Il 5 novembre è il giorno decisivo. Entro la serata, negli Stati Uniti i cittadini avranno espresso il loro voto per Donald Trump o Kamala Harris e deciso il futuro non solo del loro Paese, ma di tutto il mondo. Gli italiani sono convinti: vincerà la candidata Democratica, ma i modelli predittivi dicono ben altro. Donald Trump è rimasto fino all’ultimo favorito, ma proprio poche ore prima della mezzanotte Harris ha parteggiato i conti.
Anche se i principali modelli danno i due candidati appaiati, alcuni difetti nei sondaggi possono indicare che il favorito sia in realtà il candidato Repubblicano, Donald Trump. Dall'”herding” al “response bias”, il modo in cui la popolazione reagisce ai sondaggi e quello in cui i sondaggisti lavorano influenza le rilevazioni.
Gli italiani sottovalutano Trump
In un recente sondaggio, YouTrend ha rilevato che la maggioranza degli italiani crede che a vincere le elezioni negli Usa sarà Kamala Harris. Il 50% degli intervistati pensa che alla fine sarà la candidata del Partito Democratico a prevalere, mentre soltanto il 28% crede in una vittoria di Donald Trump. Il restante 22% dichiara di non sapere e, paradossalmente, potrebbe essere il più vicino alla verità.
I modelli predittivi infatti, nelle ultime settimane prima delle elezioni, hanno dato un sostanziale vantaggio al candidato Repubblicano. Trump ha anche sfiorato, nelle elaborazioni di 538 e del sondaggista Nate Silver, il 60% di probabilità di vincere. Proprio poche ore prima del voto però, alcuni sondaggi hanno cambiato lo scenario.
“Oh mio Dio” ha commentato su X (già Twitter) Nate Silver, quando l’ultima simulazione del suo modello ha restituito i risultati. Su 80mila simulazioni di elezioni, Harris ha vinto 40.012 volte. “Questi sono i risultati del lancio di 80.000 monetine” ha poi aggiunto il sondaggista come didascalia all’immagine del suo grafico, che mostrava il comportamento del modello in quest’ultima simulazione. Questo però non significa che la vicepresidente sia favorita, né che i due candidati abbiano davvero le stesse possibilità di vittoria.
Perché i sondaggi sottovalutano Trump
Molto spesso negli ultimi anni i sondaggi hanno sottovalutato i candidati repubblicani. Successe nel 2016, quando i modelli predittivi davano per certa la vittoria di Hilary Clinton, oltre il 90%. Successe, in maniera molto minore, anche nel 2020, quando pur assegnando Trump fu sottovalutato di circa 2 punti percentuali, troppo pochi per erodere il vantaggio tra il 6% e l’8% di Biden.
Buona parte dei sondaggisti danno la colpa di questi errori al cosiddetto response bias, vale a dire la tendenza degli elettori democratici a rispondere più volentieri ai sondaggi. Si tratta di un difetto difficilissimo da correggere con esattezza. Moltissime compagnie di sondaggi hanno adottato nuovi modelli per questa elezione, nel tentativo di correggerlo, ma si sono distanziate di poco da quelle che invece hanno mantenuto le vecchie metodologie. Tra queste ci sono anche nomi molto quotati, come quello di Ann Selzer o dell’istituto Siena.
C’è però anche un altro fenomeno, che avrebbe tenuto la corsa praticamente pari nei sondaggi: l’herding, il comportamento da gregge. Diversi sondaggisti hanno infatti accusato le grandi compagnie di calibrare i propri sondaggi in modo da ottenere risultati più possibile vicini al 50/50. Non si tratta di un “imbroglio”, spesso nei sondaggi i risultati poco credibili vengono scartati perché si presume un errore statistico. L’herding però può essere anche un riflesso della paura di sbagliare, che porta i risultati dei sondaggi ad assomigliarsi.