Stellantis, compensi in calo per Elkann e Tavares, che pensano a spostare la 500 all’estero

Scendono i compensi per il presidente e l'amministratore delegato di Stellantis. Sempre più insistenti le voci che vedono la chiusura di Mirafiori

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Giorgio Pirani

Giornalista economico-culturale

Giornalista professionista esperto di tematiche di attualità, cultura ed economia. Collabora con diverse testate giornalistiche a livello nazionale.

Nel corso del 2023, il presidente di Stellantis, John Elkann, ha ricevuto compensi complessivi pari a circa 4,8 milioni di euro, segnando un calo rispetto ai 5,85 milioni percepiuti nel 2022. Questi dati emergono dalla Relazione Annuale 2023 pubblicata dalla società. Nel dettaglio, Elkann ha beneficiato di una remunerazione fissa, che include una retribuzione base di circa 924.000 euro e fringe benefits per circa 684.000 euro, oltre a una componente variabile sotto forma di incentivi a lungo termine per circa 3,2 milioni.

In calo anche i compensi di Tavares

L’Amministratore Delegato di Stellantis, Carlos Tavares, ha ricevuto invece una retribuzione complessiva di circa 13,5 milioni di euro, anche lui in calo di circa 1,4 milioni di euro rispetto all’anno precedente.

La retribuzione per il 2023 è stata così strutturata: una retribuzione base fissa di 2 milioni di euro, invariata da tre anni, a cui si è aggiunta una componente variabile basata sui Key Performance Indicator (KPI) di performance, pari al 90% dei quali ha portato ad un compenso di 11,5 milioni di euro, inferiore di circa 1,4 milioni rispetto all’anno precedente.

Oltre alla retribuzione di base e variabile, nel 2023 Tavares ha ricevuto un incentivo di 10 milioni di euro per il suo ruolo nella trasformazione di Stellantis in un fornitore di mobilità tecnologica sostenibile. Questo incentivo è stato approvato nel 2021 dal Board di Stellantis nell’ambito di un piano quinquennale per raggiungere tappe significative e strategiche legate all’innovazione del Gruppo. In aggiunta, sono stati attribuiti all’Amministratore Delegato incentivi a lungo termine per un totale di 13 milioni di euro, i quali saranno assegnati solo se specifici obiettivi di performance saranno raggiunti nei prossimi anni.

Accordo Stellantis-Cina: rischio chiusura per Mirafiori?

Intanto, aumentano le speculazioni riguardo a una possibile “pista cinese”, con Stellantis che sembra orientata a stringere partnership mirate con le concorrenti orientali al fine di sviluppare veicoli elettrici più accessibili per il mercato futuro.

Un accordo che secondo voci di corridoio porterebbe la produzione della Fiat 500 all’estero e che per Mirafiori, lo storico stabilimento dell’azienda, significherebbe la chiusura. Per Mirafiori si sta prendendo in considerazione l’opzione di avviare la produzione di veicoli elettrici economici per conto di un marchio cinese recentemente acquisito da Stellantis, la Leapmotor, un giovane marchio con sede a Hangzhou. Si prevede che la produzione possa iniziare tra il 2026 e il 2027, con volumi potenziali fino a 150.000 unità all’anno una volta raggiunta la piena capacità produttiva.

Per il deputato Marco Grimaldi dell’Alleanza Verdi Sinistra, intervistato da Today, ci sono alcune preoccupazioni legittime riguardo a queste potenziali collaborazioni con la Cina. Da un lato, c’è un’apertura da parte di Stellantis nei confronti di un’eventuale partnership con Leapmotor International, controllata al 51% dall’azienda, per sfruttare opportunità nel mercato cinese. “Tutto molto bello sulla carta ma poi, al tavolo su Mirafiori a cui erano presenti Regione, Comune, sindacati e Confindustria, questo tema non è stato neanche accennato. E lì abbiamo l’unica auto elettrica prodotta in Italia, ovvero la 500, che arriverà a fine ciclo nel 2027”, afferma il deputato.

Questo solleva dubbi sulla reale volontà di mantenere la produzione in Italia, specialmente considerando che alcuni modelli, come la Panda elettrica e la 600, sono già stati spostati altrove, come in Serbia e in Polonia. “Nessuno ne parla, ma non si vede mezza nuova assunzione in nessuno dei poli italiani. Mirafiori è agonizzante: ormai sono 17 gli anni di cassa integrazione – conclude – non abbiamo paura che i cinesi arrivino a Mirafiori, ma non vogliamo prese in giro, nel senso che si fa un’acquisizione per tutelare il fatturato e poi si sposta la produzione altrove”.