Lavoro agile: cos’è e come funziona lo smart working

La guida rapida su che cos'è lo smart working, il suo significato, la normativa in materia e il funzionamento

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Pubblicato: 8 Maggio 2020 17:23Aggiornato: 9 Maggio 2024 16:15

Smart working, o lavoro agile, è una modalità di lavoro che lascia al lavoratore completa libertà nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti attraverso i quali svolgere il proprio lavoro per conto di un’azienda. Il lavoro da remoto offre in questo modo numerosi vantaggi in relazione all’effettiva qualità dell’attività svolta, ma anche sulla vita del lavoratore stesso.

Si potrebbe dire che in Italia, e nel resto d’Europa, lo smart working si è sviluppato grazie ad alcune possibilità tecnologiche, la rete internet in primis, che fino a vent’anni fa erano impensabili, sebbene con un fax e un telefono probabilmente era già possibile lavorare con modalità in qualche modo agili.

Di seguito vedremo più da vicino questi argomenti che, negli ultimi anni, sono diventati molto popolari, ma coglieremo anche l’occasione per rinviare ai nostri aggiornamenti più recenti in materia.

Differenza smart working – telelavoro

Occorre innanzitutto distinguere tra telelavoro e smart working, che possono essere sì definiti entrambi come forme di remote working, ma non sono di certo la stessa cosa.

Il telelavoro infatti prevede regole molto più rigide e non prevede né autonomia né flessibilità nei confronti del lavoratore, che si trova in realtà a svolgere esattamente lo stesso lavoro con lo stesso assetto organizzativo e i medesimi orari.

Il lavoro semplicemente si trasla in un altro luogo diverso dall’ufficio, ma il risultato che l’azienda si aspetta da ciò che fa il lavoratore è il medesimo.

Si può inoltre parlare di flexible working, termine anglosassone con il quale si indicano tutte quelle forme di lavoro subordinato che prevedono generalmente flessibilità oraria, contrattuale o di luogo:

  • mobile working;
  • da casa;
  • sedi secondarie decentrate;
  • spazi di coworking e hub;
  • agile working, che nel nostro Paese è meglio noto come smart working.

Lo smart working, a differenza del telelavoro, può essere svolto con orari non rigidi ma flessibili, e in qualunque luogo sia possibile lavorare – a patto di avere una connessione internet attiva.

Lo smart working è, in qualche modo, l’evoluzione del telelavoro. Non una mera modalità lavorativa, ma piuttosto a un insieme di pratiche innovative che mirano all’aumento della produttività e della proattività del lavoratore, alla riduzione degli sprechi, a un efficace utilizzo e sviluppo di software adeguati e, appunto, a una maggiore “agilità” delle modalità lavorative e delle relazioni aziendali.

Ne beneficeranno i lavoratori e le lavoratrici, che potranno meglio distribuire gli impegni giornalieri (anche quelli extralavorativi), diminuendo i rischi di accumulo di stress e di burnout.

Lo smart working ai tempi del coronavirus

Anni fa avevamo considerato che nel periodo di emergenza sanitaria, di quarantena e autoisolamento, le aziende e gli stessi lavoratori si sono dovuti velocemente abituare a modalità lavorative differenti, non potendo in alcun modo condividere gli spazi di lavoro abituali con i colleghi, soprattutto per ridurre al minimo i rischi di contagio.

In molti hanno conosciuto, e sperimentato, lo smart working, giovandosene e talvolta proseguendo l’esperienza anche dopo la pandemia. Anzi proprio a causa del Covid-19, siamo diventati consapevoli del fatto che altre forme di lavoro non solo esistono ma sono anche possibili, efficaci e, forse, auspicabili.

La normativa sullo smart working

Di smart working abbiamo parlato spesso negli ultimi anni, ed è vero che la definizione normativa di smart working si è avuta, negli ultimi anni, grazie alla legge 81/2017, detta anche legge sul lavoro agile.

