Domenica 6 ottobre è iniziato uno sciopero che potremmo definire storico. Lo stop a oltranza è scattato in alcune aziende a conduzione cinese nel distretto tessile di Prato, il più grande d’Europa, punto nevralgico del Made in Italy nel mondo. La denuncia di sfruttamento arriva potente. Operai costretti a lavorare, anche nei giorni festivi, su turni di 12 ore al giorno per 7 giorni alla settimana, senza riposo, per paghe irrisorie.
Una prima vittoria è arrivata, ma non basta. Come annuncia orgoglioso il sindacato Sudd Cobas Prato-Firenze, che ha organizzato il blocco, lo “strike day 8×5” ha “piegato” una prima stireria, Tang, dopo 24 ore di sciopero e picchetto: gli operai di questa fabbrica cinese hanno ottenuto contratti indeterminati 8×5 per tutti. Anche alla tessitura Sofia l’agitazione ha raggiunto il risultato: oggi i lavoratori sono rientrati in fabbrica con turni di 8 ore.
Il distretto tessile di Prato è composto da circa 7mila imprese della moda, di cui oltre 2mila nel tessile in senso stretto, ottenendo circa 2 miliardi di euro con l’export. Le imprese del polo tessile producono tessuti per l’industria dell’abbigliamento, prodotti tessili per l’arredamento, filati per l’industria della maglieria, prodotti in maglia e capi di abbigliamento, tessuti non tessuti e tessili speciali per impieghi industriali. Il “pronto moda Prato” è diventato ormai una sorta di brand in tutta Europa.
La comunità cinese a Prato, che nel corso degli anni ha messo su un distretto parallelo, si potrebbe dire, è passata dalle 40 unità nel 1989 a ben 1.400 persone in soli 4 anni. Il boom dell’imprenditoria cinese è arrivata poi con la crisi del tessile e dell’economia pratese, che culminò in un vero e proprio tracollo, in particolare nel 2008-2009. I problemi, il caporalato e le condizioni più che precarie di molti operati che lavorano per le aziende cinesi sono purtroppo fenomeni diffusi, e lo sciopero di questi giorni diventa una leva fortissima per accendere i riflettori su queste problematiche.
Ma è anche vero che Prato, ieri e oggi, è per l’altro verso anche il più grande distretto tessile d’Europa sinonimo di ecosostenibilità, con un background storico, ma anche di innovazione e ricerca. I più famosi brand e nomi della moda partono da qui per sviluppare le loro collezioni green. A Prato c’è infatti TIPO, il più grande e antico distretto tessile ecosostenibile dove ogni anno vengono prodotte 22mila tonnellate di scarti raccolti.
“Oggi la sensibilità ambientale è diffusa e l’ecosostenibilità è un valore aggiunto per tanti brand, stilisti e case di moda che a Prato trovano aziende tessili eco-friendly capaci di offrire prodotti che coniugano stile e attenzione alla limitazione degli impatti ambientali” spiega a QuiFinanza Roberta Pecci, imprenditrice, titolare di Pecci Filati S.p.A. e impegnata nei gruppi di lavoro su sostenibilità e riciclo all’interno della Sezione Moda di Confindustria Toscana Nord.
Pecci, nonostante le cronache di questi giorni c’è un punto forza della produzione tessile che fa di Prato l’eccellenza conosciuta nel mondo…
Assolutamente. Anni fa avrei detto semplicemente che questo punto di forza sta nella capacità di intercettare le tendenze moda più attuali e interessanti per i grandi brand, di tradurle in semilavorati eccellenti per bellezza e qualità, realizzare prodotti fantasia fuori dalla portata di altre aree tessili con vocazione al classico o a prodotti standard basati sulla quantità.
E oggi?
Oggi tutto questo è ancora più vero di un tempo, lo è con riferimento un po’ a tutte le fibre e non solo alla tradizionale lana. Ma in aggiunta posso anche dire che Prato esprime la capacità di coniugare questi risultati con l’attenzione per la sostenibilità. Un’attenzione che c’era anche un tempo, a cominciare dal riciclo, ma che non era percepita come tale e tanto meno valorizzata. L’esperienza del riutilizzo delle fibre era ed è un valore in sé, ma rappresenta anche un giacimento di conoscenze spendibili al di là del riciclo stesso. Non tutti lo sanno, ma la filatura cardata che si applica alle fibre corte di lana riciclata è la stessa che si utilizza per le fibre delicate del cashmere. E a Prato si fa tanto cashmere, sia vergine sia anch’esso riciclato.
Si può quantificare l’impatto economico del distretto?
Secondo stime di Confindustria Toscana Nord, il fatturato delle industrie tessili – produzione di tessuti, filati e tessuti speciali – di Prato nel 2022 ha superato i 4 miliardi di euro. Dal 40% – per la produzione dei filati – al 60/70% – tessuti per abbigliamento e speciali – è realizzato con clienti esteri provenienti da 150 Paesi diversi.
Da dove provengono nello specifico i clienti più importanti?
Le destinazioni più importanti sono Germania per il 10,4%, Spagna 10,3%, Francia 8,2%, Romania 6,7%, Portogallo 5,1%, Turchia 4,3%, Stati Uniti 4,1%, Regno Unito 4,0%, Marocco 3,5% e Cina 3,5%. Comunque i clienti – per esempio della nostra azienda che produce filati fantasia – sono i brand di fascia medio alta o lusso di tutto il mondo, che sono essenzialmente in Europa, Usa e Giappone Corea e Cina. Non necessariamente poi sono i brand stessi a fatturare: in molti casi i filati vengono spediti a maglifici di altri Paesi oppure i tessuti vengono mandati ai confezionisti, quindi si allarga la platea dei Paesi a cui viene venduto il materiale.
Quante aziende attualmente a Prato sono impegnate in questo settore e quanti lavoratori sono occupati?
Dai dati Istat elaborati da Confindustria Toscana Nord le industrie tessili di Prato sono circa 2.500, sempre al netto del settore abbigliamento e maglieria, e occupano 18mila addetti diretti, con un export di 1.680 milioni di euro. Oggi alcune aziende formano al loro interno, direttamente sul campo, giovani da inserire nel settore.
Come sta andando l’economia pratese del tessile?
Dopo un crollo della produzione di oltre il 20% durante la pandemia, quando l’80% delle attività di Prato è stato chiuso per decreto, l’economia è rimbalzata, superando nel 2022 i risultati economici pre Covid. Il 2023 ha visto una stabilizzazione dei livelli produttivi, fino a quando l’alluvione disastrosa del novembre scorso ha colpito duramente molte aziende del distretto, causando chiusure di qualche mese e generando colli di bottiglia nella filiera.
Quali effetti ha avuto l’alluvione?
Le aziende non sono state colpite tutte nello stesso modo. Tutte hanno dato prova di grande resilienza tornando a produrre in brevissimo tempo, anche grazie alla capacità del distretto di riorganizzarsi con produzioni conto terzi presso chi era stato meno colpito. E oggi, anche se siamo ancora sotto i livelli 2022, ci aspettiamo segnali positivi dalle fiere in corso.