Allarme pediatri, a rischio la cura dei bambini: le Regioni messe peggio

Secondo le ultime stime raccolte da GIMBE sulla base del numero di assistiti attuali, lungo tutto lo Stivale all'appello mancherebbero migliaia di pediatri

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

In Italia è allarme pediatri: secondo le ultime stime raccolte da GIMBE sulla base del numero di assistiti attuali, lungo tutto lo Stivale all’appello mancherebbero almeno 840 medici per bambini e ragazzi tra gli 0 e i 14 anni. Questo ipotizzando una media di 800 pazienti per pediatra, che oggi è il tetto massimo. Se invece considerassimo una media di 700 assistiti ciascuno, numero che garantirebbe l’esercizio della libera scelta, ne mancherebbero addirittura 1.935.

Come funziona l’assistenza pediatrica in Italia

Come sappiamo, alla nascita ad ogni bambino deve essere assegnato un pediatra di base per accedere a servizi e prestazioni inclusi nei cosiddetti Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e garantiti dal Servizio Sanitario Nazionale.

Fino al compimento del 6° anno di età, i bambini devono essere assistiti per legge da un pediatra, mentre tra i 6 e 14 anni i genitori possono scegliere tra pediatra e medico di medicina generale, il medico di famiglia per intendersi. Al compimento dei 14 anni, la revoca del pediatra, se non è stata fatta prima, è automatica, tranne per pazienti con documentate patologie croniche o disabilità per i quali può essere richiesta una proroga fino al compimento del 16° anno.

Un sistema che, denuncia il Presidente di GIMBE Nino Cartabellotta, rappresenta un enorme ostacolo per un’accurata programmazione del fabbisogno di pediatri. Tanto che si viene a creare un cortocircuito paradossale: secondo i dati ISTAT al 1° gennaio 2022, la fascia 0-5 anni, per cui l’iscrizione presso un pediatra è obbligatoria, ingloba circa 2,6 milioni di bambini, mentre quella 6-13, per cui invece l’iscrizione al pediatra è facoltativa, quasi 4,3 milioni. Tradotto, significa che oltre il 62% della fascia 0-13 anni potrebbe iscriversi ad un medico di base, lasciando spazio ai più piccoli, che alternative non ne hanno.

Secondo le rilevazioni della Struttura Interregionale Sanitari Convenzionati (SISAC), al 1° gennaio 2022, 6.921 pediatri avevano in carico quasi 6,2 milioni di iscritti, di cui il 42,3% (2,62 milioni) della fascia 0-5 anni e il 57,7% (3,58 milioni) della fascia 6-13 anni, pari all’83,3% della popolazione ISTAT al 1° gennaio 2022 di età 6-13 anni. In termini assoluti, la media nazionale è di 896 assistiti per pediatra.

A rischio la salute di bambini e ragazzi: i dati allarmanti

Un dato su tutti: tra il 2019 e il 2021 i pediatri sono diminuiti del 5,5%. “La carenza – spiega Cartabellotta – deriva da errori di programmazione del fabbisogno, in particolare la mancata sincronia per bilanciare pensionamenti attesi e borse di studio per la scuola di specializzazione. Ma rimane fortemente condizionata sia da miopi politiche sindacali sia da variabili locali non sempre prevedibili, che rendono difficile calcolarne il fabbisogno”.

Con questo livello di saturazione, che i numeri di stima restituiscono solo in parte, non solo viene meno il principio della libera scelta, ma in alcune Regioni diventa impossibile trovare disponibilità di pediatri, in particolare nelle aree interne o disagiate dove i bandi per le zone carenti vanno spesso deserti.

Secondo quanto previsto dal Ministero della Salute, il numero massimo di assistiti di un pediatra è fissato a 800, ma esistono varie deroghe nazionali, regionali e locali che portano spesso a superare i 1.000 iscritti: indisponibilità di altri pediatri del territorio, fratelli di bambini già in carico ad uno stesso pediatra, scelte temporanee locali come per esempio extracomunitari senza permesso di soggiorno, non residenti e così via.

Il calcolo sbagliato

I nuovi pediatri vengono inseriti nel Sistema Sanitario Nazionale previa identificazione da parte della Regione o altro soggetto da questa individuato delle cosiddette “zone carenti”, ovvero gli ambiti territoriali in cui occorre colmare un fabbisogno assistenziale e garantire una diffusione capillare degli studi medici. Attualmente, tuttavia, la necessità della zona carente viene calcolata solo sulla fascia di età 0-6 anni, tenendo conto di un rapporto ottimale di 1 pediatra ogni 600 bambini.

“È del tutto evidente – denuncia il Presidente di GIMBE – che questo metodo di calcolo sottostima il fabbisogno di pediatri”: paradossalmente, facendo riferimento alle regole vigenti, i pediatri sarebbero addirittura in esubero perché il loro fabbisogno viene stimato solo per i piccoli sino al compimento dei 6 anni. Mentre di fatto assistono oltre l’80% di quelli della fascia 6-13 anni”.

