Titoli di Stato, corsa delle famiglie a BOT e BTP

Quota raddoppiata in 2 anni. Il 13,5% è in mano ai piccoli risparmiatori. La proposta di Sileoni (Fabi): "Anche in Italia depositi siano legati all'inflazione".

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Redazione

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Cresce la quantità di debito pubblico del nostro Paese in mano alle famiglie. Negli ultimi due anni, infatti, la quota di bot e btp detenuta dai piccoli risparmiatori è più che raddoppiata e nel corso del 2023 si è assistito a una vistosa accelerazione: a dicembre 2021, con il debito che aveva toccato i 2.572 miliardi, il mercato retail aveva il 6,4% delle obbligazioni emesse dal Tesoro in circolazione, vale a dire 685 miliardi su 2.234 miliardi complessivi di titoli.

Corsa al debito pubblico

A fine 2022, con il debito che aveva toccato i 2.757 miliardi, un primo scatto: la percentuale di titoli statali in mano alle famiglie era salita all’8,7% (199 miliardi su 2.280 miliardi di titoli). Ma è nei primi 10 mesi dello scorso anno che, tra Btp Italia e Btp Valore, la corsa le famiglie a comprare debito pubblico si è fatta più insistente: a ottobre (ultimo dato disponibile, quando il debito era arrivato a 2.867 miliardi), le famiglie avevano il 13,5% di bot e btp, cioè 322 miliardi sui 2.389 miliardi totali di emissioni statali. È quanto emerge da una ricerca della Federazione autonoma bancari italiani.

 le ragioni del successo

A favorire il successo del debito pubblico hanno contribuito da un lato l’inflazione e dall’altro la scarsa remunerazione dei depositi e dei conti correnti da parte delle banche. Un mix negativo che ha spinto i correntisti a spostare la liquidità e i risparmi su forme più profittevoli di investimento, comunque capaci di assicurare sicurezza e affidabilità. Le emissioni del Tesoro del 2023 si sono inserite in questo scenario e i titoli pubblici hanno riscontrato, perciò, il favore del mercato a cui erano destinati. Su bot e btp, in generale, è probabilmente stata dirottata anche una quota della liquidità che le famiglie tenevano, per prassi, sui conti correnti (sui quali il tasso d’interesse pagato dagli istituti è in media inferiore all’1%). Nei primi 10 mesi dello scorso anno, dai conti correnti si è registrato un deflusso di 152 miliardi, da 1.452 miliardi a 1.300 miliardi. Tale diminuzione è da ascrivere a due fattori: il primo è l’utilizzo delle riserve, soprattutto da parte delle famiglie, ma anche da parte delle imprese, per far fronte da un lato all’aumento dei prezzi e dall’altro all’incremento dei tassi d’interesse sui prestiti, diventati troppo onerosi; il secondo fattore è lo spostamento di una parte della liquidità, su strumenti bancari che assicurano una remunerazione maggiore alla clientela oltre che sui titoli di Stato.

Le prospettive per il 2024

Si tratta di una tendenza che verosimilmente proseguirà per tutto il 2024: è assai probabile, infatti, che conti correnti e depositi continuino a ricevere una remunerazione a un tasso inferiore al costo del denaro stabilito dalla Banca centrale europea, ragion per cui i titoli di Stato continueranno a svolgere una funzione di salvaguardia del potere d’acquisto: una risposta efficace alla morsa dell’inflazione.

Depositi legati all’inflazione: la proposta di Sileoni

Introdurre anche in Italia i depositi vincolati all’inflazione, come avviene in Francia e Spagna, destinando parte della liquidità raccolta alle imprese. Questa la proposta del segretario generale della Fabi Lando Sileoni. “L’aumento degli investimenti in titoli di stato da parte dei piccoli risparmiatori – ha spiegato Sileoni ai microfoni di Sportello Italia su Radio Rai Uno – è legato al fatto che i tassi sui conti correnti sotto l’1% e sui depositi tra il 2,5 e il 3% in media in Italia, sono tra i più bassi in Europa e spingono le famiglie a scelte diverse”. Un fenomeno che, a suo dire, si verifica soprattutto nei periodi in cui “l’inflazione altissima erode i risparmi e il potere d’acquisto del denaro lasciato in banca”, così il risparmio si dirootta sui Btp, che “rendono attorno al 4%, secondo le varie scadenze e offerte”. Per riequilibrare la situazione Sileoni propone di cominciare a ragionare anche in Italia “su forme d’investimento diverse, come in Francia e Spagna, dove le banche offrono tassi sui depositi vincolati all’inflazione e una parte di questa liquidità viene investita in attività produttive, cioè i prestiti alle imprese destinati a fare investimenti”.