Tregua Iran-Israele, la (non) mossa di Putin che evita la guerra mondiale

Il cessate il fuoco mediato dal Qatar è stato reso possibile dalla scelta, in parte obbligata, di non intervenire nel conflitto tra Iran e Israele da parte di Putin e della Cina

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Matteo Runchi

Editor esperto di economia e attualità

Redattore esperto di tecnologia e esteri, scrive di attualità, cronaca ed economia

Pubblicato: 24 Giugno 2025 09:22

Il cessate il fuoco tra Iran e Israele è stato reso possibile anche dal mancato supporto della Russia, e in parte della Cina, a una reazione iraniana più forte del bombardamento, più scenografico che efficace, della base americana di Doha, in Qatar.

Se da parte della Cina non c’è interesse a destabilizzare la regione, dalla quale proviene una parte importante del petrolio che le raffinerie del Paese acquistano a prezzo scontato grazie anche all’isolamento internazionale dell’Iran, la Russia è rimasta ferma sperando che gli Usa possano fare lo stesso con l’Ucraina.

Il cessate il fuoco mediato dal Qatar

Nella serata del 23 giugno l’Iran ha bombardato la base americana di Doha, in Qatar, senza causare morti né feriti. Una rappresaglia principalmente scenografica, ampiamente annunciata, simile a quella diretta verso Israele tra il 13 e il 14 aprile 2024, per vendicarsi del bombardamento dell’ambasciata iraniana in Libano.

A seguito di questa operazione, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che aveva in precedenza espresso preoccupazione per il prezzo del petrolio in rapida ascesa, ha usato toni conciliatori, fino all’annuncio di un cessate il fuoco ottenuto dalla mediazione della diplomazia del Qatar.

L’Iran ha prima negato e poi annunciato di aver accettato la tregua. Dopo ore di silenzio, nella mattinata del 24 giugno anche Israele ha comunicato il suo assenso alla tregua.

Putin non ha voluto né potuto intervenire in Iran

L’Iran ha così ottenuto di salvare almeno le apparenze, con una tregua arrivata dopo una risposta che la propaganda di regime potrà spacciare per una vittoria. Teheran, però, non aveva altre opzioni, soprattutto dopo che il ministro degli Esteri Abbas Araghchi non aveva ricavato altro che solidarietà dal presidente russo Vladimir Putin, durante la sua visita a Mosca il 23 giugno.

La scelta di Putin di non agire è duplice, da una parte, come ha spiegato il professor Pejman Abdolmohammadi, docente di Storia dei Paesi Islamici presso l’Università di Trento, in un’intervista al Messaggero, il presidente russo spera che non intervenendo in Iran, possa ottenere un minor impegno degli Usa in Ucraina:

La Russia ha già barattato l’Iran, tempo fa, assieme alla Siria, in cambio di avere influenza in Ucraina. L’attacco Usa fa sicuramente parte del gioco delle parti tra Netanyahu e Trump. Non si aprirà una crisi molto lunga su quel fronte.

Come accennato anche da Abdolmohammadi, però, altre circostanze, come la caduta di Assad in Siria fanno sorgere dubbi sulla capacità dell’esercito russo di intervenire significativamente in scenari di questo tipo.

Mosca è duramente provata dalla guerra in Ucraina e dalle sanzioni occidentali, come ammesso anche dal ministro dell’Economia, Maxim Reshetnikov, che al recente Forum economico di San Pietroburgo ha parlato di un Paese sull’orlo della recessione.

L’atteggiamento della Cina, tra opposizione agli Usa e status quo

Il professor Abdolmohammadi ha parlato anche della delicata posizione della Cina sulla questione mediorientale:

La Cina si schiererà con la Repubblica Islamica perché chiaramente è un segno di debolezza lasciare che Washington riesca a influenzare fortemente Teheran.

Pechino non vuole un cambio di regime in Iran, perché l’isolamento di Teheran è parte fondamentale della sua strategia energetica. La Cina ha importato a marzo 2025 più di 1,8 milioni di barili di petrolio, secondo i dati della società di analisi Kepler, citati da Reuters.

La Cina compra circa il 90% delle esportazioni iraniane di petrolio, approfittando del fatto che buona parte dei Paesi occidentali impone sanzioni su Teheran e quindi non rappresenta un possibile mercato di sbocco per l’industria estrattiva del Paese.

Al contempo, Pechino ottiene spesso un prezzo scontato per queste importazioni, essendo in pratica l’unico compratore. Un cambiamento di regime, che avvicinerebbe l’Iran al resto della comunità internazionale, potrebbe rappresentare la fine di questa strategia.