Il ministro della difesa israeliano, Yoav Gallant, ha delineato il suo piano su come sarà gestita Gaza una volta sconfitto Hamas, in vista di una visita del segretario di stato americano Antony Blinken nella regione.
Gallant ha presentato il piano alla stampa prima di sottoporlo al gabinetto del primo ministro Benjamin Netanyahu, diviso nelle ultime settimane sul futuro di Gaza, soprattutto dopo la bocciatura della riforma della Giustizia da parte della Corte Suprema israeliana.
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Israele annuncia la “Fase 3” della guerra: cosa prevede il nuovo piano
Secondo il piano presentato da Gallant, la guerra di Israele continuerà fino a quando non si arriverà: 1. al completo recupero degli ostaggi presi il 7 ottobre da Hamas; 2. allo smantellamento le “capacità militari e di governo” di Hamas; 3. alla rimozione di ogni possibile minaccia militare.
Successivamente, si legge nel documento, inizierà una nuova fase durante la quale “Hamas non controllerà Gaza e non costituirà una minaccia alla sicurezza dei cittadini di Israele”, con non specificati organismi palestinesi che assumeranno il governo del territorio.
Inoltre, Israele si riserverebbe il diritto di operare all’interno del territorio, anche se non ci sarebbe “nessuna presenza civile israeliana nella Striscia di Gaza una volta raggiunti gli obiettivi della guerra”. Nel piano per la prossima fase della guerra a Gaza, le forze israeliane passerebbero di fatto a quello che è stato definito un “nuovo approccio di combattimento” apparentemente ridotto nel nord di Gaza, ma concentrato nel sud del territorio “per tutto il tempo necessario”.
Il documento emesso da Gallant porta il nome di “visione per la Fase 3” della guerra, non è ancora ufficiale, tuttavia verrà a breve sottoposto all’approvazione da parte dei gabinetti di guerra e di sicurezza di Israele. Di fatto, si tratterebbe di una mossa che avrebbe effetti ancora più devastanti per i civili rimasti bloccati a Gaza: la popolazione del nord di Gaza, infatti, è stata quasi interamente spinta a sud, proprio dove i nuovi attacchi si concentreranno.
Gallant ha poi affermato che il nuovo approccio includerà raid, distruzione di tunnel, “attività aeree e terrestri e operazioni speciali”. L’obiettivo sarebbe “l’erosione” della restante presenza di Hamas.
Il punto di svolta: quale sarà la prossima mossa di Netanyahu?
Questo piano per portare la guerra alla “Fase 3” arriva dopo che la Corte Suprema israeliana ha bocciato la controversa Riforma della Giustizia del primo ministro Benjamin Netanyahu, che ha cercato di limitare il controllo della corte sul governo al potere in Israele.
Si tratta di un duro colpo per Netanyahu, cui critiche nei confronti della sua azione politica stanno continuando a aumentare dopo gli attacchi senza sosta sulla Striscia di Gaza.
Con una decisione a maggioranza di 8-7, la corte ha votato quindi per annullare una legge approvata a luglio 2023 che impediva ai giudici di porre il veto alle decisioni del governo quando ritenute “irragionevoli” e che, di fatto, dava il via ai piani riformisti eliminando il controllo giudiziario sull’esecutivo e aprendo la porta a un regime più severo e autoritario.
A Netanyahu, quindi, serve una svolta, perché lo stop alla riforma della Giustizia rappresenta un grave passo indietro per il suo governo di destra, che potrebbe andare incontro a una crisi se rifiutasse di accettare la decisione.
Si tratta di fatto di una controversia che va avanti da diverso tempo, messa da parte dopo gli attacchi di Hamas il 7 ottobre e la controffensiva che ha impegnato Israele con cariche e bombardamenti interrotti su Gaza.
Il ministro della Giustizia israeliano Yariv Levin, considerato il promotore della riforma, aveva chiesto alla Corte di rinviare la sentenza sulla legge che avviava la riforma della Giustizia a dopo la fine della guerra in corso, ma non è stato ascoltato. Per questo motivo, lo stesso ha criticato duramente la bocciatura, definendola “l’opposto dello spirito di unità richiesto in questi giorni per il successo dei nostri soldati al fronte”.
Non ha specificato però se il governo cercherà di rilanciare l’emendamento e di portare avanti i progetti di riforma, nonostante la decisione della corte, anche se ha insistito sul fatto che la sentenza “non li scoraggerà”. I portavoce di Netanyahu, tuttavia, non hanno annunciato alcuna contromossa imminente. Con l’esercito impegnato a Gaza e le forze dispiegate in questo conflitto, è probabile che il messaggio dei rappresentanti di Governo (che giurano sul fatto che non sia ancora finita) sia solo un modo per un altro per fare propaganda politica e apparire forti e decisi.
La verità è che, sia le persone contrarie che quelle favorevoli alla Riforma della Giustizia, al momento, sembrano non disposte a tornare allo sconvolgimento interno politico che ha preceduto la guerra in Israele.
Arrivano gli Stati Uniti
Proprio mentre crescono i timori sulle possibilità che ora il conflitto a Gaza possa estendersi oltre la regione, il segretario di stato americano Antony Blinken è arrivato in Medio Oriente oggi, per continuare l’intensa attività diplomatica dell’amministrazione Biden sul conflitto.
