Vendite al dettaglio in calo, inflazione e caro vita minacciano i consumi

I numeri diffusi oggi sono peggiori delle attese e "rappresentano un campanello d’allarme per la possibilità di ripresa nei mesi finali del 2023": i commenti

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Redazione

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Vendite in dettaglio in calo a settembre: un dato peggiore delle attese che conferma un quadro in chiaroscuro. L’Istat ha stimato per il mese di settembre 2023 un calo congiunturale dello 0,3% in valore (superiore al -0,2% atteso dagli analisti) e dello 0,6% in volume. Sono in diminuzione sia le vendite dei beni alimentari (-0,2% in valore e -0,6% in volume) sia quelle dei beni non alimentari (rispettivamente -0,5% e -0,6%).

Vendite al dettaglio in calo

Numeri che non piacciono alle associazioni. Per l’Ufficio Studi di Confcommercio i numeri diffusi oggi chiudono “un trimestre non facile per la domanda delle famiglie e rappresenta un campanello d’allarme per la possibilità di ripresa nei mesi finali del 2023. Allo stato attuale il ridimensionamento dei volumi acquistati è un fenomeno sostanzialmente diffuso sia a livello di prodotti, sia di format distributivi. Il rallentamento dell’inflazione, che rappresenta una delle vie per restituire certezze e fiducia alle famiglie, pur ben avviato, è ancora scarsamente percepito dai consumatori che continuano a mantenere un atteggiamento estremamente prudente negli acquisti”.

Particolarmente difficile è, in questo contesto, la situazione delle piccole imprese e di alcuni segmenti di consumo più tradizionali (abbigliamento, calzature e mobili) che scontano da mesi significative diminuzioni nei volumi di vendita. Non fosse per la sorprendente tenuta dell’occupazione nei mesi di agosto e settembre, le recenti revisioni al ribasso per la variazione del PIL in questo e nel prossimo anno sarebbero state ben più marcate, tenuto conto dei diffusi segni negativi nelle dinamiche di tutti gli altri indicatori congiunturali”, prosegue Confcommercio.

Pesano inflazione e caro vita

Per Assoutenti i dati sulle vendite al dettaglio di settembre dimostrano ancora una volta come l’emergenza prezzi stia modificando profondamente le abitudini delle famiglie italiane, determinando non solo un drastico taglio della spesa, ma anche un cambiamento nei comportamenti dei cittadini.

Il segnale più allarmante che arriva dal commercio è quello relativo agli alimentari, settore che su base mensile segna un calo sia in valore (-0,2%) che in volume (-0,6%), mentre su base annua le vendite scendono del -3,1% in volume, a fronte di una spesa per cibi e bevande che sale in valore del 5,5%. Questo significa che, al netto degli effetti dell’inflazione, le famiglie tagliano la spesa alimentare per complessivi 4,4 miliardi di euro annui, un dato estremamente preoccupante – stima Assoutenti.

“Gli italiani da un lato tagliano la spesa, dall’altro cambiano le proprie abitudini, attuando strategie tese a massimizzare i risparmi – afferma il presidente Furio Truzzi – Lo dimostrano gli stessi dati Istat che registrano una forte crescita per i discount alimentari, esercizi che vedono le vendite salire a settembre del +6,3%, e addirittura del +9,2% nei primi nove mesi del 2023”.

Sulle vendite al dettaglio non si arresta l’effetto caro-prezzi, con la spesa delle famiglie fortemente influenzata dai rincari che continuano a colpire tutti i settori, afferma il Codacons, commentando i numeri forniti oggi dall’istituto di statistica.

“Quadro complicato”, i commenti

Anche a settembre le vendite registrano l’ennesimo crollo verticale in volume, con una contrazione su base annua del -4,4% a fronte di un aumento in valore del +1,3% – analizza l’associazione – Questo significa che, al netto dell’inflazione e considerata la spesa per consumi delle famiglie, gli acquisti calano in volume per complessivi 35,7 miliardi di euro annui, pari in media a -1.386 euro su base annua a famiglia.