Non a caso la bozza del nuovo Accordo Collettivo Nazionale propone di rivedere il calcolo del rapporto ottimale tenendo conto degli assistibili di età 0-14 anni, decurtati dagli assistiti che hanno più di 6 anni in carico ai medici di base e di innalzare il massimale da 800 a 1.000 assistiti.

Carenza di pediatri in tutta Italia: le cause

A pesare c’è la burocrazia, certo, ma soprattuto il sovraffollamento numerico, con pediatri che si ritrovano ad avere anche 900 bambini ciascuno, sforando di oltre 100 il tetto previsto per legge, pari come detto a 800.

Tutto questo rende complicatissimo anche solo prendere un appuntamento dal dottore per i propri figli. Moltissimi i pediatri che non riescono più a visitare, nemmeno in caso di urgenza. Sempre più spesso sentiamo di mamme e papà che sono costretti a chiamare pediatri privati pur di poter far visitare i propri bambini, soprattutto quando neonati o fragili. Un peso economico e sociale insostenibile e inaccettabile.

“Le politiche sindacali locali – attacca ancora Cartabellotta – hanno sempre mirato ad innalzare il massimale (e i compensi) dei pediatri di libera scelta già in attività, piuttosto che favorire l’inserimento di nuovi colleghi”.

Posizioni dei sindacati alquanto discutibili, dunque, ma anche programmazione fallimentare o persino inesistente e pesanti tagli alla sanità sono le cause, che hanno portato, oggi, a una situazione al limite per le famiglie. Un’emergenza annunciata e inascoltata – un’altra – che ora spacca l’Italia, con differenze regionali enormi, anche se il problema è generalizzato.

Il problema del pensionamento e dei nuovi ingressi

Secondo l’ultimo aggiornamento del report Agenas “Il Personale del Servizio Sanitario Nazionale nel 2021 in Italia”, i pediatri in attività erano 7.022, ovvero 386 in meno rispetto al 2019 (-5,5%). Inoltre, secondo quanto riportato dall’Annuario Statistico del SSN 2021, i pediatri con oltre 23 anni di specializzazione sono passati dal 39% nel 2009 all’80% nel 2021.

Secondo le stime dell’ENPAM, al 31 dicembre 2021 più del 50% dei pediatri aveva oltre 60 anni di età ed è, quindi, atteso un pensionamento massivo nei prossimi anni: ovvero, considerando una età di pensionamento di 70 anni, entro il 2031 dovrebbero andare in pensione circa 3.500 medici per bambini.

“Un dato – commenta Cartabellotta – che aggiunge alla carenza di pediatri il mancato ricambio generazionale che con i pensionamenti dei prossimi anni rischia di creare un vero e proprio ‘baratro’ dell’assistenza pediatrica“.

Il numero di borse di studio ministeriali per la scuola di specializzazione in pediatria, dopo un decennio di sostanziale stabilità, è nettamente aumentato negli ultimi 5 anni: dai 440 nell’anno accademico 2016-2017 a 841 nel 2021-2022, con un picco di 973 nell’anno accademico 2020-2021. Ma non basta. In particolare, l’ENPAM stima che il numero dei giovani formati o avviati alla formazione specialistica coprirebbe solo il 50% dei posti di pediatri necessari.

“La proposta avanzata dal governo di innalzare l’età pensionabile a 72 anni e aumentare il massimale a 1.000 servono solo a mettere la polvere sotto il tappeto e non a risolvere il grave problema della carenza dei pediatri. In tal senso servono un’adeguata programmazione, modelli organizzativi che puntino sul lavoro di team, grazie anche alle Case di comunità e alla telemedicina, oltre che accordi sindacali in linea con i reali bisogni della popolazione. Perché, guardando ai numeri di pensionamenti attesi e dei nuovi pediatri, è ragionevolmente certo che nei prossimi anni la carenza non potrà che acuirsi ulteriormente”.

Allarme “deserti sanitari” in 9 Regioni: dove mancano i medici

La mappa delle Regioni: dove mancano più pediatri

A livello regionale ben 17 Regioni superano la media di 800 assistiti per pediatra. Le situazioni più critiche riguardano 3 Regioni che superano addirittura i 1.000 bambini/ragazzi per pediatra:

  • Piemonte 1.092
  • Provincia Autonoma di Bolzano 1.060
  • Toscana 1.057

Ecco la media di pazienti per pediatra nelle altre Regioni:

  • Val d’Aosta 999
  • Veneto 989
  • Friuli Venezia Giulia 971
  • Lombardia 961
  • Provincia autonoma di Trento 909
  • Marche 906
  • Liguria 898
  • Campania 870
  • Abruzzo 861
  • Basilicata 854
  • Calabria 844
  • Emilia Romagna 827
  • Lazio 814
  • Puglia 803

Solo 4 Regioni rimangono al di sotto del massimale:

  • Molise 798
  • Sicilia 792
  • Sardegna 788
  • Umbria 784.

Qui le Regioni messe peggio per visite ed esami

DEF 2023: nuovi tagli alla sanità pubblica. Gli scenari

Questo quadro può essere completo solo andando ad analizzare anche il DEF 2023, in cui si scorgono – abbastanza limpidamente – preoccupanti tagli alla sanità pubblica, a fronte invece di una violenta stangata sui prezzi di farmaci e visite mediche.

