Anche i colossi degli affitti brevi riscuoteranno la cedolare secca

Il Consiglio di Stato mette la parola fine all'annosa faccenda degli affitti brevi di Airbnb. anche il colosso del web deve applicare la cedolare secca

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista economico-finanziario

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

I portali di prenotazione online, tra i quali rientra anche Airbnb, sono tenuti a riscuotere e versare all’Erario italiano la ritenuta della cedolare secca relativa agli affitti brevi. A porre fine ad una diatriba durata anni è la sentenza n. 9188 del 24 ottobre 2023, con la quale, in estrema sintesi, il Consiglio di Stato ha accolto l’appello presentato dall’Agenzia delle Entrate contro Airbnb.

La pronuncia risulta essere molto attesa. Ma, soprattutto, è molto importante, perché ha recepito quanto era stato indicato dalla Corte Ue nel corso del mese di dicembre 2022.

Il pagamento della cedolare secca

Cosa ha portato l’Agenzia delle Entrate a scontrarsi con Airbnb? Il nodo del contendere è il regime fiscale relativo alle locazioni brevi, che è stato introdotto attraverso il Decreto Legge n. 50 del 24 aprile 2017. Questa norma prevede esplicitamente l’obbligo da parte delle società – tra le quali rientra anche Airbnb – che gestiscono dei portali telematici di operare una ritenuta del 21% sull’ammontare dei canoni di locazione e di eventuali corrispettivi all’atto del pagamento. Sottoposti a questo obbligo sono i portali il cui core business è quello di mettere in contatto le persone che cercano un immobile e i proprietari.

Il Decreto Legge 50/2017 prevede, tra l’altro, che quanti svolgono l’attività di intermediazione immobiliare o stiano gestendo dei portali telematici, nel caso in cui siano residenti in Italia o abbiano nel nostro paese una stabile organizzazione, devono operare come sostituto d’imposta.

Un caso particolare è costituito dai portali telematici che non risiedono in Italia e non hanno una stabile organizzazione nel nostro paese: nel momento in cui si verifica questa situazione, il soggetto è tenuto a nominare un rappresentante fiscale per adempiere ai vari obblighi fiscali non come sostituto d’imposta, ma come responsabile d’imposta.

Fino a questo momento Airbnb si è rifiutata di adempiere a questi obblighi. Il motivo di questa decisione è molto semplice: il colosso specializzato negli affitti brevi riteneva la normativa italiana fosse discriminatoria ed in netto contrasto con la legislazione europea.

Cosa ha deciso il Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato, a questo punto, potrebbe aver finalmente messo la parola fine all’intera vicenda. O quanto meno è quello che spera Federalberghi, la quale ha accolto con piena soddisfazione la sentenza e che in una nota ha spiegato che:

Federalberghi è intervenuta nel giudizio al fianco dell’Agenzia delle Entrate per promuovere la trasparenza del mercato nell’interesse di tutti gli operatori, perché l’evasione fiscale e la concorrenza sleale danneggiano tanto le imprese turistiche tradizionali quanto coloro che gestiscono in modo corretto le nuove forme di accoglienza. Confidiamo che il pronunciamento del Consiglio di Stato metta la parola fine a una telenovela che si trascina da più di sei anni, durante i quali Airbnb si è appoggiato a ogni cavillo pur di non rispettare le leggi dello Stato.

Secondo una stima effettuata da Federalberghi, Airbnb non avrebbe versato all’erario italiano tasse per 500 milioni di euro. Purtroppo, però, quello del mancato versamento delle imposte costituisce uno dei tanti problemi che sono stati innescati con il far west degli affitti brevi. Federalberghi, infatti, auspica nuove regole, controlli e sanzioni, in modo da riuscire a tutelare i clienti ed i lavoratori del settore.

Sul caso si era espressa la Corte di Giustizia europea

Come anticipato in precedenza, il Consiglio di Stato ha sostanzialmente recepito pienamente quanto aveva già stabilito la Corte di Giustizia europea lo scorso 22 dicembre 2022. I giudici Ue, infatti, avevano affermato che il regime fiscale italiano ha l’autorità ed il diritto di chiedere di raccogliere informazioni e dati sulle locazioni effettuate. Ma soprattutto può imporre l’applicazione della ritenuta d’imposta alla fonte, così come è prevista direttamente dal regime fiscale nazionale.

Quanto richiesto dalla normativa italiana, tra l’altro, risulta essere in linea con una normativa europea più stringente. Dal 1° gennaio 2023 i codici fiscali dei locatori, i redditi percepiti e dati catastali degli immobili affittati devono essere comunicati direttamente all’Agenzia delle Entrate.

Airbnb e cedolare secca: una storia datata

La questione dell’applicabilità della cedolare secca sugli affitti sottoscritti tramite Airbnb è una storia datata. L’Agenzia delle Entrate era intervenuta sulla questione con la risposta all’interpello 373 del 10 settembre 2019, quando aveva dato un’indicazione ben precisa:

In assenza di requisiti tali da ritenere che il soggetto persona fisica eserciti l’attività di locazione nell’ambito di un’attività di impresa, può trovare applicazione l’imposta sostitutiva nella forma della cedolare secca.

La presa di posizione dell’AdE, in questo caso, era partita da un dubbio sorto ad un contribuente, che aveva presentato un’istanza con la quale chiedeva se fosse possibile usufruire della cedolare secca: il soggetto aveva intenzione di affittare per brevi periodi un appartamento a dei turisti tramite il portale Airbnb. Partendo dal presupposto che sugli importi ricevuti i portali avrebbero dovuto versare una ritenuta d’acconto del 21%, il contribuente chiedeva se l’attività si configurava come commerciale, con la conseguente necessità di aprire una partita Iva.

Nel rispondere al contribuente, l’Agenzia delle Entrate aveva richiamato la circolare n. 24/e/2017, nella quale si sottolinea che la disciplina degli affitti brevi:

si applica sia nel caso di contratti stipulati direttamente tra locatore (proprietario o titolare di altro diritto reale, sublocatore, comodatario) e conduttore, sia nel caso in cui in tali contratti intervengano soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, anche attraverso la gestione di portali online, che mettono in contatto persone in ricerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare.

In breve

Sintetizzando quanto abbiamo visto possiamo sottolineare che:

  • Airbnb è stata nuovamente sconfitta. Deve obbligatoriamente agire come sostituto d’imposta ed effettuare i versamenti relativi alla ritenuta alla fonte della cedolare secca;
  • i proprietari immobiliari possono tranquillamente sottoscrivere i contratti di locazione anche attraverso i portali, che, per legge, sono tenuti ad effettuare i versamenti delle ritenute.