“La riduzione dell’inflazione registrata il mese scorso non salverà il commercio e non avrà effetti sui volumi di spesa degli italiani – spiega il presidente Carlo Rienzi – Questo perché la frenata dei prezzi al dettaglio certificata dall’Istat è un mero effetto ottico dovuto al crollo dei beni energetici, mentre i listini dei beni più acquistati dalle famiglie continuano a subire rincari sostenuti. Il paniere salva-spesa varato dal Governo non sta producendo gli effetti sperati, e crediamo che il Governo debba adottare misure più incisive per fermare il caro-prezzi e sostenere i consumi”

Per Confesercenti “dalle vendite di settembre emerge un quadro che rappresenta perfettamente lo stato di difficoltà in cui vivono moltissime famiglie italiane. Uno scenario che desta allarme, con un Pil stagnante nel terzo trimestre dovuto soprattutto alla debolezza della domanda interna ed in cui il rallentamento dei consumi allontana sempre più le prospettive di ripresa dell’economia”. “Nella manovra di bilancio, che ha iniziato il suo inter in Parlamento, ci sono provvedimenti che vanno nella giusta direzione dando un po’ di respiro alle famiglie e dunque sostegno ai consumi, in particolare per quel che riguarda il taglio del cuneo contributivo e la riduzione delle prime aliquote di imposta. Ma bisogna accompagnare queste misure ad un alleggerimento più sostanziale del peso del fisco, prestando attenzione anche al fiscal drag, che avviene quando l’aumento nominale dei redditi correlato all’inflazione porta automaticamente all’applicazione di aliquote più elevate e quindi all’incremento del prelievo fiscale. Un assaggio lo si sta avendo con il taglio del cuneo fiscale predisposto dal governo, che in parte sarà eroso proprio dal fisco. Bisogna dunque rivedere la struttura delle aliquote per annullarne gli effetti negativi”.

Trimestre anti-inflazione: un primo bilancio

Lievemente più ottimista il commento di Federdistribuzione. “Seppur i dati di settembre confermino ancora una situazione di debolezza dei consumi, nel mese di ottobre si registrano i primi segnali positivi, da 12 mesi a questa parte, sull’andamento dei volumi nel comparto alimentare. L’analisi dei dati di NIQ, relativi ad ottobre, indica un dato relativo ai volumi nel comparto grocery, totale Italia, per l’insieme dei canali della Distribuzione Moderna, a +1,7%, contro un -0,1% di settembre e con un’inflazione relativa a questo paniere che scende al +5%, dal +7% di settembre. È importante inoltre registrare che nel segmento dei prodotti a Marca del Distributore (MDD) i dati risultano ben più significativi: il trend a volume registrato a ottobre indica +5,4%, contro +2,5% di settembre, mentre l’inflazione su questi prodotti segna un -3,1%, scendendo al 3,4% dal 6,5% di settembre. La quota di mercato della MDD raggiunge ad ottobre il risultato storico del 32,9%, con una crescita di 0,5% rispetto a settembre. Per quanto riguarda l’Industria di Marca (IDM), pur migliorandolo, registra un trend a volumi in terreno negativo, -0,5% a ottobre, contro -1,6% di settembre, con l’inflazione su questo segmento che scende dal +7,6% al +6,2%, e la quota di mercato che perde lo 0,5%.

“Ottobre è il primo mese del ‘trimestre anti-inflazione’, che ha visto l’adesione pressoché unanime delle imprese della distribuzione. I dati rilevati da NIQ evidenziano chiaramente che le numerose attività messe in campo dalle aziende a sostegno dell’iniziativa attraverso l’offerta dei prodotti a marca del distributore stanno avendo un riscontro positivo da parte delle famiglie italiane, che ne apprezzano sempre più la qualità e la convenienza”, ha commentato Carlo Alberto Buttarelli, Presidente di Federdistribuzione.