Cessate il fuoco in Libano, la tregua dopo due mesi: e adesso?

La tregua tra Israele e Hezbollah inizia su un filo sottile: tensioni e dubbi sul disarmo minacciano di far esplodere nuovamente il conflitto

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Francesca Secci

Giornalista

Giornalista pubblicista con esperienza in redazioni rilevanti, è specializzata in economia, finanza e geopolitica.

Pubblicato: 27 Novembre 2024 09:33

Il cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah ha preso il via alle 3 di questa mattina, ora italiana (4 del mattino in Libano). Un accordo che arriva dopo due mesi di scontri violentissimi, annunciato dal primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu e frutto di un’intensa mediazione statunitense. Mentre l’orologio scandiva i minuti verso la tregua, Israele continuava a colpire incessantemente la già martoriata Beirut, con Hezbollah pronto a rispondere lanciando droni su Tel Aviv.

Ma il messaggio del premier è tutt’altro che conciliante: “Quanto durerà dipende da cosa succederà sul terreno: se Hezbollah si riarmerà, noi attaccheremo. In accordo con gli Stati Uniti, manteniamo una completa libertà militare”. A queste parole si aggiunge il silenzio pesante lasciato dai bombardamenti su Beirut che non hanno risparmiato neanche il centro città, terminati solo poche ore prima del cessate il fuoco.

La tregua è arrivata, ma la tensione nell’area resta palpabile. L’equilibrio appare più che mai fragile, con attacchi mirati, provocazioni e una popolazione che tenta di trovare stabilità tra macerie e incertezze.

Cessate il fuoco in Libano, un passo verso la pace?

Parrebbe di no, un cessate il fuoco non equivale alla pace. Le questioni di fondo che dividono Israele e Libano (confini contesi, risorse idriche, relazioni economiche e diplomatiche) rimangono irrisolte. L’intesa proposta dagli Stati Uniti punta semplicemente a far cessare gli scontri tra Israele e Hezbollah, senza affrontare nodi di lungo termine.

Il dialogo diretto si è svolto tra Israele e Nabih Berri, presidente del Parlamento libanese, che ha rappresentato Hezbollah. Le autorità libanesi ufficiali, governo ed esercito, non sono state protagoniste ma hanno accettato il loro ruolo nel mantenimento della tregua, grazie alla mediazione internazionale guidata dagli Stati Uniti, rappresentati dall’inviato Amos Hochstein.

Il testo della tregua riprende la Risoluzione Onu 1701 del 2006, che aveva posto fine all’invasione israeliana. Esso prevede il ritiro di Israele entro 60 giorni e la cessazione di voli di ricognizione o bombardamenti sul Libano. Hezbollah dovrà spostare armi e combattenti oltre il fiume Litani, mentre il sud di quest’ultimo sarà presidiato dall’esercito libanese con il supporto dei caschi blu dell’Unifil. Rispetto al 2006, il nuovo accordo rafforza il ruolo dell’esercito libanese e introduce garanti internazionali, tra cui Francia e Stati Uniti, incaricati di monitorare le violazioni e valutare le eventuali reazioni.

Tel Aviv vorrebbe che l’Unifil, oggi semplice osservatore, si trasformasse in una forza capace di disarmare Hezbollah con l’aiuto dell’esercito libanese. Inoltre, Israele reclama il diritto di agire autonomamente in caso di “minaccia imminente”, un concetto difficile da definire e da accettare a livello di regolamentazione internazionale.

Netanyahu ha affermato che la durata della tregua dipenderà dalle azioni future di Hezbollah, sottolineando che “se Hezbollah si riarmerà, noi attaccheremo”. Inoltre, ha ribadito che Israele manterrà “completa libertà di movimento” e risponderà se Hezbollah violerà l’accordo. Queste dichiarazioni nascondono un sottotesto secondo cui, sebbene Israele abbia accettato la tregua, rimane pronta a riprendere le operazioni militari qualora percepisca minacce alla propria sicurezza. Pertanto, nonostante l’accordo di cessate il fuoco, la possibilità di una ripresa delle ostilità non può essere esclusa.

