Il salmone fa bene all’organismo. E al pianeta?

Gli allevamenti di salmone hanno un forte impatto sull'ambiente: tra fughi, pesticidi e dipendenza dai pesci selvatici. Ci sono però alcune soluzioni sostenibili, che danno speranza per il futuro.

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Alessandro Mariani

Giornalista green

Nato a Spoleto, dopo una laurea in Storia e una parentesi in Germania, si è stabilito a Milano. Ha avuto esperienze in radio e in TV locali e Nazionali. Racconta la società, con un focus sulle tematiche ambientali.

Il salmone, noto per il suo alto valore nutrizionale grazie agli Omega-3, è diventato una presenza comune sulle tavole di tutto il mondo. Tuttavia, l’aumento esponenziale della produzione di salmone allevato per soddisfare la crescente domanda ha iniziato a sollevare seri problemi ambientali. Negli ultimi 40 anni, l’industria del salmone allevato ha conosciuto una crescita esplosiva in tutto il mondo, dall’Islanda alla Scozia, al Canada e agli Stati Uniti. La produzione globale di salmone allevato, nel 2021, è stata di circa 2,9 milioni di tonnellate, superando di gran lunga la pesca del salmone selvaggio, che ne ha prodotto solo 1500 tonnellate.

Il problema degli allevamenti di salmone in Islanda

L’Islanda ha partecipato a questa corsa all’oro rosa dagli anni 2000, e oggi conta 16 allevamenti, diventando il quarto produttore di salmone in Europa con quasi 45.000 tonnellate prodotte nel 2022. Questo boom nell’acquacoltura di salmone ha coinciso con una diminuzione significativa della popolazione di salmoni selvaggi in Islanda, stimati a circa 60.000 individui. Secondo le organizzazioni ambientali, gli allevamenti di salmone a reti aperte in mare contribuiscono in modo significativo al declino di questa specie. Gli allevamenti di salmone a reti aperte sono facilmente riconoscibili dalle grandi gabbie circolari situate in mare, ciascuna contenente decine di migliaia di esemplari di salmone. In queste strutture c’è un grave rischio di fuga dei salmoni, che, una volta fuori, possono ibridarsi con le popolazioni selvatiche, mettendo a repentaglio la diversità genetica degli autoctoni e portando a un cambiamento delle caratteristiche storiche.

In Islanda, sono stati confermati almeno 16 casi di fuga di salmoni dagli allevamenti. Queste fughe possono avere un impatto devastante sugli ecosistemi marini, specialmente quando gli esemplari fuggiti vanno a infettare le popolazioni selvatiche con pidocchi di mare. Per tenere sotto controllo questi parassiti, le aziende utilizzano pesticidi, che contaminano le acque circostanti e possono danneggiare anche altre forme di vita marina.

Le proteste contro gli allevamenti di salmone

La recente fuga di migliaia di salmoni da un allevamento nel nord-ovest dell’Islanda ha scatenato preoccupazioni tra i pescatori locali e le comunità che dipendono dalla pesca e dal turismo. Oltre alle minacce ambientali, c’è la preoccupazione che le licenze per gli allevamenti possano essere concesse a società straniere, mettendo a rischio le economie locali. Le proteste contro gli allevamenti di salmone sono aumentate in Islanda, con manifestazioni e richieste di nuove leggi sull’acquacoltura. Alcuni cittadini e celebrità, come la cantante islandese Bjork, si sono uniti a queste cause per proteggere la natura e la pesca tradizionale islandese.

Mentre l’industria del salmone allevato cerca di giustificare la sua presenza, molte persone chiedono un ripensamento delle politiche ambientali e una maggiore attenzione alla protezione degli ecosistemi marini. L’Islanda è di fronte a una scelta difficile tra la prosperità economica derivante dagli allevamenti di salmone e la preservazione dell’ambiente naturale che è fondamentale per molte comunità locali.

