L’inverno che stiamo vivendo si è dimostrato molto più complicato delle attese sul fronte sanitario. Come pronosticato dal professor Fabrizio Pregliasco nella sua ultima intervista rilasciata a Qui Finanza lo scorso dicembre, milioni di italiani si sono ritrovati a convivere con l’influenza stagionale e le nuove varianti di Covid-19, con un picco di segnalazioni nelle giornate comprese tra Natale e Capodanno.
La situazione risulta più grave del previsto anche (e soprattutto) a causa della scarsa adesione della popolazione – anche dei soggetti ritenuti più a rischio, ossia gli anziani, i diversamente abili e i pazienti con patologie pregresse – alla campagna vaccinale. Molti open day organizzati in diverse regioni sono andati deserti, mentre gli ospedali di tutta Italia si ritrovano con i reparti di Pronto Soccorso presi d’assalto. Di tutto questo ha parlato Matteo Bassetti, medico e divulgatore scientifico, direttore della Cinica di Malattie Infettive presso l’Ospedale “San Martino” di Genova, presentando il suo ultimo libro “Pinocchi in camice. Sulla salute non si scherza” (edito da Piemme), ospite del ciclo di interviste Antigone su Radio Radicale.
Matteo Bassetti, i dati raccolti tra dicembre 2023 e gennaio 2024 mostrano un crollo del numero di vaccinazioni somministrate in Italia per combattere l’influenza e il Covid-19. Come si spiega questa adesione così bassa da parte dei cittadini?
In un Paese normale, dopo quello che abbiamo vissuto in questi anni, i cittadini dovrebbero fare a gara per vaccinarsi il prima possibile. Le persone spesso non si rendono conto della fortuna di vivere in un Paese che mette a disposizione i vaccini gratuiti per tutti. C’è una maleducazione sanitaria diffusa, in Italia più che in altri Stati. Ma il problema non è solo questo.
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Per come sono andate le cose in questi ultimi mesi, il numero di persone vaccinate è fin troppo alto se lo mettiamo in relazione alla campagna di comunicazione inesistente a cui abbiamo assistito. La politica e parte dell’informazione hanno lisciato il pelo ai No Vax, preferendo non parlare dell’importanza dei vaccini per non attrarre le antipatie dei negazionisti. Così si spiegano i risultati di oggi.
Perché in Italia fatica così tanto ad affermarsi una consapevolezza sanitaria diffusa? Ancora oggi, a distanza di quasi 4 anni dallo scoppio dell’emergenza pandemica, i gruppi No Vax sono attivi in diverse aree del Paese, con numeri di partecipazione non indifferenti.
La scoperta dei vaccini ha rappresentato uno spartiacque nella storia dell’uomo, permettendoci di raggiungere una prospettiva di vita di 80/90 anni. Solo nell’ultimo secolo abbiamo debellato la poliomielite, il vaiolo e altre malattie di cui si moriva fino a pochi decenni fa. Eppure, oggi ci sono contesti in cui si ha paura a parlare dei vaccini per non turbare i No Vax. Ho saputo di colleghi che rischiavano di perdere il posto per aver difeso la campagna vaccinale. Siamo alla follia.
Perché i media e la stampa continuano a dare spazio a queste persone?
Il tema – purtroppo, lo ripeto – è molto divisivo e l’informazione tende spesso a cavalcare queste situazioni in cui si creano le tifoserie. In un Paese normale, queste persone non dovrebbero essere ascoltate: anzi, le si dovrebbe prendere ad esempio con i più giovani per mostrare i loro comportamenti inaccettabili. Un vero cambio di paradigma ci sarà quando inizieremo a fare educazione sanitaria nelle scuole.
Per diversi mesi lei e la sua famiglia siete stati vittime di minacce e insulti. Oggi va meglio?
Oggi va meglio, ma capita ancora che qualcuno mi fermi per strada per insultarmi. Non è una situazione piacevole. Ho vissuto per 2 anni con la scorta, con gli agenti che al mattino mi accompagnavano al lavoro e alla sera mi riportavano a casa, seguendomi in tutto ciò che facevo. Oggi le cose si sono normalizzate ma solo perché ho deciso di espormi meno a livello mediatico.
Nel suo nuovo libro “Pinocchi in camice. Sulla salute non si scherza” lei parla proprio dei tanti millantatori che in questi anni – con un incremento dopo lo scoppio della pandemia da coronavirus – hanno diffuso tesi false e teorie complottiste.
Nel libro parlo di medici, operatori sanitari, infermieri, osteopati, omeopati e altre figure che fanno del profitto e del ciarlatanismo la loro ragione di vita, fregandosene delle evidenze della comunità scientifica. Raccontano frottole per indurre i pazienti a seguire le loro cure. Negli ultimi anni ci sono casi che hanno fatto scuola: penso ai casi di Davide Vannoni e di Andrea Panzironi, che hanno raggirato migliaia di persone in difficoltà facendogli credere che i tumori si potevano curare con le lampade di sale o con l’omeopatia.
Una delle frasi che abbiamo sentito pronunciare più di frequente durante i lockdown era “mai più tagli alla sanità”. La premier Giorgia Meloni rivendica di aver aumentato di 3 miliardi di euro il Fondo sanitario nazionale nell’ultima legge di Bilancio. Eppure, la spesa sanitaria italiana rispetto al PIL rimane tra le più basse d’Europa.
Non credo che si possano additare a questo governo le colpe di decenni di politiche sbagliate e approssimative. Da destra a sinistra, il sistema sanitario è stato utilizzato come un bancomat per favorire il clientelismo. E così, oggi, il quadro generale è molto preoccupante. Abbiamo le strutture ospedaliere più vecchie d’Europa, edifici fatiscenti che spesso cadono a pezzi. Non abbiamo investito sulle case di comunità e sulla medicina del territorio, consentendo ai cittadini di intasare i reparti di Pronto Soccorso appena percepiscono un piccolo malessere passeggero. Sommando tutti questi fattori, il risultato è drammatico.
Nelle settimane conclusive del 2023 si è parlato molto della possibilità di allungare la carriera dei medici a 72 anni per sopperire alla grave carenza del personale nel nostro Paese. Lei che idea si è fatto su questo tema?
Io credo che mantenere in servizio un professionista con capacità ed esperienza qualche anno in più non possa che fare bene al nostro sistema sanitario, visto che – parallelamente – notiamo una cronica incapacità di formare nuovi medici. Buona parte della colpa è da additare al sistema di selezione degli studenti nelle facoltà di Medicina delle nostre università.
Proprio su questo tema, si continua a parlare della possibilità di eliminare il test d’ingresso per la facoltà di Medicina e le professioni sanitarie. Secondo lei quale sarebbe il metodo migliore per formare le nuove generazioni di medici?
L’unica soluzione che abbiamo è quella del cosiddetto metodo alla francese. Entrano tutti quelli che fanno richiesta, i primi mesi non c’è bisogno di fare lezione in presenza perché i 3 esami in programma (ossia Fisica, Chimica e Biologia) sono solo teorici e si possono svolgere online. Al termine del primo semestre fai sostenere gli esami agli studenti, garantendo loro la possibilità di usufruire di 2/3 sessioni: chi passa gli esami accede al 2° semestre e inizia il cammino vero e proprio, chi non li passa esce dalla facoltà. In questo modo si elude il problema delle aule che non potrebbero contenere tutti e, al contempo, si evita che migliaia di studenti finiscano fuoricorso, un meccanismo che oggi è il male delle nostre università. Con il rispetto per tutti, ma non abbiamo bisogno di asini nelle nostre aule universitarie.