Allarme “deserti sanitari” in 9 Regioni: dove mancano i medici

Sono in tutto 39 le province più colpite dalla carenza di medici e infermieri, da Nord a Sud. La soluzione potrebbe essere contenuta nel PNRR

Foto di Maurizio Perriello

Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

La crisi sanitaria italiana assume proporzioni sempre più preoccupanti. Un rapporto di Cittadinanzattiva, presentato durante l’evento “Bisogni di salute nelle aree interne, tra desertificazione sanitaria e PNRR”, lancia addirittura l’allarme per una “desertificazione sanitaria” (ospedali al collasso: la nuova emergenza tra Covid e influenza).

In cosa consiste la “desertificazione sanitaria”

Il concetto di “desertificazione sanitaria” è tanto semplice quanto nefasto: medici e infermieri mancano e scarseggiano in tutta Italia, soprattutto nelle aree più periferiche, rendendo estremamente difficile l’accesso alle cure sanitarie.

L’analisi di Cittadinanzattiva si basa dati ufficiali forniti dal Ministero della Salute relativi al 2020 e rientra nell’ambito del progetto europeo AHEAD (Action for Health and Equity: Addressing Medical Deserts), finanziato da EU4Health.

Carenza di medici e infermieri, le Regioni più colpite

Il fenomeno si dipana lungo direttrici molteplici. Mentre in alcune province del Nord Italia si assiste a un sovraffollamento negli studi dei pediatri, a Caltanissetta, ad esempio, la carenza di ginecologici ospedalieri è 17 volte peggiore rispetto al dato di Roma. In tutto sono 39 le province più colpite dalla desertificazione sanitaria, che si concentrano in 9 Regioni: Lombardia, Piemonte, Friuli-Venezia Giulia, Calabria, Veneto, Emilia-Romagna, Trentino-Alto Adige, Lazio e Liguria. Qui trovate la classifica dei migliori ospedali d’Italia.

Ecco qualche esempio che mostrano il peso maggiore che grava sulle spalle dei camici bianchi: in provincia di Asti ogni pediatra di famiglia segue 1.813 bambini a fronte di una media nazionale di 1.061. A Bolzano ogni medico di medicina generale segue in media 1.539 cittadini a fronte di una media nazionale di 1.245 pazienti. Nella provincia di Caltanissetta c’è invece un ginecologo ospedaliero ogni 40.565 donne, mentre Roma registra la situazione migliore, con un professionista ogni 2.292 donne. Prendendo in esame i cardiologi ospedalieri, la situazione nella Provincia autonoma di Bolzano risulta 70 volte peggiore rispetto a Pisa, con un medico ogni 224.706 abitanti, a fronte di uno ogni 3.147.

L’Azienda sanitaria dell’Alto Adige (Sabes) è però intervenuta per “correggere” i dati. “Nello studio si legge che nella Provincia di Bolzano c’è un cardiologo ospedaliero ogni 224.706 abitanti. Visto che l’Alto Adige ha 533mila residenti, questo significherebbe che in tutta la Provincia ci dovrebbero essere appena due cardiologi. È evidente che non è così”.

Le possibili soluzioni

Il fenomeno potrebbe anche essere peggiore di così. “Mancano dati certi, aggiornati e facilmente reperibili sulla carenza di personale sanitario”, sottolinea Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva. Una situazione che “non agevola la programmazione degli interventi”.

La piaga dei “deserti sanitari” nelle aree interne del Paese, che rappresentano circa il 53% dei Comuni italiani (4.261), potrebbe in parte esser colmato dai fondi messi a disposizione dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). Al momento, però, la risposta non sembra molto coincidere con il fabbisogno. Le riforme potrebbero provocare gli effetti sperati “se all’investimento su case e ospedali di comunità si affiancherà un adeguato investimento sul personale“.

Un altro aiuto importante secondo Francesco Gabbrielli, direttore Centro nazionale per la telemedicina dell’Istituto Superiore di Sanità, potrebbe arrivare dal’utilizzo di dispositivi tecnologici per migliorare la riabilitazione, il monitoraggio e il consulto medico a distanza. Ciò però “presuppone che la banda larga venga portata nelle aree poco raggiungibili e che gli operatori sanitari accolgano la necessità di una formazione continua”.