Cos’è il MES, come funziona e perché fa tanto discutere

Il premier Conte l'ha invocato in piena emergenza Coronavirus per salvare i Paesi membri dell'Unione europea da una grave recessione. Ecco cos'è e come funziona

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista economico-finanziario

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

Il premier Conte l’ha sollevato in piena emergenza Coronavirus per salvare i Paesi membri dell’Unione europea da una grave recessione, che ad oggi è ancora impossibile da parametrare. Ma cos’è, e come funziona, esattamente il MES, il Meccanismo europeo di stabilità, più comunemente conosciuto come Fondo salva-Stati. ? E soprattutto, perché viene così sempre fortemente osteggiato?

Cos’è il MES

Il MES è un’organizzazione internazionale a carattere regionale con sede in Lussemburgo nata come fondo finanziario europeo per la stabilità finanziaria della zona euro. Nasce nel 2011 con alcune modifiche al Trattato di Lisbona, in anticipo di ben due anni a causa dell’aggravarsi della crisi del debito.

Ufficialmente operativo da luglio 2012, sostituisce il Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) e il Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (MESF), nati a loro volta per salvare dall’insolvenza Portogallo e Irlanda, investiti dalla crisi economico-finanziaria. Oggi ha una capacità di oltre 650 miliardi di euro, compresi i fondi residui dal fondo temporaneo europeo, pari a 250-300 miliardi.

Il fondo è gestito dal Consiglio dei governatori formato dai ministri finanziari dell’area euro, da un Consiglio di amministrazione (nominato dal Consiglio dei governatori) e da un direttore generale, con diritto di voto, nonché dal commissario europeo per gli affari economico-monetari e dal presidente della BCE nel ruolo di osservatori. Le decisioni del Consiglio devono essere prese a maggioranza qualificata o a maggioranza semplice.

Cosa fa il MES

Il fondo emette prestiti, concessi a tassi fissi o variabili, per assicurare assistenza finanziaria ai Paesi in difficoltà e acquista titoli sul mercato primario, ma a condizioni molto severe. Queste condizioni rigorose possono spaziare da un programma di correzioni macroeconomiche al rispetto costante di condizioni di ammissibilità predefinite.

Il fondo può concludere intese o accordi finanziari anche con istituzioni finanziarie e istituti privati. È previsto l’appoggio anche delle banche private nel fornire aiuto agli stati in difficoltà.

La riforma

Dopo una lunga negoziazione, in parte ancora in atto, si è giunti a una soluzione di compromesso che introduce alcune modifiche. Sarà il MES a fornire il backstop al Fondo di risoluzione comune delle banche.

In pratica, se una o più banche fossero in grave difficoltà, il MES sarà il garante del Fondo di risoluzione comune, il fondo pensato per accantonare, tramite contributi delle banche dei Paesi membri, le risorse necessarie per salvare banche di interesse per l’intera Ue.

A chi non piace il MES

Una riforma che i Paesi del Nord Europa non accettano, perché temono di dover far fronte agli eccessivi rischi assunti dalle banche degli altri Paesi, a partire da quelle del sud dell’Europa. Riguardo alle fasi da seguire per il salvataggio, bisogna anzitutto procedere con la ristrutturazione del debito del Paese interessato tagliando il valore dei titoli del debito pubblico, il cosiddetto “haircut”.

In pratica, chi ha acquistato il titolo di un Paese con conti pubblici in difficoltà lo ha fatto perché attratto dalla prospettiva di un maggior guadagno in termini di interessi rispetto a quanto offerto da Paesi con conti pubblici solidi. Cioè volendo lucrare, e sapendo di farlo. Sarebbe dunque ovvio che paghi le conseguenze di questo rischio con una decurtazione nel valore dei titoli che possiede. Il MES interverrà, se necessario, solo dopo questa decurtazione.

I Paesi del Nord spingevano perché la decurtazione, cioè ristrutturazione del debito, avvenisse il prima possibile, per limitare al massimo l’attivazione del MES e quindi il rischio di mettere mano al loro portafogli.

Nessun tetto al leverage

La legislazione europea non prevede purtroppo un tetto massimo, deliberato da un organismo esterno, al cosiddetto leverage (rapporto fra indebitamento e capitale) fra capitale sociale autorizzato e esposizione debitoria verso gli Stati membri, quale strumento di governance per evitare che un fondo di garanzia indipendente con compiti di pubblica utilità, relative immunità e garanzie di riservatezza, possa trasformarsi in un soggetto speculativo.

Unica indicazione del rapporto con gli istituti di credito è la possibilità di finanziarsi nel mercato secondario e interbancario, senza cenni in merito alla facoltà di detenere azioni o strumenti derivati, conferibili dagli stati membri che hanno convertito aiuti alle loro banche in azioni di proprietà. Questione che porrebbe innanzitutto il problema di nazionalità delle banche, trasferendo il controllo a un soggetto estero e, per i suoi fini, privo di controllo politico.

Il MES rappresenta comunque un importante meccanismo di solidarietà, tanto più importante per i Paesi più indebitati, a partire dall’Italia.