Russia, la minaccia alla Nato passa dalle Isole Svalbard: nuovo obiettivo di guerra?

Dalla contesa tra Russia e Norvegia per l'arcipelago nell'Artico potrebbe passare un eventuale conflitto con la Nato. Le cose però stanno così da tempo, e le tattiche di Mosca potrebbero prendere altre strade

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

L’Artico è un quadrante fondamentale per la Russia. Talmente fondamentale che per alcuni analisti potrebbe diventare la “nuova Ucraina”, ossia un terreno di scontro (stavolta diretto) con la Nato. In un tale scenario, uno dei primi obiettivi del Cremlino sarebbero le Isole Svalbard, la cui sovranità norvegese è contestata da tempo dai russi.

Gli Usa alimentano negli Stati europei la paura di una possibile invasione russa, spostando il baricentro dell’Ue verso Polonia e Stati baltici. E anche se Mosca non ha verosimilmente intenzione di scatenare un conflitto diretto con la Nato, dall’altro lato del confine si cerca di capire dove potrebbe verificarsi il primo attacco russo.

Perché e come la Russia potrebbe attaccare le Svalbard

Secondo Paul Goble, ex esperto di Eurasia del Dipartimento di Stato ed ex analista della Cia, l’arcipelago artico sarebbe un target privilegiato per l’eventuale tattica bellica russa in virtù del suo status: appartenente alla Norvegia, ma smilitarizzato per via del Trattato di Spitsbergen, firmato nel 1920 da 50 Paesi tra cui Stati Uniti e Francia. Agli occhi del Cremlino, però, l’interdizione quasi totale ai mezzi militari nasconde una strategia occidentale che mira al contrario a militarizzare “nell’ombra” la frontiera artica. Già nel 2021 il passaggio della fregata norvegese “Knm Thor Heyerdahl” lungo l’arcipelago bastò a riaccendere la proverbiale sindrome di accerchiamento della Russia. Il tutto nonostante il Trattato internazionale non vieti esplicitamente la presenza militare nel territorio delle Svalbard, ma soltanto lo sfruttamento dell’arcipelago “per eventuali scopi bellici”. Se da un lato il complesso di isole fa parte a tutti gli effetti territorio norvegese, dall’altro esso gode di uno status legislativo particolare per via della sua posizione strategica.

Sulla carta, però, sempre Norvegia è. Quindi, in caso di offensiva russa, scatterebbe il famigerato Articolo 5 del Patto Atlantico, in base al quale gli Stati della Nato “concordano che un attacco armato contro una o più di esse, in Europa o in Nord America, sarà considerato un attacco contro tutte”. Il doppio status delle Svalbard, tuttavia, secondo il Cremlino potrebbe generare confusione e disaccordo nel fronte Nato sull’attivazione tempestiva del mutuo soccorso. Al contrario, ad esempio, di un attacco diretto a Polonia, Finlandia o Repubbliche Baltiche. Il segretario dell’Alleanza, Jens Stoltenberg, ha ribadito che qualsiasi blitz russo contro le isole sarebbe considerato un attacco “da Articolo 5”.

Nell’arcipelago, in particolare sull’isola di Spitsbergen, vive una nutrita comunità russa. Lo sfruttamento delle miniere di carbone di cui l’arcipelago è ricco fece nascere insediamenti permanenti come quello di Barentsburg, abitato da russi ancora oggi. Nel 2022, la tensione con la Norvegia impedì l’adeguata fornitura di beni di prima necessità da parte di Mosca ai suoi cittadini nell’arcipelago. Da allora, la guerra in Ucraina ha ulteriormente minato la convivenza pacifica tra la comunità norvegese e quella russa. La giurisdizione di Oslo sulle acque delle Svalbard impedisce limita inoltre alla Russia l’accesso a informazioni importanti sui fondali marini, in una regione che vede crescere ulteriormente la propria importanza strategica con lo scioglimento dei ghiacci a causa del cambiamento climatico. Il vice primo ministro russo Yuri Trutnev, responsabile della politica artica della Federazione, ha sottolineato come le rivendicazioni di Mosca sulle Svalbard siano messe a rischio in maniera speculare alla situazione che ha portato alla guerra in Ucraina. “I nostri soldati sacrificano il sangue per la sovranità nazionale e per il diritto delle persone di parlare russo. Credo che le Svalbard dovrebbero essere trattate allo stesso modo” (dell’Ucraina). Sulla stessa linea si pone il ministro per lo Sviluppo dell’Artico, Alexei Chekunkov, annunciando a un gruppo di reduci che Mosca userà “la loro esperienza di combattimento” nella regione settentrionale.

