Assegno di inclusione, per Bankitalia resteranno fuori 900mila famiglie

Il nuovo Assegno di inclusione (Adi), in vigore dal primo gennaio, ridurrà la platea di beneficiari da 2,1 a 1,2 milioni. Ovvero 900 mila famiglie in meno prenderanno il sostituto del Reddito di cittadinanza

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Giorgio Pirani

Giornalista economico-culturale

Giornalista professionista esperto di tematiche di attualità, cultura ed economia. Collabora con diverse testate giornalistiche a livello nazionale.

Il nuovo Assegno di inclusione (Adi), in vigore dal primo gennaio, comporterà una significativa riduzione del numero di beneficiari, passando da 2,1 a 1,2 milioni. Ciò implicherà una diminuzione di 900 mila famiglie che avranno accesso al sostituto del Reddito di cittadinanza, consentendo al governo Meloni di realizzare un risparmio annuale di 1,7 miliardi di euro.

Inoltre, per le famiglie che rimarranno idonee a ricevere l’Assegno, si prevede una diminuzione media di 1.300 euro all’anno. Questo calo è stato evidenziato da uno studio condotto dagli economisti Giulia Bovini, Emanuele Dicarlo e Antonella Tomasi, pubblicato il 14 dicembre tra gli “Occasional papers” della Banca d’Italia.

Chi sono i destinatari dell’attuale Reddito

Gli autori della ricerca spiegano che la riduzione dell’assegno del 11% è dovuta a requisiti più rigorosi dell’Adi rispetto al Reddito. Tuttavia, il raggiungimento dell’obiettivo di Palazzo Chigi, che mira non solo a generare risparmi ma anche a incentivare l’occupazione, potrebbe non avere successo, come evidenziato nello stesso studio.

I destinatari dell’attuale Reddito presentano “bassi livelli di istruzione, con l’80% che ha al massimo la licenza media” e “limitate esperienze lavorative pregresse: circa la metà dei disoccupati è senza lavoro da oltre 5 anni”. Questo è il motivo per cui, secondo gli studiosi, “il percorso di reintegrazione nel mondo del lavoro sarà impegnativo e dipenderà dalla richiesta di occupazione”. In altre parole, sarà influenzato dalle aziende che, nonostante gli incentivi, hanno selezionato solamente 1.500 beneficiari del Reddito tra il 2019 e il 2022. Nel frattempo, 150.000 persone hanno trovato lavoro autonomamente.

I requisiti e chi sono le persone “svantaggiate”

Le restrizioni più severe, sia in termini di reddito che di moltiplicatori, introdotte dalla riforma Meloni, colpiscono non solo coloro che possono essere considerati “occupabili” nell’età compresa tra i 18 e i 59 anni, i quali sono destinati a ricevere 350 euro come indennità di formazione nell’ambito del Sfl, ma coinvolgono anche le famiglie con minori, persone con disabilità, individui oltre i 60 anni e coloro che rientrano nella nuova categoria di “svantaggiati”. Quest’ultima include persone con disturbi mentali, dipendenze da alcol, droghe e altre sostanze, vittime di tratta e violenza di genere, ex detenuti, individui senza dimora e giovani tra i 18 e i 21 anni che vivono in comunità o sono in affido.

Le persone classificate come “svantaggiate” devono dimostrare di essere coinvolte in programmi di cura e assistenza forniti dai servizi socio-sanitari prima di poter richiedere l’Assegno di inclusione (Adi).

Al via domani l’invio delle domande

Dalle domande per il nuovo Assegno di inclusione, che saranno disponibili domani sul sito dell’INPS, sarà possibile procedere autonomamente o con l’assistenza dei patronati.

Nel frattempo, la ministra del Lavoro Marina Calderone affronterà domani un incontro con i rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil. Queste organizzazioni avevano richiesto un incontro urgente, esprimendo preoccupazioni riguardo al rischio che la maggior parte delle famiglie attualmente beneficiarie del Reddito di cittadinanza potesse rimanere senza l’assegno nel mese di gennaio. Tale rischio derivava dalla necessità di completare tutte le pratiche entro il 31 dicembre, considerando anche le festività e la limitata disponibilità di supporto sia da parte dell’INPS che dei patronati. Il timore era che 737 mila famiglie, equivalenti a 1,6 milioni di persone, potessero rimanere scoperte per un intero mese.

