Frutta e verdura nelle scuole: c’è da lavorare (parecchio) sulla sostenibilità

“Frutta e verdura nelle scuole” è un programma ministeriale di sensibilizzazione alimentare nato nel 2009. Ma che ha moltissime lacune

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Alice Pomiato

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Alice Pomiato è una Content Creator che racconta com'è possibile avere uno stile di vita più sostenibile, etico e consapevole.

Frutta e verdura nelle scuole” è un programma ministeriale di sensibilizzazione alimentare nato nel 2009, promosso dall’Unione Europea e dal Mipaaf con lo scopo di “incrementare il consumo dei prodotti ortofrutticoli e di accrescere la consapevolezza dei benefici di una sana alimentazione tra i bambini – studenti dai 6 agli 11 anni – contribuendo così alla lotta contro il tasso di obesità infantile in aumento”.

L’obiettivo del programma è quello di divulgare il valore e il significato della stagionalità dei prodotti; promuovere il coinvolgimento delle famiglie affinché il processo di educazione alimentare avviato a scuola continui anche in ambito familiare; diffondere l’importanza della qualità certificata: prodotti a denominazione di origine (DOP, IGP), di produzione biologica; e sensibilizzare gli alunni al rispetto dell’ambiente, approfondendo le tematiche legate alla riduzione degli sprechi dei prodotti alimentari.

In Italia, “Frutta e verdure nelle scuole” è un progetto di competenza del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, ed è finanziato da quasi 26 milioni di euro, 17 diretti all’ortofrutta e 9 al settore lattiero-caseario. Il coinvolgimento è di circa un milione di alunni in 7.000 scuole primarie, solo una fetta, contando che la popolazione delle scuole primarie è di circa 2 milioni e 390 mila tra bambine e bambini, il doppio.

Il bando prevede che la maggior parte della frutta sia intera, ma sono serviti anche succhi, concentrati (a patto che siano 100% frutta) prodotti di quarta gamma (pre-lavati, pretagliati e pronti per il consumo).

“Questo progetto è un’iniziativa nel suo complesso senz’altro positiva, nata con le migliori intenzioni” spiega a QuiFinanza Green Rosita Tondo, tecnica gastronoma, esperta di tematiche food e curatrice di laboratori di educazione alimentare nelle scuole, oltre che mamma. “Nel capitolato tecnico del progetto è presente una tabella che indica quali prodotti possono essere somministrati, seguendo la stagionalità. Non solo la stagionalità viene premiata, ma si dà molta rilevanza ai prodotti a marchio DOP, IGP e a frutta e verdura provenienti da agricoltura biologica. La ditta appaltatrice deve, ovviamente, stare dentro agli standard richiesti dal bando di gara”.

E allora qual è il problema, dott.ssa Tondo?

Il bando di gara suddivide le scuole primarie aderenti al programma in 10 lotti geografici. Questo potrebbe aiutarci ad individuare proposte locali da somministrare, ma questo, purtroppo, non accade quasi mai. Un esempio? Mirtilli coltivati in Spagna, confezionati a Verona e distribuiti a Torino in mono porzioni usa e getta. O carote bio, confezionate in un’enorme busta in plastica, prodotte in Abruzzo, confezionate in provincia di Roma e distribuite a Torino. E’ capitato anche che venissero distribuite pere a giugno, quando da prospetto nel capitolato non si possono più distribuire dopo aprile. Distribuire prodotti, anche importati, confezionati in bustine di plastica monouso, diventa così controproducente sia dal punto di vista della sostenibilità, che dell’educazione ad essa. Facendo anche lunghi viaggi, si utilizza tanto packaging e plastica per conservare la freschezza di questi prodotti, che inevitabilmente pesano sulle emissioni di CO2, come anche i sistemi di refrigerazione e trasporto.

Leggendo le FAQ sul sito del progetto a proposito degli imballaggi in plastica, si dichiara un impegno alla riduzione già dall’anno 2019…

Anche il capitolato tecnico a riguardo è alquanto nebuloso. La gestione del packaging va in assoluta contrapposizione alla direttiva europea del 2021 sulla riduzione della plastica usa e getta. Pensate a quanta plastica viene prodotta come rifiuto per un milione di bambini interessati dal programma… Si possono prevedere imballaggi alternativi alla plastica. Il consumo di un prodotto di preferenza locale, inoltre, ci potrebbe garantire una filiera corta che ridurrebbe le emissioni, sosterrebbe l’economia territoriale e agevolerebbe tutti gli altri impegni di educazione alimentare previsti dal programma stesso, come le visite didattiche nelle aziende agricole.

