Google tra licenziamenti e pesanti sanzioni UE: cosa sta succedendo

Centinaia di licenziamenti e la proposta Ue di confermare l’ammenda di 2,4 miliardi di euro, ma i problemi per Google non terminano qui

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Donatella Maisto

Esperta in digital trasformation e tecnologie emergenti

Dopo 20 anni nel legal e hr, si occupa di informazione, ricerca e sviluppo. Esperta in digital transformation, tecnologie emergenti e standard internazionali per la sostenibilità, segue l’Innovation Hub della Camera di Commercio italiana per la Svizzera. MIT Alumni.

Il 2024 è iniziato all’insegna di nuovi licenziamenti nel mondo IT. Dopo Amazon, che ha annunciato il licenziamento di centinaia di dipendenti di Prime Video e MGM Studios e il cui comunicato è giunto con una email di Mike Hopkins, anche Google sembra seguire la strada dei tagli in questo inizio anno.

I licenziamenti in Google

Mentre BIG G stava cercando di investire responsabilmente nelle maggiori priorità dell’azienda e nelle significative opportunità che la attendono – leggi AI –, veniva annunciato il licenziamento di 12 mila dipendenti di Alphabet, casa madre di Google, nella seconda metà del 2023. Se ufficiosamente ad aver determinato questa seconda ondata di licenziamenti, che hanno fatto venir meno un migliaio di posizioni, potrebbe essere proprio l’introduzione di nuovi strumenti basati sull’AI che richiedono meno risorse, ufficialmente dovrebbe essere stata la riorganizzazione di alcune Business Unit.
I tagli hanno riguardato anche i cofondatori di Fitbit, James Park ed Eric Friedman.

Google sta concentrando i propri sforzi sullo sviluppo della AI per riconquistare terreno soprattutto su ChatGpt. Proprio qualche ora fa, inoltre, Microsoft è diventata la società che vale di più a Wall Street, superando Apple, con un investimento di 13 miliardi di dollari in OpenAI.
I problemi per Google, tuttavia, non finiscono qui.

La causa Google e Alphabet/Commissione (Google Shopping)

Sentenza del 2017

Con decisione del 27 giugno 2017, la Commissione ha constatato che Google avrebbe favorito, nella sua pagina dei risultati della ricerca generale, i risultati del proprio comparatore di prodotti rispetto a quelli dei comparatori di prodotti concorrenti. Google, infatti, presentava i risultati di ricerca del proprio comparatore di prodotti in cima a tale pagina e in modo prominente, con informazioni grafiche e testuali attraenti, nelle cosiddette Shopping Units.

Per contro, i risultati di ricerca degli altri comparatori di prodotti, suoi concorrenti, apparivano solo in posizione meno favorevole come link blu.

Ciò ha comportato che gli utenti cliccassero con maggiore frequenza i risultati del comparatore di prodotti di Google rispetto a quelli dei concorrenti, con conseguente deviazione del traffico proveniente dalla pagina dei risultati generali di Google, che non si basava su una migliore qualità del servizio di comparazione dei prodotti della stessa, ma risultava, invece, dall’auto favoritismo e dall’effetto leva sulla pagina dei risultati generali di Google. Quindi dallo sfruttamento della posizione dominante di Google nel mercato dei servizi di ricerca generale su Internet. I comparatori di prodotti concorrenti facevano, tuttavia, affidamento sul traffico proveniente dalla pagina dei risultati generali di Google per avere successo commerciale e rimanere all’interno del mercato dei servizi di ricerca specializzata di prodotti.

Conclusioni e sanzione

La Commissione ha concluso che Google aveva abusato della sua posizione dominante nei mercati della ricerca generale su Internet e della ricerca specializzata di prodotti e le ha inflitto, per tale motivo, un’ammenda di importo pari a  2.424.495.000 euro, di cui 523.518.000 euro in solido con Alphabet, sua azionista unica.