Gli allevamenti di salmone in Scozia

A livello globale, l’allevamento intensivo di salmone ha causato danni per miliardi ogni anno. La mortalità dei pesci allevati è notevolmente aumentata nel corso degli anni, passando dal 3% nel 2002 a circa il 13,5% nel 2019, con un quinto di questi decessi attribuiti alle infestazioni da pidocchi di mare. Questi parassiti si nutrono di pelle e muco dei salmoni, infliggendo sofferenze ai pesci e spesso causando la loro morte. La Scozia è uno dei principali produttori di salmone d’allevamento al mondo, con un’industria che vale circa 2 miliardi di sterline all’anno, ma i costi associati a questi allevamenti sono stimati in 1,4 miliardi di sterline tra il 2013 e il 2019.

Un problema ulteriore è l’enorme consumo di pesce selvatico utilizzato negli allevamenti di salmone. Circa un quinto del pescato selvatico annuale mondiale, pari a circa 18 milioni di tonnellate di pesce all’anno, viene utilizzato per produrre mangimi per i salmoni allevati. Questa pratica ha un impatto drammatico sulle popolazioni di pesci selvatici, mettendo in pericolo specie chiave come le sardine nell’Africa occidentale, pescate principalmente per la produzione di mangimi. Sebbene esistano alternative sostenibili, come gli oli derivati dalle alghe per gli Omega-3 nei mangimi, il loro utilizzo rimane limitato. Al contrario, i Paesi con grandi industrie di salmone, come la Scozia, prevedono di aumentare la produzione, contribuendo così all’aggravarsi di questi problemi. La responsabilità ricade sui consumatori, che dovrebbero essere consapevoli dei rischi associati al consumo di salmone allevato intensivamente, sia in termini di impatto ambientale che di qualità del prodotto. Optare per alternative sostenibili, come il pesce pescato in modo responsabile, può aiutare a preservare gli ecosistemi marini e promuovere una scelta alimentare più sana e sostenibile.

Una soluzione possibile, salmone gestito in maniera sostenibile

Il salmone è il secondo pesce più popolare negli Stati Uniti, con una media di oltre un chilo consumato ogni anno da un americano. Circa il 10-20% di questa quantità è costituito da salmone del Pacifico selvatico, la maggior parte del quale proviene da pesca gestita in modo sostenibile in Alaska. Ma il resto è costituito da pesci da allevamento importati, allevati in reti galleggianti in mare aperto, un sistema molto criticato che è stato ulteriormente reso problematico dall’innalzamento delle temperature dell’acqua e da altre sfide climatiche. Ora, diverse aziende di allevamento terrestre in tutto il Paese stanno iniziando a offrire un’alternativa più sostenibile dal punto di vista climatico all’acquacoltura tradizionale del salmone, che è più pulita, ecologicamente responsabile e ha potenzialmente un’impronta di carbonio più bassa.

Le caratteristiche dell’allevamento sostenibile di salmone:

  • Controllo ambientale: le strutture di allevamento sostenibile sono progettate per minimizzare l’impatto ambientale. Ad esempio, sono utilizzati sistemi di acquacoltura a terra o a circuito chiuso, riducendo il rischio di fughe di salmoni nell’ambiente marino.
  • Alimentazione sostenibile: si cerca di ridurre la dipendenza dai pesci selvatici nella produzione di mangimi per i salmoni allevati. Gli Omega-3, nutrienti importanti per i salmoni, possono essere ottenuti da fonti alternative come le alghe marine invece di pesci selvatici.
  • Controllo dei parassiti: in un contesto sostenibile, vengono implementate soluzioni per il controllo dei parassiti, come l’uso limitato di pesticidi chimici e pratiche per evitare le infestazioni da pidocchi di mare.
  • Monitoraggio della salute dei pesci: le aziende adottano protocolli rigorosi per monitorare la salute dei salmoni allevati, prevenendo malattie e riducendo l’uso di antibiotici.
  • Certificazioni ambientali: molti allevamenti sostenibili cercano di ottenere certificazioni riconosciute a livello globale, come quelle emesse dal Marine Stewardship Council (MSC) o dal Global Aquaculture Alliance (GAA), per dimostrare il rispetto di standard ambientali elevati.

Al momento, il pesce da loro prodotto è disponibile solo nei mercati locali, per lo più in Florida, New York e Wisconsin. Tuttavia, gli esperti sostengono che l’acquacoltura terrestre è il futuro della produzione di salmoni in America e nel mondo, poiché imprese simili stanno guadagnando terreno in Paesi come Danimarca, Norvegia, Svizzera, Polonia e Giappone.