In Italia imperversa ancora il caso Chiara Ferragni, mentre in Europa lo sguardo si rivolge al mondo degli influencer in generale. Qualcosa del genere è avvenuto in realtà anche nel nostro Paese, considerando le decisioni prese in merito dal governo di Giorgia Meloni.
Il riferimento va all’obbligo di attuare una serie di operazioni in caso di post pubblicitari. Il pubblico deve avere la certezza, in sintesi, che quanto legge o guarda sia frutto di una collaborazione tra un brand e il content creator in questione. Proprio su quest’aspetto si è concentrata un’indagine dell’Unione europea, che ha sollevato un vero e proprio vespaio.
Indagine Ue sugli influencer
Con un certo ritardo pare che in Europa ci sia resi conto della nascita di un nuovo lavoro, quello degli influencer. A lungo si è scelto di lasciare un po’ nell’ombra questa attività, che ha di fatto soppiantato il ruolo dello sportivo milionario o del personaggio televisivo nei sogni di molti ragazzi. Ciò perché si guarda a questo mondo come a uno ben più accessibile. Tutto ciò di cui si ha bisogno è un’idea e, in assenza di questa, di un corpo da mostrare.
Il mondo legislativo è però in netto ritardo, come dimostrato anche dalle tante polemiche connesse ai pagamenti delle tasse da parte di alcuni famosi streamer. Nella maggior parte dei casi si è evidenziata una grande difficoltà nel versare i contributi dovuti, in assenza di specifiche categorie aggiornate al periodo storico.
Detto ciò, un’indagine dell’Ue ha evidenziato come soltanto 1 influencer su 5 indichi la pubblicità che effettua sui social. Ciò vuol dire che nella maggior parte dei casi si “suggeriscono” prodotti e servizi senza specificare all’utente che il parere espresso è conseguente a un pagamento. Ciò non vuol dire, ovviamente, che il commento positivo sia stato comprato, certo, ma chi viene influenzato, per così dire, dovrebbe essere anche informato e dunque al corrente di tutti i fatti.
Influencer, scandalo pubblicità
Mentre Chiara Ferragni impugna la multa del caso Balocco, i colleghi non se la passano meglio. Ben il 97% degli influencer in Europa è solito pubblicare contenuti commerciali. Come detto però, soltanto 1 su cinque, in media, indica quando un post è sponsorizzato con la dicitura “ADV”.
La Commissione europea ha condotto un’indagine approfondita, insieme con le autorità nazionali per la tutela dei consumatori. Coinvolti ben 22 Stati membri, per un totale di 576 influencer passati in rassegna.
Lo scopo era quello di verificare se tali soggetti dal grande seguito rendessero note le attività pubblicitarie. Qualcosa che è già obbligatorio, stando alla normativa Ue sui consumatori. Ben il 97% del totale ha pubblicato post pubblicitari ma appena il 20% lo ha segnalato. A ciò si aggiunge un altro dettaglio preoccupante. Il 78% esercita quella che viene considerata un’attività commerciale. Appena il 36% però è registrato come commerciale in ambito nazionale.
La situazione lascia preannunciare un vero e proprio giro di vite online. Altra problematica è rappresentata dall’assenza di dettagli aziendali sui post, come indirizzo e-mail, nome della società, numero di registrazione o indirizzo postale. Ciò vale per il 30% del totale indagato.
Instagram, ad esempio, offre delle etichette che servono a rivelare i contenuti commerciali. Il 38% però ha optato per altre diciture, come “collaborazione”, invece della levetta “partnership a pagamento”. Particolarmente preoccupante l’11%, che si è limitato a ringraziare genericamente il marchio partner.
Considerando i risultati ottenuti, si è scelto di selezionare 358 influencer da sottoporre a indagini approfondite e scrupolose. Le autorità nazionali provvederanno a contattarli, al fine di ottenere loro un adeguamento repentino dell’atteggiamento lavorativo sui social. Potranno essere intraprese anche delle necessarie azioni di controllo, delineate sulla base di quelle che sono le singole procedure nazionali.