L’11 aprile il Consiglio dei Ministri ha approvato il Documento di Economia e Finanza 2023 che certifica per l’anno 2022 una spesa sanitaria di 131.103 milioni di euro, inferiore di quasi 3 milioni rispetto ai 133.998 milioni previsti dall’ultima Nota di Aggiornamento DEF 2022. La pandemia Covid non ci ha insegnato nulla: il governo Meloni ha fissato, a partire dal 2025, che la spesa sanitaria peserà appena per il 6,2% del Pil nazionale: un livello pure inferiore al periodo pre-pandemia.

Come evidenzia ancora GIMBE, il rapporto spesa sanitaria/PIL nel 2023 scende a 6,7% rispetto al 6,9% del 2022, anche se in termini assoluti la previsione di spesa sanitaria è di 136.043 milioni, ovvero 4.319 milioni in più rispetto al 2022 (+3,8%). Nel triennio 2024-2026 il DEF stima una crescita media annua del PIL nominale del 3,6%, a fronte dello 0,6% di quella della spesa sanitaria.

“Il roboante incremento di oltre 4 miliardi di euro nel 2023 – precisa ancora Cartabellotta – è solo apparente: sia perché oltre due terzi (67%) costituiscono un mero spostamento al 2023 della spesa sanitaria prevista nel 2022 per il rinnovo contrattuale del personale dirigente, sia per l’erosione del potere di acquisto, visto che secondo l’ISTAT ad oggi l’inflazione acquisita per il 2023 si attesta a +5%, un valore superiore all’aumento della spesa sanitaria che, invece, si ferma a +3,8%”.

Nel triennio 2024-2026, a fronte di una crescita media annua del PIL nominale del 3,6%, il DEF 2023 stima quella della spesa sanitaria allo 0,6%. Il rapporto spesa sanitaria/PIL si riduce dal 6,7% del 2023 al 6,3% nel 2024 al 6,2% nel 2025-2026. Rispetto al 2023, in termini assoluti la spesa sanitaria nel 2024 scende a 132.737 milioni (-2,4%), per poi risalire nel 2025 a 135.034 milioni (+1,7%) e a 138.399 (+2,5%) nel 2026.

spesa sanitaria

Definanziamento: cosa succederà al Sistema Sanitario Nazionale nei prossimi 3 anni

Nel 2021 il gap con la media dei Paesi europei era di quasi 12 miliardi, e il DEF 2023 fa anche peggio. La parola chiave del prossimo triennio, per la sanità pubblica, è definanziamento: in particolare il 2024 fa segnare un -2,4% che, per usare ancora le parole di GIMBE, “dissolve ogni speranza di nuove risorse per la sanità nella prossima Legge di Bilancio”. Insomma, il salvataggio e il potenziamento della sanità pubblica, democratica, non sono una priorità del governo.

“Programmi e numeri del DEF 2023 – continua il Presidente di GIMBE – confermano che, in linea con quanto accaduto negli ultimi 15 anni, la sanità pubblica non rappresenta una priorità politica neppure per l’attuale Esecutivo. La sanità rimane un bancomat per la facile aggredibilità della spesa pubblica e nei rari casi di crescita economica i benefici per il SSN non sono mai proporzionali, rendendo impossibile rilanciare il finanziamento pubblico”.

Il DEF non fa alcun cenno alle risorse necessarie per abolire gradualmente il tetto di spesa per il personale sanitario e per approvare il cosiddetto “decreto tariffe” sulle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale e di protesica: due priorità per rilanciare le politiche del capitale umano e garantire a tutti i nuovi Livelli Essenziali di Assistenza e l’accesso alle innovazioni.

Una traiettoria pericolosa, tracciata ormai più di 20 anni fa con gestioni scellerate della sanità pubblica – multicolore dal punto di vista politico, di destra e di sinistra -, che rischia concretamente di far collassare il Sistema Sanitario Nazionale (qui quanto costerebbe “curare” la sanità pubblica).

Liste d’attesa fantasiose, per cui per una ecografia urgente bisogna attendere 6 mesi col pubblico – sennò col privato c’è posto già tra 3 giorni – spese inattese che dissanguano i portafogli delle famiglie, tanto che sempre più italiani rinunciano a curarsi. Diseguaglianze regionali e locali nell’offerta di servizi e prestazioni determinano quella che in gergo si chiama migrazione sanitaria, ma anche impossibilità di accesso a nuove cure, a sperimentazioni magari salva-vita, riducendo l’aspettativa di vita.

“Il Piano di Rilancio del SSN recentemente elaborato dalla Fondazione GIMBE – conclude Cartabellotta – rileva l’inderogabile necessità di aumentare il finanziamento pubblico per la sanità in maniera consistente e stabile, allineandolo entro il 2030 alla media dei Paesi europei, al fine di garantire l’erogazione uniforme dei LEA, l’accesso equo alle innovazioni e il rilancio delle politiche del personale sanitario”.