La deroga per scongiurare gli esodati

Il Ministero del Lavoro e l’INPS stanno cercando di rimediare al ritardo accumulato in questi mesi, considerando che il decreto istitutivo dell’Assegno di inclusione (Adi) risale al Primo Maggio. Il decreto attuativo ministeriale è stato pubblicato solo ieri in Gazzetta Ufficiale, allo stesso modo in cui è stata firmata solo ieri la circolare operativa dell’INPS.

Questa circolare presenta una deroga significativa, rappresentando effettivamente un cambio di rotta rispetto a quanto comunicato ai patronati e ai sindacati solo pochi giorni fa. Inizialmente, era stato affermato che chi non avesse presentato domanda entro il 31 dicembre avrebbe perso la mensilità di gennaio, come previsto dal decreto del Primo Maggio.

La deroga attuale afferma invece che, “in sede di prima applicazione”, le domande presentate a gennaio saranno accettate per ottenere la mensilità di gennaio, anche se questa sarà caricata successivamente sulla “Carta di Inclusione”. Un’altra novità è che, per accelerare i tempi dopo le critiche ricevute, sarà possibile effettuare tre passaggi in uno: presentare la domanda per l’Adi, iscriversi alla piattaforma Siisl e sottoscrivere il Pad (Patto di attività digitale) senza attendere preventivamente l’esito della domanda da parte dell’INPS.

A partire da gennaio, saranno inoltre operativi i Caf per fornire assistenza alle famiglie durante un percorso burocratico che si preannuncia complesso.

Perchè è stato mandato in pensione il Reddito di Cittadinanza

Da lunedì 18 dicembre sarà possibile presentare la domanda per ottenere l’Assegno di inclusione attraverso il sito dell’INPS. Il governo ha deciso di anticipare l’avvio delle richieste, originariamente programmato per il primo giorno del nuovo anno, per due motivi principali: la necessità di effettuare verifiche preventive sui requisiti (a differenza del Reddito di cittadinanza che prevedeva molte verifiche successivamente), richiede più tempo per il processo delle pratiche, e l’anticipo consentirà di effettuare i pagamenti entro la fine di gennaio.

Vincenzo Caridi, dg dell’Inps, ha anche tracciato un bilancio della precedente misura di contrasto alla povertà, affermando che dalla sua introduzione a oggi sono stati spesi circa 34 miliardi di euro, per una media di 540 euro al mese a nucleo familiare. “Il picco di spesa l’abbiamo toccato nel 2021: 8,8 miliardi per 1,3 milioni di famiglie. Nel gennaio di quell’anno, nel pieno della pandemia, siamo arrivati a 1,4 milioni di nuclei beneficiari. A dicembre pagheremo 700 mila assegni, la metà e anche il livello minimo”, ha aggiunto il direttore dell’Inps.

Per poi affermare che dalla seconda metà del 2022 si sia interrotto l’aumento delle richieste da parte di persone in età lavorativa: “Poi c’è stato un calo costante, dovuto al miglioramento dell’economia e alla rinnovata dinamicità del mercato del lavoro. I nuclei che escono dalla misura hanno un Isee più alto di quanti restano che quindi hanno assegni in media più alti del 4%. Da settembre ha inciso anche la sospensione del Reddito dopo 7 mesi di fruizione. Ad ottobre lo hanno preso 820mila famiglie”.

Secondo Caridi il problema della misura precedente stava nel collegamento con le politiche attive: “Le agevolazioni all’assunzione dei percettori non hanno superato i 1.500 contratti dal 2019 ad oggi. Le nuove misure incideranno di più, grazie a Siisl. L’incrocio tra domanda e offerta di lavoro sarà sempre più efficiente e supportato dall’intelligenza artificiale. L’offerta di formazione e di politiche sociali più mirata. Ci sono tutti i presupposti per un salto di qualità”.