Perché la Russia non ha vinto la guerra dopo un mese

Ci sono diverse ragioni per cui Vladimir Putin sta uscendo sconfitto dalla quella che doveva essere una guerra lampo e dura invece da un mese

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Doveva essere una guerra lampo quella “operazione militare speciale” che Vladimir Putin ha annunciato la mattina del 24 febbraio alla TV russa, mentre partivano i primi missili contro l’Ucraina. E inizialmente anche il mondo temeva di vedere Kiev distrutta dai bombardamenti in pochi giorni, o addirittura poche ore. Ma il Cremlino non ha tenuto conto di tanti fattori che hanno ribaltato la situazione. O almeno creato uno stallo tra i due Paesi in conflitto.

C’è oggi una condizione di equilibrio precario che potrebbe presto venire meno, ma da cui continua a non emergere alcun vincitore. Tra spinte esterne, alleanze di facciata, la dura risposta del mondo occidentale e una disorganizzazione interna indegna per una grande potenza, la Russia potrebbe trovarsi costretta a una umiliante ritirata. Davide potrebbe sconfiggere ancora una volta Golia.

Perché la Russia non ha vinto la guerra dopo un mese: il “fattore Ucraina”

A svelare le falle nei piani della Russia, riporta l’Adnkronos, ci ha pensato una talpa dell’agenzia di intelligence Fsb, il servizio federale per la sicurezza. Secondo quanto riferito, Mosca si aspettava di vedere il proprio esercito accolto dagli ucraini, desiderosi di essere liberati. Migliaia di civili si sarebbero dovuti riversare nelle piazze per protestare contro il governo, altrettanti avrebbero dovuto imbracciare le armi per combattere al fianco dei russi.

Così non è stato. E anzi l’invasione ha portato a una vera e propria ondata di ritrovato patriottismo, con le minoranze russofone che hanno iniziato a condannare gli atti di Vladimir Putin, in particolare dopo che l’esercito, ben lontano da prendere la capitale e rovesciare il governo, ha iniziato a colpire anche obiettivi civili.

Non solo è mancato il supporto dell’opinione pubblica ucraina, ma anche quello della classe dirigente amica del Cremlino. Che avrebbe dovuto convincere la popolazione a piegarsi allo “zar” e che avrebbe dovuto salire al potere dopo la fuga di Volodymyr Zelensky. Le azioni del presidente ucraino, infatti, avrebbero dovuto agevolare l’avanzata russa.

Così non è stato, visto che l’ex comico e attore televisivo, al contrario delle aspettative di Putin, non è scappato all’estero. E ha anzi dato segnali forti per tenere unito il Paese già dalle prime ore dei bombardamenti, sfruttando tra l’altro il suo passato nel mondo dello spettacolo per puntare i riflettori sulla guerra.

Anche la sua immagini pubblica è cambiata molto in questo mese. Il Capo di Stato ucraino si mostra sempre in abiti militari, e con toni cupi e decisi ha chiesto, e ottenuto, l’intervento dell’Occidente nel conflitto. Rimarrà nella storia la sua frase “Forse è l’ultima volta che mi vedete vivo”, pronunciata in collegamento con i leader dei Paesi Nato.

L’uso sapiente di Twitter e Telegram ha permesso di rendere la guerra più vicina e condivisa. In questo mese di conflitto Zelensky ha giocato bene le proprie carte, senza mostrare mai segni di cedimento o debolezza, se non quelli funzionali ad avvicinarsi all’Occidente.

Proprio internet e il mondo dell’informazione hanno avuto un ruolo cruciale in questa guerra, che la Russia contava di vincere anche attraverso la propaganda. Con operazioni di debunking e video e foto pubblicati dagli utenti dei social network, la lunga mano invisibile dei troll di Mosca non è riuscita questa volta a manipolare le notizie a proprio vantaggio.

Non significa che Kiev non abbia cercato di fare altrettanto, ma la narrazione è apparsa più fluida e trasparente, delineando subito un marcato confine tra i “buoni” e i “cattivi” della guerra. L’Ucraina è stata più brava a mostrare le debolezze dell’avversario e toccare le corde emotive più profonde del resto del mondo, che ha provato con gli ucraini la paura delle bombe e la rabbia per l’invasione.

