Airbnb non paga le tasse in Italia: 779 milioni sequestrati

Un maxi sequestro connesso al mancato pagamento della cedolare secca, dal 2017 a oggi: svelata la strategia del colosso degli affitti brevi

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

I conti non tornano per Airbnb, stando alla contestazione della procura di Milano, che ha ottenuto dal giudice per le indagini preliminari un sequestro record, pari a più di 779 milioni di euro. Via libera alle operazioni della Guardia di Finanza, dunque, nei confronti di Airbnb Ireland Unlimited Company e tre soggetti, che nell’arco di tempo dal 2017 al 2021, hanno rivestito ruoli di amministrazione.

Tasse non pagate

Il focus della questione è legato a doppio filo con una legge del 2017, che prevede come le piattaforme facciano da sostituto d’imposta per gli host, ovvero i non professionisti che pongono i propri locali a disposizione per affitti brevi.

Stando alle verifiche fiscali condotte, Airbnb non avrebbe versato la cedolare secca in merito ai canoni di locazione breve, per una somma totale di 3.711.685.297 euro corrisposta dagli ospiti delle strutture messe a disposizione sulla piattaforma.

Una questione che ha radici profonde e non era affatto sconosciuta al colosso degli affitti brevi. La norma era infatti già stata impugnata dinanzi al Tar e al Consiglio di Stato, arrivando a coinvolgere anche la Corte di giustizia dell’Ue. Quest’ultima si è espressa lo scorso dicembre, stabilendo il pieno diritto dell’Italia a richiedere alle piattaforme di raccogliere informazioni e dati sulle locazioni effettuate. Soprattutto, però, di applicare la ritenuta alla fonte prevista dal regime fiscale.

Airbnb ha però avuto ragione in merito all’obbligo di designare un rappresentate fiscale. La Corte ha infatti giudicato ciò una “restrizione sproporzionata alla libera prestazione dei servizi”. Un verdetto che ha consentito alle indagini di proseguire, fino all’esito attuale.

Volontà di evadere il Fisco

La Procura ribadisce come l’evasione della cedolare secca sia frutto di una scelta aziendale ben precisa. Il colosso era infatti ben consapevole degli oneri previsti, dichiarativi e contributivi, introdotti fin dal 2017.

Si sottolinea come Airbnb abbia “assunto la deliberata opzione aziendale di non conformarvisi, con il fine precipuo di non rischiare la perdita di fette di mercato in favore della concorrenza, tenendo un comportamento apertamente ostruzionistico verso l’amministrazione finanziaria italiana, omettendo di eseguire alcuna dichiarazione di alcun versamento erariale”.

Una valutazione durissima, condivisa in pieno da Angela Minerve, gip di Milano, la cui firma è apposta sul provvedimento emesso ed eseguito del nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza.

Il clamoroso sequestro da più di 779 milioni di euro nasce dalla necessità di ovviare al pericolo che tale somma, ritenuta oggetto di “illecito risparmio fiscale”, venga poi dispera in toto. Un danno tanto per il mancato incasso del debito fiscale, quanto per gli altri operatori del settore, che regolarmente versano tale imposta.

Risposta e strategia di Airbnb

Ci siamo soffermati quasi esclusivamente sulla accusa, considerando il maxi sequestro attuato e il parere in merito alla vicenda della Corte di giustizia dell’Ue. È già stata diramata, però, la risposta ufficiale da parte di Airbnb.

Il colosso ha infatti in corso una discussione con l’Agenzia delle Entrate italiana, a partire da giugno 2023, al fine di risolvere questa annosa vicenda. La società si dice sorpresa e amareggiata dall’azione annunciata e attuata: “Siamo fiduciosi d’aver agito nel pieno rispetto della legge e intendiamo esercitare i nostri diritti in merito alla vicenda”.

Interessante, infine, il “memorandum” acquisito dalla Guardia di Finanza, che presentava quattro differenti scenari d’azione da poter intraprendere, dinanzi alle normative italiane su tale imposta:

  • difendere la propria posizione, fronteggiando anni di contenzioso fiscale;
  • abbandonare del tutto i pagamenti online, al netto di una contrazione dei ricavi;
  • conformarsi alla normativa sulla cedolare secca, sfruttando un sistema di “adesione volontaria” da parte degli host;
  • conformarsi integralmente alla normativa, con “rischio potenziale” di aumento dei prezzi degli annunci e, di conseguenza, perdita di quote di mercato.