Come funzionava il blocco licenziamenti e fin quando era valido

Scopri cos'è e chi riguardava il blocco licenziamenti: tutte le informazioni utili

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Alessandro Speziali

Esperto di Economia

Dopo la laurea triennale in Economia e Gestione Aziendale, durante gli studi magistrali vola all'Università della California dove ha modo di studiare la finanza da un punto di vista internazionale.

Il Decreto Fiscale 2022 pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 21 ottobre ha disposto un’ulteriore proroga della Cassa integrazione Covid, stabilendo il blocco dei licenziamenti dei lavoratori in tutte le aziende che richiedono la Cig. La misura è stata introdotta per preservare i posti di lavoro in un periodo di difficoltà economica per il Paese.

Cassa integrazione e blocco licenziamenti sono i temi su cui lo scontro tra sindacati e associazioni di imprenditori è più acceso. Vediamo in cosa consisteva e quali erano le novità previsti dalla Legge di Bilancio.

Blocco licenziamenti: come funzionava

Il datore di lavoro che aveva più di 15 dipendenti e che intendeva licenziare un lavoratore assunto precedentemente al 7 marzo 2015, per motivi economici e organizzativi, doveva inviare una comunicazione all’Ispettorato territoriale del lavoro in cui dichiarava l’intenzione di procedere al licenziamento e i motivi che lo spingevano a farlo.

A quel punto, l’ispettorato convocava le parti per provare a risolvere la controversia e, se non ci riusciva, il lavoratore poteva essere licenziato.

Il blocco dei licenziamenti era stato introdotto il 17 marzo 2020 con l’articolo 41 del DL/18 2020 “Decreto Cura Italia“, per ragioni straordinarie ed eccezionali in merito alle misure adottate per fronteggiare l’emergenza Covid. Il fine era quello di preservare il livello occupazionale, vietando di procedere a licenziamenti giustificati da motivo oggettivo.

Ai datori di lavoro era fatto divieto di intraprendere procedure volte all’individuazione di lavoratori da mettere in mobilità, così come dare atto a licenziamenti collettivi o recedere dal contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo. Era fermato anche alle procedure di conciliazione obbligatoria per i lavoratori che non rientravano nelle categorie normate con il “jobs act”.

Il datore di lavoro che aveva licenziato per giustificato motivo oggettivo uno o più lavoratori nel periodo 23 febbraio – 17 marzo 2020 poteva revocare il provvedimento senza essere sottoposto a scadenze temporali di 15 giorni, purché richiedesse contestualmente un trattamento di integrazione in deroga per i lavoratori interessati dalla data di efficacia del provvedimento di licenziamento. In quel caso, il rapporto di lavoro veniva ripristinato, senza soluzione di continuità e senza onere o sanzione in carico al datore di lavoro.

Con la proroga del 30 giugno 2021, il blocco dei licenziamenti era stato esteso solo per i lavoratori del terziario e dell’artigianato e alle aziende del comparto industriale più in crisi, ovvero tessile, abbigliamento e pelletteria. Per gli stessi, erano state introdotte diciassette settimane di cassa integrazione gratuita da utilizzare fino al 31 ottobre 2021. Tredici settimane di CIG straordinaria gratuita erano state istituite per le aziende che avevano esaurito gli ammortizzatori di emergenza COVID.

Veniva anche istituito un “Fondo per il potenziamento delle competenze e la riqualificazione professionale” (FPCRP) per iniziative di formazione dei lavoratori in cassa integrazione per almeno il 30% e dei percettori di NASPI.

Blocco licenziamenti 2021: le eccezioni

Le continue proroghe hanno reso necessario apportare alcune modifiche alla misura, rendendo possibili i licenziamenti in alcuni casi specifici. Il blocco dei licenziamenti non è stato applicabile nel caso in cui ci fosse stata la cessazione definitiva dell’attività d’impresa o la cessazione definitiva dell’impresa conseguente alla messa in liquidazione senza prosecuzione dell’attività.

Non rientravano nella misura nemmeno gli accordi aziendali di incentivi alla risoluzione del rapporto di lavoro sottoscritti con le organizzazioni sindacali, i licenziamenti per giusta causa, i licenziamenti per giustificato motivo soggettivo, ivi compresi quelli di natura disciplinare, per raggiungimento del limite massimo di età per la fruizione della pensione di vecchiaia, i licenziamenti determinati dal superamento del periodo di comporto, i licenziamenti per inidoneità, i licenziamenti dei dirigenti determinati da “giustificatezza”, i licenziamenti per mancato superamento del periodo di prova, i licenziamenti dei lavoratori domestici che erano “ad nutum”, la risoluzione del rapporto di apprendistato.

Era possibile licenziare anche se il personale impiegato in appalto veniva riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto.

In seguito alle varie proroghe dello stato di emergenza, anche il blocco dei licenziamenti era stato prorogato fino al 31 dicembre 2021. A beneficiare della proroga erano i lavoratori che operavano in aziende con almeno 250 dipendenti. Facevano eccezione solo le aziende in cui erano stati riscontrati squilibri patrimoniali o economico-finanziari.

