Stipendi sempre più bassi, 5,7 milioni di italiani sotto gli 11mila euro l’anno

Nel 2022 il salario medio in Italia si è attestato a 31,5 mila euro lordi annui, molto più giù di Germania e Francia

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Giorgio Pirani

Giornalista economico-culturale

Giornalista professionista esperto di tematiche di attualità, cultura ed economia. Collabora con diverse testate giornalistiche a livello nazionale.

Secondo uno studio condotto dall’Ufficio Economia dell’Area Politiche per lo Sviluppo della Cgil Nazionale, più di 5,7 milioni di lavoratori ricevono un salario annuo lordo medio inferiore a 11.000 euro. Ma il problema della bassa retribuzione coinvolge una fascia ancora più ampia della popolazione lavorativa: oltre 2 milioni di dipendenti guadagnano mediamente meno di 17.000 euro lordi all’anno. Lo studio analizza le ragioni di questa situazione, concentrandosi sulla discontinuità nell’occupazione, sul lavoro a tempo parziale e sulla precarietà contrattuale in Italia.

Italia tra le peggiori nell’Eurozona: i motivi

Il confronto tra le principali economie dell’Eurozona, secondo i dati dell’Ocse relativi al lavoratore a tempo pieno equivalente nel 2022, rivela che il salario medio in Italia si è posizionato a 31.500 euro lordi annui, cifra significativamente inferiore rispetto a Germania (45.500 euro) e Francia (41.700 euro).

Questa disparità nel salario medio italiano è attribuibile a diversi fattori, tra cui una maggiore presenza di professioni non qualificate, un’elevata incidenza del lavoro a tempo parziale involontario (57,9%, la più alta nell’area euro) e del lavoro temporaneo (16,9%), accompagnati da una marcata discontinuità nell’occupazione. Nel 2022, più della metà dei contratti di lavoro conclusi aveva una durata fino a 90 giorni. In sintesi, nonostante le ore lavorative siano comparativamente più elevate in Italia, i salari medi e la loro contribuzione al Pil risultano notevolmente inferiori.

Nel corso del 2022, il salario medio dei lavoratori dipendenti del settore privato, esclusi agricoli e domestici, con almeno una giornata retribuita nell’anno, è stato di 22.839 euro lordi annui, secondo i dati dell’Inps. Questo gruppo comprende 16.978.425 individui. Il 59,7% di tali lavoratori ha percepito una retribuzione media inferiore alla media generale. La categoria è costituita da oltre 7,9 milioni di dipendenti con contratti discontinui e da oltre 2,2 milioni di lavoratori part-time a tempo pieno per l’intero anno.

La disparità salariale tra il settore pubblico e quello privato è in gran parte determinata dalla minore incidenza di contratti part-time e di lavoro precario nel settore pubblico. Inoltre, lo studio evidenzia che i ritardi nell’aggiornamento dei contratti collettivi nazionali di lavoro (Ccnl) contribuiscono a una percentuale significativa di lavoratori che percepiscono salari non aggiornati.

Per il segretario confederale della Cgil Christian Ferrari: “I dati non potrebbero essere più eloquenti. Se passiamo dal lordo al netto, risulta che, nel 2022, 5,7 milioni di lavoratrici e lavoratori hanno guadagnato l’equivalente mensile di 850 euro, altri 2 milioni di dipendenti arrivano ad appena 1200 euro al mese. E la situazione non è certo migliorata nel 2023, anno in cui l’inflazione ha raggiunto il 5,9%, cumulandosi con quella dei due anni precedenti, raggiungendo un totale del 17,3%”.

Nonostante l’aumento i lavoratori hanno salari non adeguati

L’aumento salariale del +6,3% nel 2022, pari a circa 2.000 euro lordi annui, è stato superiore al settore privato, ma non ha tenuto il passo con l’inflazione dello stesso periodo. Lo studio evidenzia che i lavoratori rimangono con salari non adeguati, principalmente a causa dei prolungati ritardi nel rinnovare i contratti nazionali di lavoro. Questa situazione riflette una tendenza persistente nel nostro Paese, radicata nel modello economico basato su un sistema produttivo a basso valore aggiunto, che favorisce principalmente le micro e piccole imprese. Tale contesto tende a favorire una domanda di lavoro meno qualificato e più precario, con conseguente bassa retribuzione.

È significativo il confronto con altri grandi Paesi dell’eurozona: nel 2022, secondo i dati dell’Ocse, i lavoratori dipendenti in Italia hanno lavorato in media 1.563 ore all’anno, un numero simile a quello della Spagna ma notevolmente superiore rispetto a Germania (1.295 ore) e Francia (1.427 ore). Tuttavia, nonostante si lavori di più in Italia, la quota del reddito nazionale destinata ai salari è notevolmente inferiore, persino rispetto alla Spagna.