Nel testo in oggetto è esplicitato che questa modalità di esecuzione del lavoro subordinato deve innanzitutto essere fissata tramite un accordo scritto tra le parti. Esso serve a definire organizzazione del lavoro (per fasi, cicli o obiettivi), durata, rispetto dei tempi di riposo, diritto alla disconnessione e modalità di recesso.

La prestazione lavorativa è ovviamente da eseguire in totale autonomia da parte del lavoratore, senza rigidi vincoli di orario o di luogo di lavoro e con l’utilizzo di strumenti tecnologici adeguati. Ovviamente però debbono essere raggiunti determinati obiettivi, in modo da evidenziare l’effettivo svolgimento delle mansioni.

Cogliamo l’occasione per ricordare che dal primo aprile 2024, dopo le deroghe legate alla pandemia, si è tornati all’applicazione del regime ordinario della legge del 2017.

Parità di trattamento economico e tutela di sicurezza e salute del lavoratore

Una delle cose più importanti espresse dalla legge è la parità di trattamento economico per il lavoro agile rispetto al lavoro per così dire tradizionale, ma anche il diritto all’apprendimento permanente e la tutela degli aspetti legati alla salute e alla sicurezza, tra cui infortuni e malattie.

Il fatto che il lavoratore non lavori in spazi stabiliti o di proprietà dell’azienda, non rende di certo quest’ultima meno responsabile nei confronti del lavoratore. In sostanza il datore di lavoro deve ritenersi comunque sottoposto agli obblighi in materia di salute e sicurezza, di cui al d. lgs. n. 81 del 2008 proprio come se il dipendente si trovasse all’interno dell’ufficio.

La legislazione recente e successiva ha inquadrato ulteriormente alcuni aspetti dello smart working, sebbene ci sia ancora molto da fare, soprattutto nell’approccio alla materia e nell’insufficiente comprensione dei vantaggi che lo smart working può effettivamente portare al mondo del lavoro. Non tutte le aziende, infatti, ne hanno compreso gli effettivi vantaggi.

Alcuni esempi di smart working all’estero

A livello europeo l’Inghilterra già dal 2014 ha regolato la questione dello smart working, introducendo per la prima volta i reali vantaggi del flexible working. Si parla infatti del diritto a richiedere questa modalità di lavoro da parte del lavoratore e della possibilità di rifiutarla da parte dell’azienda, la quale però è obbligata a motivare la decisione. Per la prima volta si parla delle ragioni virtuose per le quali è auspicabile lo smart working, quando richiesto.

Ragioni legate essenzialmente al welfare, al benessere delle persone, alla riduzione dei costi degli spazi fisici, alla riduzione delle emissioni di CO2 causate dagli spostamenti dei lavoratori stessi per raggiungere i luoghi di lavoro o al decongestionamento dei trasporti pubblici durante le ore di punta, problema che in Svizzera, ad esempio, è stato in parte risolto con un’adeguata tutela e definizione del lavoro da remoto.

Recentemente, inoltre, il territorio elvetico e l’Italia hanno stretto un accordo con cui regolamentare lo smart working dei frontalieri.

I principi virtuosi dello smart working

Lo smart working è dunque, in tutto e per tutto, una rivoluzione del concetto di lavoro. Una nuova modalità di collaborazione tra lavoratore e azienda che non solo risulta efficace, e spesso migliorativa, in termini di produttività, ma che al tempo stesso tende a modificare, migliorare e rinnovare gli aspetti fondamentali di qualsiasi lavoro ovvero:

  • assetto organizzativo, il rapporto di lavoro viene impostato sugli obiettivi raggiunti, non più sulle ore lavorate
  • rapporto gerarchico basato non più sul controllo bensì sulla fiducia
  • contrattualistica, con la creazione di contratti e politiche che garantiscano flessibilità e autonomia
  • dotazione tecnologica per il lavoratore, con device portatili, strumenti e software per il lavoro da remoto, compreso l’accesso ai cloud di dati
  • spazi fisici ripensati in modo da supportare esigenze ovviamente mutate.