Esercito libanese: truppe verso il sud, ma con cautela

Per il Libano oggi dovrebbe essere una giornata più serena. Il Paese si prepara a riprendere il controllo del sud, ma il suo esercito invita alla calma. “Con l’entrata in vigore del cessate il fuoco, l’esercito sta prendendo le misure necessarie per completare il suo dispiegamento nel sud”, ha dichiarato in un comunicato, esortando gli abitanti dei villaggi di confine a ritardare il ritorno fino al ritiro completo delle forze israeliane. La priorità è evitare rischi inutili per i civili, un approccio già suggerito dalle forze armate israeliane.

Nonostante gli avvertimenti delle autorità, gli abitanti del sud del Libano e della valle della Bekaa hanno deciso di tornare a casa. Le immagini raccontano tutto: famiglie che tornano tra rovine e campi segnati dalla distruzione, animate da una volontà che sa di coraggio e di ostinata difesa delle proprie radici.

È un gesto che non lascia indifferenti, un segnale forte di una popolazione che non si arrende, che pretende di riprendersi la propria quotidianità anche a costo di ignorare i rischi ancora presenti. Se questa non è resilienza, non sappiamo cos’altro possa essere.

Intanto, Hezbollah rivendica un attacco con droni contro la residenza di un alto ufficiale dell’aeronautica israeliana, descrivendo l’operazione come “perfettamente eseguita”.

Tregua in Libano: il sostegno internazionale

L’Italia ha fatto sentire la sua voce sul cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah, chiedendo con forza il rispetto delle vite umane e un accesso immediato agli aiuti nelle zone colpite. Al G7 di Fiuggi, il ministro degli Esteri Tajani ha ribadito l’impegno italiano per la stabilità, puntando sulla collaborazione con le istituzioni libanesi e sul ruolo chiave dell’Unifil, dove l’Italia è in prima linea con il suo contingente.

Il cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah ha raccolto consensi importanti da diversi Paesi, che vedono nell’accordo un’opportunità per allentare le tensioni in una regione da tempo segnata da conflitti. L’Egitto ha parlato, speranzoso, di un possibile punto di partenza per fermare le operazioni militari nella Striscia di Gaza, suggerendo che il passo compiuto potrebbe aprire la strada a una fase più distesa.

Anche la Cina ha espresso apprezzamento, descrivendo l’intesa come un risultato da sostenere per chiunque voglia contribuire alla stabilità e alla pace. Parole simili arrivano da Cipro, che ha evidenziato l’importanza del ruolo svolto da Stati Uniti e Francia nella mediazione. Il presidente cipriota ha inoltre ribadito l’impegno del suo Paese a sostenere le istituzioni libanesi, con particolare attenzione alle forze armate.

Un colpo mirato a Gaza

Lo stato di Israele non si è fermato. Nella notte, l’aeronautica militare israeliana ha condotto un’operazione chirurgica contro un alto esponente dell’unità cecchini di Hamas a Gaza City. “Mumin Al-Jabari operava in una stanza piena di armi all’interno di una struttura usata come rifugio attivo”, recita la nota dell’esercito israeliano. L’attacco ha fatto seguito a un’operazione di agosto che aveva già neutralizzato oltre 30 militanti di Hamas e della Jihad islamica.

Gli Stati Uniti agiscono su più fronti

Mentre l’accordo di cessate il fuoco veniva definito, gli Stati Uniti hanno condotto un raid in Siria contro un deposito di munizioni iraniano, rispondendo a un attacco contro il proprio personale. Parallelamente, il team di transizione di Donald Trump ha ricevuto due briefing dal negoziatore di Joe Biden, Amos Hochstein, sugli impegni americani nell’accordo e sulla supervisione della tregua.

