lavoro.