Google e Alphabet hanno impugnato la decisione della Commissione dinanzi al Tribunale dell’Unione europea. Con sentenza del 10 novembre 2021 , il Tribunale ha sostanzialmente respinto il ricorso e ha, in particolare, confermato l’ammenda.
Per contro, il Tribunale ha ritenuto che non fossero dimostrati gli effetti anticoncorrenziali anche solo potenziali del comportamento di Google nel mercato dei servizi di ricerca generale. Di conseguenza, è stata annullata la decisione nella parte in cui la Commissione vi aveva constatato una violazione del divieto di abuso di posizione dominante anche in relazione a tale mercato.
Google e Alphabet hanno, quindi, proposto l’impugnazione dinanzi alla Corte, chiedendo l’annullamento della sentenza del Tribunale nella parte in cui aveva respinto il loro ricorso e l’annullamento della decisione della Commissione.

Gli ultimi accadimenti

L’avvocato generale Juliane Kokott ha proposto alla Corte di respingere l’impugnazione e, pertanto, di confermare l’ammenda inflitta a Google.

L’auto favoritismo contestato a Google costituisce, secondo l’avvocato generale, una forma autonoma di abuso risultante dall’applicazione di condizioni inique di accesso ai comparatori di prodotti concorrenti, purché esso produca effetti anticoncorrenziali almeno potenziali, come la Commissione ha constatato nella causa sotto forma di effetti di esclusione nel mercato dei servizi di ricerca specializzata di prodotti. A una siffatta forma di abuso non sarebbero applicabili i rigorosi criteri diretti al riconoscimento di un abuso attraverso il rifiuto di fornire l’accesso a un “servizio essenziale”, i cd. criteri Bronner.

La Commissione e il Tribunale hanno correttamente affermato che la disparità di trattamento dei concorrenti mediante autofavoritismo era attuata da Google mediante l’utilizzo di un effetto leva che consisteva nello sfruttare la propria posizione dominante nel mercato dei servizi di ricerca generale su Internet al fine di ottenere vantaggi concorrenziali nel mercato a valle dei servizi di ricerca specializzata di prodotti, sul quale non deteneva (ancora) tale posizione.

E’ importante aver presente che le conclusioni dell’avvocato generale non vincolano la Corte di giustizia. Il compito dell’avvocato generale consiste nel proporre alla Corte, in piena indipendenza, una soluzione giuridica nella causa per la quale è stato designato. I giudici della Corte cominciano adesso a deliberare in questa causa. La sentenza sarà pronunciata in una data successiva.

La vicenda per tappe

  • 2010: l’Unione Europea avvia un’indagine su Google per presunto comportamento anticoncorrenziale sul motore di ricerca
  • giugno 2017: l’UE pubblica la sentenza su Google, accusandola di abuso di posizione dominante con il servizio Shopping. Dovrà pagare 2,4 miliardi di euro.
  • agosto 2017: Google sembra volersi piegare alla volontà dell’UE, un portavoce conferma che Shopping verrà modificato
  • settembre 2017: Google decide di fare appello contro la multa
  • novembre 2021: Google perde l’appello su Shopping. Il Tribunale respinge il ricorso e conferma la multa da 2,4 miliardi di euro. Tuttavia, il Tribunale stesso “ha ritenuto che non fossero dimostrati gli effetti anticoncorrenziali anche solo potenziali del comportamento di Google nel mercato dei servizi di ricerca generale“. Google decide di impugnare la decisione davanti alla Corte chiedendo l’annullamento della sentenza del Tribunale con cui il ricorso è stato respinto.
  • gennaio 2023: l’avvocato Juliane Kokott propone alla Corte di respingere l’impugnazione e di confermare la multa. Questa la motivazione: “L’autofavoritismo contestato a Google costituisce […] una forma autonoma di abuso risultante dall’applicazione di condizioni inique di accesso ai compratori di prodotti concorrenti, purché esso produca effetti anticoncorrenziali almeno potenziali”.

Si tenga presente che il parere dell’avvocato generale non è vincolante per la Corte di giustizia. (Fonte: Corte di Giustizia europea).