Macron in Nuova Caledonia dopo le proteste: cosa succede nell’ex colonia francese

Il presidente della Francia Macron visiterà la Nuova Caledonia dopo le proteste, degenerate in rivolte violente, degli ultimi giorni

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Matteo Runchi

Editor esperto di economia e attualità

Redattore esperto di tecnologia e esteri, scrive di attualità, cronaca ed economia

Dalla metà del mese di maggio in Nuova Caledonia, una ex colonia francese ora territorio d’oltremare, sono scoppiate alcune proteste che si sono trasformate in scontri armati con la polizia locale. Interi quartieri della città principale della regione, Nouméa. La situazione si è calmata e il presidente Emmanuel Macron è volato nell’arcipelago nella notte tra il 21 e il 22 maggio.

La ragione dietro alle proteste è una riforma della costituzione locale che prevederebbe l’allargamento del diritto di voto a circa 25mila francesi stabilitisi da almeno 10 anni in Nuova Caledonia. A questa riforma si oppongono alcuni gruppi indigeni, soprattutto quello dei Kanak, che ha capeggiato i recenti referendum per l’indipendenza, tutti falliti anche se con percentuali molto incerte. La questione dell’indipendenza della Nuova Caledonia riguarda però anche l’influenza di Cina e Usa nella regione e le sue ampie riserve di nichel.

Le rivolte in Nuova Caledonia e la visita di Macron

Lunedì 13 maggio sono scoppiate alcune proteste, presto degenerate in rivolte violente, in Nuova Caledonia, un territorio d’oltremare, quindi una ex colonia, della Francia. Parigi tratta infatti quello che rimane dei suoi possedimenti coloniali come vere e proprie parti del proprio territorio nazionale, anche se con molti gradi di indipendenza. La Nuova Caledonia è un arcipelago che si trova a 1.500 chilometri a est della costa australiana e 1.600 chilometri a nord della Nuova Zelanda.

Le isole hanno un’estensione molto limitata, di circa 18mila chilometri quadrati. La Sicilia, per paragone, si estende per più di 25mila chilometri quadrati. Anche la sua popolazione è molto ridotta, meno di 270mila persone. È governata da un esecutivo locale eletto dagli indigeni abitanti dell’isola e da chi vi si è trasferito prima del 1988, in virtù di un accordo firmato con la Francia nel 1998. Parigi ha ancora però un controllo fermo sulla politica locale, che esercita tramite un alto commissario, con poteri simili a quelli di un prefetto, di nomina presidenziale.

Le proteste di lunedì 13 maggio sono scoppiate a seguito di un tentativo di riforma costituzionale che voleva estendere il diritto di voto ad alcune persone non indigene che vivono sull’isola. Il principale movimento che ha sostenuto gli scontri si chiama Cellula di Coordinamento dell’Azione sul Campo (CCAT) ed è stato definito “Criminale e mafioso” dal governo di Parigi. Gli scontri si sono verificati principalmente nella città più importante, Nouméa.

Le forze dell’ordine, rinforzate con agenti provenienti dalla Francia, hanno perso il controllo di alcuni quartieri della città. È stato imposto un coprifuoco e rinforzata anche la presenza militare per tenere sotto controllo gli aeroporti e altre infrastrutture fondamentali per non perdere il controllo dell’isola. Nella giornata di sabato 19 la situazione sembra essersi calmata, tanto da permettere nella notte tra il 21 e il 22 maggio, al presidente Emmanuel Macron di atterrare nell’arcipelago per una visita ufficiale.

Cosa ha causato le rivolte in Nuova Caledonia

Il motivo delle proteste, poi trasformatesi in rivolte, in Nuova Caledonia è la riforma costituzionale locale che è stata approvata da entrambe le camere del Parlamento francese. Prima di entrare in vigore, la norma dovrà passare un altro voto, in seduta congiunta. La nuova costituzione affronta un problema creato dall’accordo del 1998 sul diritto di voto alle persone non indigene. Ad oggi infatti vivono stabilmente nell’arcipelago 25mila francesi emigrati dalla madrepatria e in Nuova Caledonia da oltre 10 anni.

Queste persone sono però di fatto private di parte dei propri diritti civili, dato che non possono votare per il governo locale, pur trovandosi tecnicamente nel territorio del proprio Paese di nascita. La modifica costituzionale permetterebbe a chiunque risieda stabilmente in Nuova Caledonia da almeno 10 anni di votare anche per il governo locale. Si tratta di un aumento della base elettorale di circa il 10%, osteggiato però dalle popolazioni indigene.

Negli ultimi anni infatti è nato un forte movimento per l’indipendenza della Nuova Caledoina, che ha portato in soli 4 anni a ben tre referendum per l’indipendenza. Nei primi due ha prevalso la volontà di rimanere sotto il controllo di Parigi, anche se con percentuali molto risicate, di poco superiori al 50%, che in un’arcipelago con soli 270mila abitanti equivalgono a poche migliaia di voti. Il terzo si è svolto nel 2021 ma la principale popolazione indigena, i Kanak, lo ha boicottato in polemica con la scelta di farlo svolgere in piena pandemia da Covid-19. Per questa ragione il risultato è stato superiore al 90% in favore di chi voleva rimanere con la Francia.

Gli interessi economici attorno all’arcipelago e le questioni internazionali

Attorno all’indipendenza della Nuova Caledonia si sviluppano anche interessi economici sempre più importanti. L’arcipelago è infatti il quarto produttore al mondo di nichel, un metallo fondamentale per l’industria tecnologica di cui l’Indonesia controlla più della metà del mercato globale. Posizionarsi in questo mercato è complesso ed è interesse della Francia mantenere la Nuova Caledonia il più allineata possibile alla politica di Parigi, in modo da non perdere i propri vantaggi all’interno del settore delle materie prime per la tecnologia.

Anche dal punto di vista geopolitico, l’oceania sta diventando territorio di scontro, in particolare tra Usa e Cina. Pechino ha stretto rapporti molto collaborativi con gli arcipelaghi di Narau e delle Isole Salomone, per espandere la propria influenza. Gli Usa hanno alcuni territori nell’area e hanno stretto di recente un’alleanza militare con l’Australia, dopo uno screzio di Canberra proprio con la Francia, su alcuni sottomarini nucleari.

L’attore più inaspettato in queste rivolte è però l’Azerbaijan, le cui bandiere si sono viste su molte barricate a Nouméa. Il Paese che si trova nel Caucaso e si affaccia sul mar Caspio, a quasi 14mila chilometri dalla Nuova Caledonia, ha rapporti molto tesi con la Francia. La situazione è data dalla vicinanza di Parigi all’Armenia, con cui Baku ha appena avuto uno scontro armato per la regione del Nagrono-Karabak.

Quella tra Armenia e Francia è un’alleanza storica che risale al genocidio delle popolazioni armene in Turchia del 1915. Parigi si impegnò a ospitare rifugiati, mandando anche navi per mettere in salvo le persone prese di mira dall’esercito turco. Si calcola che circa mezzo milione di armeni viva ancora oggi in Francia. L’Azerbaijan ha però negato ogni coinvolgimento nelle rivolte della Nuova Caledonia.