Lo smart working: la persona al centro

La novità introdotta dallo smart working consiste dunque nel ripensare l’organizzazione e l’esperienza lavorativa, ricercando la massima convergenza tra obiettivi personali e professionali del lavoratore e quelli dell’azienda. Il diritto alla flessibilità e all’autonomia nello svolgimento del proprio lavoro porta a una maggiore responsabilizzazione e a un incremento significativo della produttività.

Chi lavora da remoto si sente più libero e questa sensazione fa bene alla psiche, conferendo maggiori energie psicofisiche e portando a performance migliori.

I vantaggi si estendono concretamente dal lavoratore all’ambiente circostante. Non dovendosi più spostare da casa, egli risparmia tempo e denaro, aumentando così benessere personale (meno stress, stanchezza, frustrazione) e ambientale. Le emissioni di CO2 e il traffico si riducono notevolmente, a patto che però sia anche garantito un più efficiente servizio di trasporto pubblico.

Avendo flessibilità di orario e cominciando a utilizzare bus, auto e treni per il proprio tempo libero o per altre necessità, l’uso dei mezzi pubblici diventerebbe più razionale durante la giornata, eliminando le ore di punta, uno dei problemi più insidiosi di un sistema di trasporti.

Per il lavoratore, come accennato, migliora in generale il cosiddetto work-life balance e crescono motivazione e soddisfazione non solo nei confronti del proprio lavoro ma anche della propria vita. Sparisce, in un certo senso, l’avvilente sensazione di vivere per lavorare ed, anzi, si trova più tempo per stare con la famiglia e con gli amici, come pure per dedicarsi ai propri hobby preferiti.

Lo smart working: i benefici per le aziende

I benefici dello smart working non si limitano però solo all’evoluzione del mondo del lavoro, all’ambiente in cui viviamo o al lavoratore stesso. Vi sono, soprattutto, vantaggi concreti e tangibili anche per le aziende, e non solo legati all’aumentata produttività, motivazione e soddisfazione dei propri lavoratori.

Ripensare e riadattare gli spazi di lavoro permette ad esempio di risparmiare notevolmente su alcune spese vive fondamentali come l’illuminazione, la climatizzazione e la pulizia.

Lo smart working: gli aspetti negativi

Purtroppo però può non essere facile adattarsi all’autonomia e alla flessibilità che caratterizzano lo smart working. Sempre più spesso emergono difficoltà, superabili dopo un primo, forse ragionevole, “smarrimento” iniziale, ma alle quali occorre prestare attenzione, pena la perdita degli stessi vantaggi che lo smart working porta con sé.

Effetti negativi possono colpire in genere tutti quei lavoratori abituati da molto tempo a lavorare in ufficio, a stretto contatto con colleghi e superiori, e a forme rilevanti di controllo (il cartellino, gli orari ecc.). I lavoratori agili potrebbero sentirsi isolati, percepire problemi di comunicazione e di connessione, soffrire troppo di distrazioni esterne oppure realizzare di non avere gli strumenti tecnologici adeguati (ad es. una connessione internet veloce).

Per quanto riguarda i problemi di tipo “psicologico”, il consiglio migliore è sicuramente quello di pazientare: vi abituerete gradualmente. Sicuramente può essere difficile concepire di lavorare in spazi prima totalmente dedicati alla propria vita domestica, oppure in ambienti dove le persone che vi circondano fanno tutt’altro. La responsabilizzazione di cui parlavamo prima passa anche da qui: darsi delle regole diventa fondamentale.

L’inadeguatezza tecnologica invece, soprattutto per una questione economica, è un problema che il lavoratore non è tenuto a risolvere da solo. Ecco perché sarebbero auspicabili sempre adeguate modalità di supporto, in base al lavoro che deve essere svolto per l’azienda, mettendo a disposizione del lavoratore strumenti e dispositivi adeguati o, nel caso della Pubblica Amministrazione, rendendo disponibili spazi adatti al remote working, magari con il coinvolgimento delle associazioni dislocate sul territorio.