Malattia e piano bar, la Cassazione salva il dipendente: cantare aiuta a guarire

Con una ordinanza di qualche settimana fa, la Suprema Corte ha ribadito che - in malattia - le attività personali e ricreative non sono automaticamente incompatibili con la guarigione

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Pubblicato: 31 Dicembre 2024 20:00

La giurisprudenza più volte ha tracciato i confini da non superare, quando si svolgono attività in malattia. Il lavoratore fermo per problemi di salute non è obbligato a stare a letto tutto il giorno, ma è pur vero che dovrà comportarsi in modo compatibile con il recupero della propria salute, con il percorso di guarigione e con le prescrizioni del dottore.

In un caso recentemente finito in Cassazione, i giudici hanno confermato il precedente esito del giudizio dichiarando illegittimo il licenziamento inflitto ad un lavoratore subordinato, che si era messo in malattia ma che era stato scoperto a cantare al piano bar.

Quella contenuta nell’ordinanza n. 30722/2024 è una decisione all’apparenza sorprendente, ma che ha una motivazione ben precisa e che ora vedremo da vicino.

La vicenda e la disputa tra azienda e dipendente ansioso

Da quanto emerso in aula, un dipendente di un’azienda dei trasporti laziale aveva deciso di prendersi un periodo di stop dal lavoro, per risolvere il problema rappresentato da una forma di ansia e depressione, che ormai da tempo ne condizionava la giornata lavorativa.

Ciò che nel 2020 portò il datore di lavoro a licenziarlo per giusta causa fu la scoperta del suo hobby da parte degli investigatori aziendali: il piano bar con intrattenimento canoro era infatti stato considerato non compatibile con la malattia – e con il relativo certificato presentato al datore – tanto da spingere quest’ultimo a chiudere il rapporto per motivi disciplinari.

In altre parole, pur non costituendo un secondo lavoro – l’attività non era retribuita – l’azienda ha ritenuto che il comportamento del dipendente fosse contrario all’attestazione del problema di salute e, soprattutto, ai principi di correttezza e buona fede contrattuale, conseguendone inevitabilmente la rottura del legame di fiducia con lui.

Secondo il datore di lavoro il dipendente aveva infatti mentito sulle sue reali condizioni sanitarie, affermando di stare peggio di quanto non stesse realmente. E non era bastato presentare un certificato di malattia per far cambiare idea all’azienda.

L’uomo aveva scelto di impugnare il recesso innanzi al tribunale di Roma, che poi accolse le sue richieste dichiarando illegittimo il provvedimento di licenziamento e condannando il datore a reintegrarlo nel posto di lavoro e a pagargli un’indennità risarcitoria di poco superiore ai 2mila euro.

In appello il lavoratore ottenne una nuova sentenza favorevole da parte del giudice, che ribadì l’infondatezza e illegittimità del recesso nei suoi confronti. Cantare aiuta a guarire e, in riferimento allo specifico problema di salute dell’uomo, a superare la forma di ansia e depressione (più frequente nel periodo delle festività natalizie) che lo aveva colpito.

La decisione della Cassazione e la sproporzione tra attività e licenziamento

Contro la sentenza della corte d’appello di Roma l’azienda fece ricorso in Cassazione, ma questo ulteriore grado di giudizio non servì a ribaltare l’esito della controversia. I giudici di piazza Cavour infatti hanno sostanzialmente confermato la precedente decisione e, quindi, il ragionamento dei giudici. L’attività canora era benefica, giovava all’umore e riduceva lo stato di agitazione in cui l’uomo si era trovato nei mesi anteriori allo stop per malattia.

Ecco perché la Suprema Corte fece proprie le parole nella sentenza del secondo grado, per cui:

avendo riguardo alla patologia da cui era affetto il lavoratore (ansia), l’impegno in attività ricreative non configurava in sé un comportamento incompatibile con la dichiarata condizione depressiva, anzi poteva giovare alla guarigione.

Sia in primo che in secondo grado, i giudici avevano così concluso per la non incompatibilità tra attività canora e musicale del dipendente e ripresa del lavoro post guarigione. E questo perché – sottolinea la Cassazione – l’azienda non era stata in grado di dare la prova della dannosità dell’attività ricreativa, rispetto ad una rapida e completa guarigione psico-fisica.

In aula il datore di lavoro aveva infatti semplicemente obiettato che:

l’avere trascorso una intera giornata fuori casa per avere partecipato ad una serata musicale quale cantante di piano bar mal avrebbe reagito con la sindrome di ansia di cui il dipendente era affetto, senza però fornire alcun riscontro obiettivo, di qualsivoglia natura.

Inoltre, l’attività di intrattenimento fu svolta – come emerso nei fatti di causa – per una sola serata. Troppo poco, a detta della Cassazione, per costituire una violazione maggiore di un inadempimento lieve. Conseguentemente la Suprema Corte confermò l’esito del giudizio d’appello, ritenendo sproporzionato il licenziamento.

Che cosa cambia

La magistratura con sede in piazza Cavour ha convalidato la decisione dei giudici di merito, che avevano ordinato il reintegro del dipendente e riconosciuto un’indennità risarcitoria. La sentenza della Cassazione è inoltre importante in chiave generale perché ha stabilito che:

  • il dipendente munito di certificato medico può svolgere attività personali e ricreative, pur rispettando le fasce orarie di reperibilità per consentire la visita fiscale;
  • l’azienda può tutelarsi contro eventuali rischi di abuso del suo dipendente, se dimostra che l’attività durante lo stato di malattia è incompatibile con la patologia, con la guarigione psico-fisica e con il rientro in servizio.

Ogni situazione concreta è diversa dalle altre e, ad esempio, se la malattia impone riposo sarà da ritenersi vietato svolgere attività impegnative sul piano fisico. Se un dipendente in malattia per un problema alla schiena, viene “pizzicato” mentre gioca a calcetto, sicuramente si esporrà alle conseguenze disciplinari e a un licenziamento confermabile in tribunale. Analogamente, anche lavorare per terzi – durante lo stato di malattia – può essere considerato un abuso e portare al troncamento del rapporto di lavoro.

Viceversa dalla giurisprudenza sono ammesse le brevi passeggiate – specialmente se raccomandate dal medico curante – o le uscite per necessità personali (come l’acquisto di cibo, bevande o farmaci), a patto che siano compatibili con lo stato di salute. Attenzione però: per evitare altri rischi di ambito disciplinare,  il dipendente il malattia farà bene a non compiere attività che possano interferire con gli orari di reperibilità per le visite fiscali.

Concludendo, il malato ha diritto di svolgere attività personali, a patto che non compromettano il percorso di guarigione o si rivelino incompatibili con la diagnosi del dottore.