Perché la Russia non ha vinto la guerra dopo un mese: i fattori interni

E se da una parte c’è un Paese inaspettatamente forte e unito, dall’altra c’è una Russia quanto mai disorganizzata. A iniziare dalle soffiate dell’intelligence che si sono dimostrate clamorosamente false sul campo, con i dirigenti dei servizi segreti che oggi tremano per l’ira di Vladimir Putin. L’esercito era stato preparato per una guerra lampo proprio per le previsioni degli agenti russi.

Tra i fattori interni che stanno contribuendo alla sconfitta di Mosca, c’è l’inesperienza dei giovani militari mandati a combattere con mezzi di fortuna, o comunque con armamenti di scarsa qualità. I mezzi russi sono “perfino più vecchi dei nostri”, come hanno sottolineato in un video virale alcuni soldati ucraini.

Gli analisti internazionali sono pronti a giurare che il Cremlino potrebbe presto battere in ritirata perché mancherebbero le munizioni e il carburante necessari per una guerra di posizione, a cui i russi non erano adeguatamente preparati.

Tra l’altro sarebbero almeno cinque i generali uccisi dall’inizio del conflitto, e con loro tanti alti ufficiali. Una catena di comando incerta, quella russa, che cade davanti a una resistenza serrata e finanziata dall’Occidente, lasciando interi reparti senza ordini da eseguire.

Perché la Russia non ha vinto la guerra dopo un mese: i fattori esterni

A influire sulla riuscita dell’operazione militare, poi, ci sono i fattori esterni. Anche questi sfuggiti al controllo della Russia. I Paesi Nato e altri storicamente neutrali, come la Svizzera, sono intervenuti inaspettatamente nella guerra. Da una parte con sanzioni pesanti che hanno portato Mosca sull’orlo della crisi economica e l’hanno isolata dalla comunità internazionale. Dall’altro fornendo sostegno e mezzi militari e aiuti umanitari all’Ucraina.

E mentre Vladimir Putin continua a lanciare minacce al blocco occidentale, Europa, Stati Uniti e Giappone si allontanano sempre più dalla Russia, con la fuga di capitali e nessun alleato disposto a tendere la mano al Cremlino, cambiando definitivamente gli equilibri internazionali.

Mosca contava sull’aiuto di Pechino, come è emerso già nei giorni seguenti all’invasione. E se la Cina si è fermamente opposta alle sanzioni, dall’altro non ha agito come sperato dalla Russia, fornendo sostegno militare ed economico, e approfittando del conflitto in Europa per risolvere l’annosa questione di Taiwan.

La Cina potrebbe puntare invece, nonostante le dichiarazioni ufficiali di amicizia con Putin, a sostituire la Russia come superpotenza nei rapporti commerciali con l’Occidente, allargando la propria sfera di influenza in previsione di una lenta ripresa di Mosca, che ha ormai bruciato i rapporti diplomatici con tutti i partner commerciali più importanti.

La Russia contava probabilmente anche sul supporto logistico e militare di Bielorussia, Cecenia e Siria, alleati storici (per non dire province) che stanno però contribuendo poco e niente sul campo, e non in maniera ufficiale. I soldati stranieri al fianco dei militari russi sono un gruppo sparuto e impreparato a combattere una guerra di questa portata, e senza interventi più decisi, non sembrano spostare troppo l’ago della bilancia in favore di Putin.

Come finirà la guerra in Ucraina? I possibili scenari

A un mese dall’inizio del conflitto, dunque, sembra chiaro che la Russia non vincerà la guerra, o lo farà al costo di perdere un quantitativo enorme di vite umane e macchiando la propria reputazione per sempre.

Trovandosi con le spalle al muro, Putin potrebbe ricorrere ad azioni folli, come l’uso di armi nucleari. Ma il malcontento generale tra la popolazione e la classe dirigente potrebbe anche portare a un colpo di stato in Russia, come anticipato qua. Difficile oggi prevedere come finirà la guerra in Ucraina. Rimane la speranza, sempre più remota, che torni presto la pace.