I piani russi per l’Artico

Il progetto di controglobalizzazione russo, che mira a scalzare l’egemonia statunitense, si lega a quello cinese delle Nuove Vie della Seta (marittimo e terrestre) e riguarda principalmente il Mar Glaciale Artico. Per questo Mosca ha incrementato gli investimenti per migliorare i porti e per rendere il “suo oceano” navigabile durante tutti i mesi dell’anno. Il tutto a vantaggio innegabile della Cina, partner economica ma non strategica in quanto impero confinante, che così potrà coltivare i flussi commerciali con l’Europa lungo una direttrice marittima completamente sgombra da presenza occidentale ostile. Con considerevole taglio dei costi attualmente sostenuti per trasportare merci attraverso l’Oceano Indiano e gli stretti controllati da Usa e alleati.

Da qui la decisione di puntare tutto sullo sviluppo di infrastrutture e tecnologie moderne, oltre che navi pattuglia, fregate e corvette di piccola e media cilindrata adatte a navigare nella zona artica, per garantirne la sicurezza. Al Mar Artico le carovane commerciali cinesi e centroasiatiche giungono risalendo le attrezzate vie fluviali eurasiatiche, il che vuol dire anche sviluppo e ricchezza per i territori interni della Federazione Russa, soprattutto nella Siberia già strategica per l’estrazione di materie prime e combustibili fossili. In questo senso rivestiranno un’importanza ancora più grande i porti russi che costellano l’intera costa settentrionale fino al confine meridionale con la Cina: partendo da Pečenga e Murmansk, al confine con la Finlandia, la linea dei porti artici prosegue con Arcangelo e Indiga, con Novij Port, Karasavey, Tazovski, Antipajuta, Dikson, Khatanga, Tiksi, Nižnekolymsk, Pevek, Providenija, Anadyr, Petropavlovsk in Kamchatka, Katangli, Vanino, Nahodka e Vladivostok.

Oltre ad aprire la rotta marittima settentrionale, lo scioglimento dei ghiacci artici comporterà anche un inasprimento della competizione con la stessa Cina per il controllo dei traffici. Molti porti sono stati costruiti e ampliati grazie a investimenti cinesi, il che spingerà Pechino a convincere la Russia a tener conto in prima istanza degli interessi cinesi. Come la Russia deciderà di gestire o dividere il suo dominio artico dipenderà da vari fattori, primi fra i quali la capacità di svilupparsi economicamente e tecnologicamente e come evolveranno le relazioni con Usa e Ue all’indomani del conflitto d’Ucraina.

La Russia non vuole una guerra con la Nato

Al di là degli scenari possibili, la Russia non ha alcuna intenzione di scatenare una guerra con la Nato, che produrrebbe conseguenze apocalittiche anche di tipo nucleare. Anche secondo l’ammiraglio Tony Radakin, capo di Stato maggiore britannico, ha criticato l’uso di un “linguaggio approssimativo” rispetto all’escalation della guerra in Ucraina. E ha precisato che le “circostanze sono diventate più pericolose” rispetto al passato, ma non in modo tale da degenerare in un nuovo conflitto mondiale.

Invece di tradursi in azioni belliche, la contesa russa con la Norvegia potrebbe invece tradursi in campagne di disinformazione o in sabotaggi a oleodotti e gasdotti marini, nonché ai cavi delle telecomunicazioni. Il Cremlino sa bene infatti che, dopo l’embargo europeo nei confronti dell’energia russa, il Paese scandinavo è uno dei principali fornitori di petrolio e gas naturale per diversi Stati Ue. Memore anche del sabotaggio del Nord Stream, con ogni probabilità compiuto o indotto dagli occidentali, che ha colpito direttamente anche la Germania. Un ulteriore seme di potenziale discordia nel fronte europeo.