Fino al 31 dicembre 2021, il blocco dei licenziamenti ha evitato la perdita di circa 440 mila posti di lavoro solo nel 2020, ma questo non ha impedito che se ne perdessero comunque 935 mila.

La situazione del blocco licenziamenti fino al 31 dicembre 2021

Nella seduta del 15 ottobre, il Consiglio dei Ministri aveva approvato il Decreto Fiscale che introdusse la proroga di tredici settimane di cassa integrazione in deroga e di assegno ordinario, utilizzabili dal 1° ottobre al 31 dicembre 2021, e la proroga di nove settimane per la cassa integrazione ordinaria per i datori di lavoro delle industrie sartoriali e tessili, utilizzabili sempre dal 1° ottobre al 31 dicembre 2021. La cassa integrazione guadagni procedeva di pari passo con il Covid, seguendo la curva di contagio della pandemia.

Insieme alla proroga degli ammortizzatori sociali, era stata prevista anche una proroga del blocco dei licenziamenti.

I datori di lavoro che richiedevano le settimane aggiuntive di CIG non potevano avviare procedure di licenziamento collettivo né recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo, per tutta la durata della fruizione dei trattamenti di integrazione salariale. Restavano sospese anche le procedure di conciliazione.

Il ministro del Lavoro Andrea Orlando aveva comunque parlato di una graduale uscita dal blocco dei licenziamenti e aveva evidenziato che, in assenza di una proroga degli ammortizzatori emergenziali, sussisteva un’alta probabilità che molti dei lavoratori attualmente beneficiari del sostegno al reddito potessero essere licenziati per motivi economici.

Grazie al blocco dei licenziamenti, nell’ultimo semestre la disoccupazione era calata drasticamente, ma ad oggi la misura non è più attiva.

Blocco licenziamenti e cassa integrazione nel 2022

Il governo ha introdotto nella Legge di Bilancio un’ulteriore proroga del blocco dei licenziamenti fino ad aprile 2022, al fine di salvaguardare il tessuto occupazionale e produttivo italiano.

Il divieto è stata la conseguenza dell’obbligo, per il datore di lavoro, di comunicare il licenziamento al lavoratore con 90 giorni di anticipo. La norma si riferiva solo a quelle imprese che intendevano «procedere alla chiusura di una sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomi situato sul territorio nazionale» e intendevano licenziare almeno 50 dipendenti.

Con l’approvazione di questo emendamento, i datori di lavoro avevano l’obbligo di inserire nella comunicazione le ragioni del licenziamento, se di natura economica, finanziaria, tecnica oppure organizzativa. Entro 60 giorni dalla comunicazione, il datore di lavoro era tenuto a elaborare un piano «per limitare le ricadute occupazionali ed economiche derivanti dalla chiusura».

Le comunicazioni di licenziamento andavano comunicate per iscritto alle rappresentanze sindacali, alle regioni interessate, al Ministero dello Sviluppo Economico, al Ministero del Lavoro e all’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro.

In caso di accordo sindacale, il piano veniva firmato e il datore di lavoro era tenuto a rispettare gli impegni previsti, versando ai lavoratori un contributo di licenziamento in forma ordinaria. Se l’accordo sindacale non veniva raggiunto, veniva aumentato del 50% l’importo del ticket di licenziamento.

Legge di Bilancio 2022: gli altri provvedimenti

La Legge di Bilancio 2022 si proponeva di investire la riorganizzazione degli ammortizzatori sociali, la riforma dei servizi per la promozione dell’occupazione, nonché il reddito di cittadinanza.

L’accordo di transizione occupazionale, chiamato a definire «le azioni finalizzate alla rioccupazione o all’autoimpiego, quali la formazione e riqualificazione professionale anche ricorrendo ai fondi professionali», prevedeva che i lavoratori beneficiari della cassa fossero ammessi a un periodo aggiuntivo di integrazione salariale, fino a un massimo di 12 mesi “non prorogabili”.

Per il reddito di cittadinanza, dal 1° gennaio 2022 era prevista l’interruzione dell’erogazione dopo due proposte di lavoro rifiutate, invece che tre. Inoltre, dopo il primo rifiuto c’era una piccola diminuzione mensile e l’obbligo di partecipare ad attività nei Centri per l’Impiego. Non venivano processate le domande che non contenevano le dichiarazioni di immediata disponibilità al lavoro.

La legge prevedeva anche uno sconto dei contributi previdenziali per i lavoratori dipendenti con redditi bassi, per i periodi di paga dal 1° gennaio al 31 dicembre 2022.

Le aziende con meno di 9 dipendenti potevano ottenere uno sgravio contributivo al 100% per i contratti di apprendistato di primo livello per i giovani under 25.

Tra le altre novità della Legge di Bilancio, anche la CIG estesa ai lavoratori a domicilio e la Naspi allargata ai lavoratori discontinui. Ad ogni modo, il blocco dei licenziamenti non è più attivo oggi.