Non si potrebbe vietare o limitare questa circolazione di prodotti e prediligere il chilometro zero?

Nel sito dedicato fruttanellescuole.gov.it si può approfondire il tema: specialmente nella sezione FAQ viene spiegato che, per la legge che tutela la libera circolazione delle merci in Europa, questi viaggi non si possono vietare. La mappatura dei distributori andrebbe a mio avviso rivista perché spesso il luogo dove inizia la distribuzione e quello dove si conclude sono separati da centinaia di chilometri. Ci sarebbe dunque da chiedersi quale modello di trasporto e distribuzione è legato a questa mappatura? Quali strumenti vengono adottati per privilegiare la  scelta di produzioni realizzate a livello locale o di prossimità? Sono stati valutati gli impatti ambientali dei trasporti nella fase di scelta dei distributori?

Questo progetto è anche occasione di formazione per alunni e famiglie?

Sì, alla distribuzione del cibo dovrebbero essere associate anche misure di accompagnamento più specificatamente informative, educative e formative. “Frutta e verdura nelle scuole” prevede la realizzazione di specifiche giornate a tema, quali visite a fattorie didattiche, corsi di degustazione, attivazione di laboratori sensoriali, al fine di incoraggiare i bambini al consumo di frutta e verdura e sostenerli nella conquista di abitudini alimentari sane. Il progetto è complesso e meriterebbe gli si dedicasse più tempo per informare alunni e rispettive famiglie ad un’educazione alimentare più salubre. Purtroppo così non è in ogni istituto. Per esempio, quello che abbiamo ricevuto dalla scuola di mio figlio è un semplice volantino.

Cosa possono fare dunque i genitori?

I genitori rivestono un ruolo primario nell’educazione alimentare e possono rivolgersi al dirigente scolastico per segnalare le inefficienze del servizio. Sì, perché questa è la procedura per i reclami e i disservizi. Bisogna passare attraverso la scuola. Credo che andrebbe rivista anche questo aspetto per non oberare di un ulteriore carico la dirigenza scolastica. Inoltre, bisognerebbe potenziare il coinvolgimento e la comunicazione presso le famiglie aderenti al programma. L’anno scolastico in corso sarà l’ultimo previsto dal programma cominciato nel 2017. Al momento non sappiamo se verrà rinnovato.

Lei ha fatto notare che da una recente analisi di Elior, commissionata allo European House-Ambrosetti in occasione della riapertura delle scuole, scopriamo dati davvero interessanti. Il 73% degli insegnanti e l’88% dei genitori concordano nell’assegnare alla scuola un ruolo importante nell’educazione alimentare dei più piccoli, ma solo 1 bambino su due (49%) ha accesso al servizio mensa, con punte che toccano il 67% nel Sud e Isole. Perché questo si verifica?

Perché solo il 29% degli edifici è dotato di una mensa, con grandi difformità territoriali: 46% nel Nord, 21% nel Centro, 15% nel Sud 17%, nelle Isole. Inoltre, a casa, solo l’8% dei genitori riesce a convincere i propri figli a consumare regolarmente frutta e verdura. Legare il tema del cibo salutare a quello della sostenibilità ambientale è sempre più essenziale, ed è necessario promuovere abitudini alimentari “amiche del clima”. Da anni, diverse istituzioni scientifiche sottolineano come l’adozione di diete largamente basate su prodotti di origine vegetale, sia un bene per la nostra salute, ma anche una necessità impellente per quella del Pianeta. Il comparto agroalimentare italiano e globale, fa principalmente capo a sistemi di produzione intensivi, ed è per questo attualmente responsabile di circa un quarto delle emissioni di gas serra globali e del consumo sempre crescente di risorse naturali. E’ importante investire i fondi pubblici nel sostegno di un’agricoltura rispettosa e in un’educazione alimentare che inizi dall’infanzia, ma è necessario che tali investimenti siano coerenti e allineati con le politiche di difesa dell’ambiente.