Cartella esattoriale, la dichiarazione integrativa inviata successivamente non è ammessa

Una recente sentenza ha ribadito l'inutilità della dichiarazione integrativa inviata successivamente ad una cartella esattoriale

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista economico-finanziario

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

A seguito della ricezione di una cartella esattoriale – attraverso la quale si chiede il pagamento delle imposte dovute in base ad una dichiarazione originaria – non è possibile inviare una dichiarazione integrativa. Ad esprimersi in questo senso è stata la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Modena attraverso una sentenza che è stata depositata lo scorso 5 febbraio 2024.

Ma entriamo nel dettaglio e cerchiamo di capire cosa comporti questa decisione dei giudici modenesi.

La notifica della cartella esattoriale: i fatti

Entriamo un po’ più nel dettaglio ed analizziamo i fatti che hanno portato la Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado di Modena a negare la possibilità di presentare una dichiarazione integrativa dopo l’arrivo della cartella esattoriale.

Ad una società il 24 aprile 2023 veniva notificata via Pec una cartella esattoriale attraverso la quale venivano chieste alcune imposte dichiarate, che non erano state pagate. Nello specifico si faceva riferimento alle dichiarazioni relative al periodo d’imposta 2018. Complessivamente gli importi che venivano richiesti risultavano essere pari a 10.625,83 euro per Ires ed Irap.

Il 22 giugno 2023 la società provvederà a trasmettere delle dichiarazioni integrative attraverso le quali metteva in evidenza dei redditi inferiori rispetto alle dichiarazioni originarie. Il 23 giugno 2023 provvedeva a presentare ricorso avverso alla cartella esattoriale, che ricade interamente nella procedura di mediazione prevista direttamente dall’articolo 17.bis del DLGS n. 546/1992, che è stato abrogato recentemente dal DLGS n. 220/2023.

La procedura di mediazione

Purtroppo, per la società, la procedura di mediazione non andava a buon fine. Questa ha deciso di costituirsi in giudizio, come anche la Direzione provinciale di Modena, che ha prontamente contestato le doglianze avanzate dall’azienda.

Sostanzialmente, però il ricorso risultava essere scarno e completamente reticente. Ma soprattutto non provvedeva a fornire una qualsivoglia giustificazione del proprio operato. La società, infatti, aveva unicamente eccepito quanto segue:

La cartella esattoriale impugnata n. 070 2023 XXXXXXXXXXXXX notificata via PEC in data 24.04.2023 ed emessa da Agenzia Entrate Riscossione ex Equitalia S.p.A. di Modena è relativa alle dichiarazioni IRAP e UNICO anno di imposta 2018 inviate in data 26.11.2019 che presentano errori formali e sostanziali nel riporto dei dati contabili.

La società, inoltre eccepiva quanto segue:

In data 26.06.2023 sono state predisposte dichiarazioni integrative IRAP e UNICO anno di imposta 2018 […] che evidenziano un utile civilistico di euro 9.406 come risulta dal bilancio CEE depositato in Cciaa in data 17.03.2020.

All’interno delle proprie controdeduzioni gli uffici tributari esponevano che gli orientamenti della Suprema Corte quando si venivano a generare questo tipo di casi. I giudici hanno sottolineato che, secondo l’ordinanza n. 556/2018:

Ammettere l’emissione di una dichiarazione integrativa successiva ad un atto fiscale recuperatorio di una pretesa – qui azionata mediante la notifica di una cartella – avrebbe evidente capacità elusiva.

Gli uffici tributari ricordavano che sempre secondo la stessa ordinanza:

Rimane a carico del contribuente che impugni la cartella, l’onere di dimostrare processualmente gli elementi riduttivi della maggiore pretesa azionata.

A questo punto viene richiamata un’ulteriore ordinanza della Corte di cassazione – la n. 37467/2022 – attraverso la quale viene ribadito il principio per il quale:

Nel giudizio di impugnazione della cartella di pagamento emessa del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, ex articolo 36-bis, spetta al contribuente che ‘ritratta’ la propria dichiarazione fornire la prova, ai sensi dell’articolo 2697 c.c. del fatto impeditivo dell’obbligazione tributaria.

La reticenza della società

A pesare nella gestione della pratica relativa alla cartella esattoriale vi è un ulteriore fattore: la società risultava essere reticente perché non aveva provveduto a fornire alcun tipo di spiegazione sul proprio operato. I giudici, inoltre, hanno messo in evidenza che il ricorso rasentava l’inammissibilità per mancanza di motivi ai sensi dell’articolo 18 del DLGS n. 546/1992.

Gli uffici tributari avevano provveduto a sottolineare che la società non aveva fornito dei chiarimenti sulle seguenti circostanze:

  • i motivi per i quali originariamente erano state presentate delle dichiarazioni errate;
  • il contribuente non aveva provveduto a versare le imposte dovute in base alla dichiarazione originaria;
  • le dichiarazioni integrative erano state trasmesse solo dopo la notifica della cartella esattoriale via Pec;
  • perché il Bilancio 2018 risulta essere stato presentato in Camera di Commercio il 17 marzo 2020.

Gli uffici tributari hanno mosso ulteriori considerazioni, le quali sono scaturite effettuando un confronto tra le dichiarazioni originarie e quelle integrative. Sostanzialmente veniva messo in rilievo che:

  • le dichiarazioni Ires – sia quella presentata originariamente che quella integrativa – avevano esposti degli importi solo e soltanto al rigo RF4 (utile). Non veniva indicata alcuna variazione in aumento;
  • le dichiarazioni Irap – anche in questo caso sia quella originaria che quella integrativa – contenevano dei dati molto differenti tra di loro. Il contribuente non forniva alcun tipo di giustificazione che potessero far capire i motivi di queste differenze.

Cartella esattoriale: la decisione presa dai giudici

I giudici di primo grado di Modena, a questo punto, hanno preso una decisione sulla cartella esattoriale oggetto del contendere. La sentenza n. 41/02/2024 del 5 febbraio 2024 ha sostanzialmente rigettato il ricorso del contribuente e lo ha condannato al pagamento delle spese di lite.

Sostanzialmente i giudici hanno argomentato in maniera sufficiente ampia il proprio punto di vista, sottolineando la reticenza e la superficialità del comportamento della società ricorrente. Contestualmente è stato riconosciuto che gli uffici tributari hanno agito in maniera conforme alle norme attualmente in vigore e ai principi giurisprudenziali.

In maniera particolare è stato stabilito che:

La successione delle date relative ai fatti salienti della questione dimostrano che ricorrente ha fatto ammenda integrativa formale solo dopo aver ricevuto la richiesta di pagamento […] La Corte altresì concorda con Ufficio intorno alla denunciata laconicità del ricorso […] Alla Corte non pare affatto sufficiente, sul piano probatorio, che Ricorrente delimiti la giustificazione della necessità della integrativa nella sopravvenuta necessità di correzione, sul piano civilistico, di uno – o più – errori commessi nella erezione della bozza di bilancio.