Il presidente degli Stati Uniti ancora in carica guarda già a Gaza. Ha annunciato che “nei prossimi giorni verrà presentato un piano di cessate il fuoco” che coinvolgerà Turchia, Egitto, Qatar, Israele e altre nazioni. Un’iniziativa che si propone di affrontare una situazione insostenibile per la popolazione civile, con Biden che sottolinea: “La liberazione degli ostaggi è l’unica via per il cessate il fuoco”.

Biden parla di un cessate il fuoco e di ostaggi senza fare riferimento ufficiale, per esempio, alle almeno 2600 vittime civili in Libano nel solo mese di novembre. In particolare, un attacco aereo israeliano nel quartiere di Basta, a Beirut, il 23 novembre, ha provocato almeno 29 morti e 67 feriti, con circa 30 persone ancora disperse.

Iran: la tregua è una vittoria

Dall’Iran arrivano parole di approvazione per il cessate il fuoco. “L’Iran accoglie con favore la fine dell’aggressione del regime sionista contro il Libano”, ha dichiarato Esmaïl Baghaï, portavoce della diplomazia iraniana, sostenendo la resistenza libanese contro l’occupazione e il governo di Beirut.

Tregua fragile, gli scenari che ci aspettano

Gli sviluppi futuri dipendono da mosse strategiche, tensioni mai sopite e un equilibrio precario. Se le parti coinvolte rispettassero i patti, la tregua potrebbe trasformarsi in un periodo di stabilità relativa. Israele, come detto, dovrebbe cessare ogni attività militare nel sud del Libano, mentre Hezbollah sarebbe chiamato a spostare uomini e armi lontano dalla linea di confine. Un ruolo chiave sarà giocato dai caschi blu di Unifil, sempre in prima linea per monitorare la situazione.

Ma non è tutto così semplice. Le dichiarazioni di Netanyahu non lasciano spazio a fraintendimenti. Basterebbero pochi episodi per far saltare la tregua, e il rischio di una ripresa delle ostilità è dietro l’angolo. L’aria resta tesa, con lo spettro di una nuova escalation sempre presente.

Il cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah sembra un equilibrio precario, minacciato da mille incognite. Hassan Barari, docente di relazioni internazionali all’Università del Qatar, lo descrive come un accordo fragile, messo alla prova dalla capacità di Israele di garantire la sicurezza al nord, dalla reale possibilità che il Libano riesca a dispiegare le sue forze al sud e dalla percezione di un effettivo disarmo di Hezbollah.

Ma il vero rischio, come riporta Al Jazeera potrebbe arrivare dalla Siria: se Hezbollah ottenesse nuove armi, Israele potrebbe rispondere colpendo obiettivi oltre confine, con conseguenze imprevedibili. “Non è tutto bianco o nero, l’attuazione sarà complicata”, avverte Barari, lasciando intuire quanto il futuro della tregua dipenda da un equilibrio sottile e tutt’altro che stabile.

Lo scontro potrebbe non fermarsi al confine libanese. L’Iran, alleato storico di Hezbollah, è il convitato di pietra in questa crisi. Qualsiasi mossa azzardata potrebbe incendiare l’intera regione, coinvolgendo attori esterni e spingendo il Medio Oriente in un nuovo vortice di instabilità.

Intanto, per il Libano, il conto dei danni è altissimo. Villaggi distrutti, popolazione sfollata e una ricostruzione che richiederà impegni concreti. Gli aiuti internazionali saranno fondamentali, ma il peso di questa crisi rischia di schiacciare un Paese già in ginocchio.

Francia e Stati Uniti, insieme all’Onu sembrano però voler spingere per una soluzione più duratura. Non sarà facile mettere d’accordo tutte le parti, ma senza un intervento deciso, il Libano rischia di rimanere incastrato in questo eterno ciclo di tensioni e conflitti.