Non è la prima volta che accade, ma questa volta il viaggio sarà di una settimana e includerà visite in Israele e Cisgiordania, così come in Giordania, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Egitto. Poi farà tappa anche in Turchia e Grecia.
Non è un caso quindi che Israele abbia annunciato la “Fase 3” della guerra proprio ora. Blinken infatti ha fatto sapere ai giornalisti che la sua missione sarà proprio quella di fare progressi i sulla delicata questione di come la Striscia di Gaza potrebbe essere gestita dopo la guerra. Inoltre, chiederà più aiuti umanitari a Gaza.
“Non è nell’interesse di nessuno, né di Israele, né della regione, né del mondo, che questo conflitto si estenda oltre Gaza”, ha detto in conferenza stampa il portavoce del Dipartimento di Stato americano Matthew Miller, aggiungendo che Blinken discuterà i passi – non specificati – che le parti possono intraprendere per evitare un’escalation.
Cosa si rischia ora?
Visti gli equilibri così precari, è difficile pensare che la situazione di crisi in Medio Oriente possa presto rientrare.
Si prevede che Blinken riprenda gli appelli degli Stati Uniti ai leader israeliani affinché riducano l’impatto della loro operazione a Gaza sui civili, che ha creato quella che le agenzie di soccorso hanno definito una crisi umanitaria e che minaccia di rivolgere l’opinione pubblica contro Israele.
Gaza è distrutta, non arrivano più aiuti umanitari e l’esercito israeliano non rispetta più le leggi di guerra (nazionale e internazionale), così come ignora ogni tipo di cooperazione internazionale. Il conflitto per ora non si è esteso oltre la Regione, ma le notizie che arrivano non sono certo rincuoranti, perché parlano di attacchi violenti e fuori controllo, a danno di civili, donne, bambini, membri della stampa, volontari sul posto. Nessuno è escluso e gli orrori si susseguono.
Dal 7 ottobre, migliaia di palestinesi, tra tantissimi bambini, sono stati uccisi non solo sulla Striscia di Gaza. Nella Cisgiordania occupata, per esempio, la violenza dei coloni rimane una seria preoccupazione. Inoltre, il continuo fuoco quotidiano attraverso la Linea Blu rappresenta un grande rischio per la stabilità regionale, poiché sono diversi i casi di attacchi segnalati anche nei territori del Libano.
Nel briefing al Consiglio, Itay Epshtain, consigliere speciale e consulente senior in diritto e politica umanitaria presso il Consiglio norvegese per i rifugiati, ha puntato i riflettori sul trasferimento forzato di centinaia di migliaia di palestinesi all’interno di Gaza da parte di Israele, insieme all’intensificata campagna di violenza dei coloni israeliani armati contro Palestinesi nella Cisgiordania occupata. Tale violenza è spesso trascurata dalle forze di sicurezza israeliane – e persino incoraggiata da alcuni funzionari governativi. Quindi, mentre le operazioni militari israeliane a Gaza spingono i civili sempre più vicino al confine meridionale, aumenta la possibilità incombente di deportazioni di massa in Egitto.
Il conflitto, quindi, man mano si va espandendo.
Sempre durante il Consiglio, infatti, il relatore degli Emirati Arabi Uniti ha sottolineato che, senza decisioni coraggiose da parte delle Potenze mondiali, l’unica alternativa è assistere all’espansione del “l’inferno di Gaza” anche in “Cisgiordania, Israele, Libano e altre parti del Medio Oriente”. Di fronte alla carneficina di Gaza, un risvegliato senso di responsabilità storica e morale deve manifestarsi in un’azione decisiva, ha affermato, chiedendo “una visione alternativa di speranza contro l’estremismo nichilista”.
Khaled Khiari, segretario generale aggiunto delle Nazioni Unite per il Medio Oriente, l’Asia e il Pacifico, descrivendo nel dettaglio la situazione “allarmante” in Medio Oriente, ha affermato infatti che i combattimenti tra le forze israeliane e Hamas a Gaza continuano. Israele continua le sue intense operazioni di terra, mentre Hamas continua a lanciare razzi da Gaza verso Israele. “I civili di entrambe le parti – in particolare della Striscia di Gaza – continuano a sopportare il peso di questo conflitto”, ha affermato. Esprimendo grave preoccupazione per il deterioramento della situazione umanitaria a Gaza, ha chiesto un immediato cessate il fuoco umanitario nella zona. “Inoltre, il rischio di ricadute regionali di questo conflitto rimane elevato, data la moltitudine di attori coinvolti”, ha spiegato.
Israele ha interrotto le importazioni di cibo, medicine, energia e carburante a Gaza all’inizio della guerra, e le agenzie umanitarie avvertono che la popolazione è a rischio di carestia anche se il blocco è stato parzialmente allentato in risposta alle richieste di Washington.
Come nei viaggi precedenti, Blinken cercherà di avviare discussioni su come sarà gestita Gaza se e quando Israele raggiungerà il suo obiettivo di sradicare Hamas, che governa la Striscia dal 2007.
“Discuteremo della necessità di una governance combinata che unisca… la Cisgiordania e Gaza sotto la leadership palestinese, ma i dettagli li terrò per conversazioni diplomatiche private”, ha detto il suo portavoce.