La musica digitale inquina: ecco perché

La musica in streaming genera maggiori quantitativi di emissioni di gas serra: lo sostiene uno studio

Foto di QuiFinanza

QuiFinanza

Redazione

QuiFinanza, il canale verticale di Italiaonline dedicato al mondo dell’economia e della finanza: il sito di riferimento e di approfondimento per risparmiatori, professionisti e PMI.

Quanto “costa” ascoltare musica? Le innovative piattaforme digitali non sono così sotenibili come si potrebbe pensare.

Ascoltare della buona musica per rilassarsi: ecco uno dei passatempi più frequenti nonché il preferito da tantissime persone. Grazie ai dispositivi elettronici di nuova generazione è possibile ascoltare i propri brani desiderati in qualunque momento e in ogni luogo. Offrono infatti un supporto sicuro per quelle piattaforme come Apple Music, Spotify, YouTube, Amazon e dove non è sempre indispensabile possedere una connessione a internet.

Spiegato in questi termini verrebbe spontaneo pensare che il consumo di musica digitale sia sostenibile. Non servono supporti, involucri plastici o copie materiali (come ad esempio cd, cassette e vinili) che di conseguenza, non vanno a produrre inquinamento. Ma è davvero così? A quanto pare no, e a sostenerlo è uno studio effettuato da un gruppo di ricercatori delle Università di Glasgow e Oslo e secondo il quale il consumo di musica digitale ha generato un impatto ambientale ed economico negativo.

L’inquinamento di cui parla questo studio dal titolo “The cost of music”, sarebbe legato alla memorizzazione prima e distribuzione poi, di brani digitali che hanno causato un aumento sostanziale nelle emissioni di gas serra. Un fattore quest’ultimo, responsabile del surriscaldamento globale e dei cambiamenti climatici.

A una riduzione del materiale plastico legato al settore musicale, non corrisponde infatti un reale rispetto dell’ambiente e la chiave di volta sta nell’energia usata per ascoltare la musica in streaming. Come spiegato dal professore Kyle Devine, tra i principali autori dello studio: “Un quadro molto diverso emerge quando prendiamo in considerazione l’energia utilizzata per tenere in piedi l’ascolto in streaming online. Memorizzare e processare musica in rete significa infatti sfruttare un’enorme quantità di risorse che hanno un impatto elevato sull’ambiente”.

Dati alla mano, il quadro che è emerge è questo: la plastica prodotta dal settore discografico negli States è diminuito, al punto che dai 61 milioni di chilogrammi prodotti si è passati agli 8 milioni e questo in un arco temporale che va dal 2000 al 2016. Tuttavia, le emissioni di gas serra, dai 136 milioni di chilogrammi generati nel 1988 sono saliti a 157 milioni nel 2000 fino a un massimo di 350 milioni (stimati) nel 2016. Si tratta di dati legati solo agli USA dove si memorizza il maggior numero di brani e destinati (allo stato attuale delle cose) ad aumentare nel 2020.