Crisi del Mar Rosso, Confindustria: traffico dimezzato e costi quasi raddoppiati

I continui attacchi degli Houthi alle navi cargo hanno costretto gli armatori a cercare rotte alternative. Il commercio marittimo viene spinto verso la stessa crisi dei mesi più duri della pandemia

Foto di Mauro Di Gregorio

Mauro Di Gregorio

Giornalista politico-economico

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

La crisi del Canale di Suez rischia di avere gravi ripercussioni sull’economia globale. Dopo la forte riduzione dei transiti nel Canale per gli attacchi del gruppo yemenita degli Houthi, il Centro Studi di Confindustria ha fotografato una situazione allarmante: a metà gennaio, il traffico di navi nel mar Rosso si è più che dimezzato e il costo di trasporto dei container dall’Asia all’Europa è aumentato del 92%.

Petrolio e gas a rischio

“I prezzi di gas e petrolio non ne hanno risentito finora”, viene scritto nell’analisi mensile Congiuntura Flash, anche se viene puntualizzato che “restano alti”. Saranno il tempo e gli eventi a dire se e di quanto aumenterà il prezzo degli idrocarburi con il perdurare della crisi. I fossili sono fra le merci più esposte al rischio di scarsità e di rincari: è da Kuwait, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Iraq che l’Italia prende gran parte del petrolio e del gas; e parte del petrolio dell’Arabia Saudita viene imbarcato a nord dello Yemen.

Altri beni a rischio

Altre merci particolarmente a rischio sono i prodotti elettronici (dal momento che più della metà dell’import extra-Ue viene dalla Cina), la pelletteria (che arriva per quasi un terzo dalla Cina) e i macchinari (che hanno il principale sbocco verso i paesi asiatici).

Per gli italiani il perdurare della situazione potrebbe tradursi in un aggravio di oltre 400 euro in più a famiglia, solo per i previsti rincari di gas e benzina e senza contare i rialzi di tutte le altre merci.

L’importanza del Canale di Suez

Gli economisti del Centro Studi di Confindustria puntualizzano che “il 90% del volume degli scambi globali avviene via mare” e prima della crisi “il 12% transitava per il Canale di Suez“. In Italia, viene aggiunto, “il 54% degli scambi è via nave, di cui il 40% tramite Suez; soprattutto, via mare transita più del 90% dei flussi italiani con i principali paesi a est del Mar Rosso”.

Più la crisi di Suez si prolunga, “maggiori saranno gli effetti negativi sul commercio estero italiano e globale”, viene confermato. Per l’export italiano nel 2024 viene dunque annunciata una situazione dalle prospettive alquanto “incerte”.

10 giorni in più di navigazione

Dopo gli attacchi degli Houthi, quasi tutte le compagnie di navigazione hanno deviato buona parte delle proprie rotte a sud del Capo di Buona Speranza, in Sudafrica. Ciò si traduce in almeno 10 giorni di navigazione in più e in maggiori costi correlati a carburante, equipaggi e manutenzioni.

La Stampa riporta l’opinione di Ami Daniel, co-fondatore di Windward, società specializzata in analisi dei traffici marittimi. Secondo Daniel, se gli attacchi dovessero proseguire il calo complessivo del traffico da Suez potrebbe sfiorare il 40% o addirittura il 50%. Una situazione paragonabile ai mesi più duri della pandemia.

Pil, inflazione e industria

Per quanto riguarda il resto, il Centro Studi di Confindustria parla di un Pil italiano che “potrebbe essere andato meglio dell’atteso” a fine 2023. Servizi e costruzioni sono ripartiti, viene spiegato, anche le “l’industria resta debole”.
E nonostante l’inflazione sia “ai minimi” in Italia, la situazione non va di pari passo in Europa e dunque i tassi “potrebbero rimanere alti ancora per alcuni mesi”.