La volontà di attacco totale da parte di Israele sta mettendo in seria difficoltà anche gli alleati. Due peacekeeper indonesiani dell’Unifil sono rimasti feriti in un bombardamento israeliano su una postazione della missione delle Nazioni Unite sul confine meridionale del Libano.
Nell’attacco è stata colpita una torre di osservazione dell’Unifil, vicina al quartier generale della zona di Naqoura. La cancellerie europee, tra cui il governo italiano, hanno gridato allo scandalo e al gesto inammissibile. Le rassicurazioni da parte dello Stato ebraico non sono bastate a placare l’indignazione per l’ennesima operazione militare sfuggita di mano.
Cosa è successo alle basi dell’Unifil in Libano
Nell’ambito della sua offensiva contro Hezbollah in Libano, l’esercito israeliano ha preso di mira e colpito tre basi della missione Unifil. Due di queste sono italiane e la terza è il quartier generale della missione. Una cosa grossa, dunque. Le Idf hanno aperto il fuoco contro la base UNP 1-31 sulla collina di Labbune, nell’area di responsabilità del nostro contingente. Secondo le fonti locali, dopo che un drone israeliano ha più volte sorvolato la base, è stato bersagliato di colpi l’ingresso del bunker dove sono rifugiati i soldati italiani. Nell’attacco sono stati danneggiati i sistemi di comunicazione tra la base e il comando Unifil a Naqoura.
I due caschi blu feriti erano invece operativi proprio a Naqoura. Qui un carro armato Merkava delle Idf ha sparato verso una torre di osservazione presso il quartier generale della missione Onu. Le ferite riportate sono lievi, ma la mossa è ritenuta molto grave. L’Unifil ha fatto sapere che i soldati israeliani hanno “deliberatamente sparato e disattivato le telecamere di monitoraggio perimetrale della posizione. Hanno anche deliberatamente aperto il fuoco sulla posizione UNP 1-32A, dove si tenevano regolari riunioni tripartite prima dell’inizio del conflitto, danneggiando l’illuminazione e una stazione di trasmissione”.
L’Unifil ha ricordato a Tel Aviv e a tutti gli attori coinvolti negli scontri i loro obblighi nel garantire la sicurezza e la protezione del personale e delle proprietà delle Nazioni Unite. La premier Giorgia Meloni ha parlato di “situazione inammissibile”, in quanto la mossa di Israele rappresenta una grave violazione del diritto internazionale umanitario e della risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza Onu. Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha tuonato che “Italia e Onu non possono prendere ordini da Israele” e che l’episodio non è “né un errore né un incidente”.
Cos’è la missione Unifil in Libano
Finita nel tritacarne delle notizie da diversi giorni, l’Unifil è una missione di pacekeeping delle Nazioni Unite alla quale partecipano 50 Paesi, installata in Libano per garantire la pace al confine con Israele. Nata nel 1978, proprio in seguito all’invasione israeliana di parte del sud del Paese come avviene in queste settimane, la Forza interinale delle Nazioni Unite in Libano (questo significa l’acronimo) ha avuto come scopo primario il mantenimento della stabilità della frontiera.
Nel 2006, in seguito alla seconda guerra israelo-libanese, l’Onu riesce a raggiungere un difficile compromesso tra lo Stato ebraico e le milizie di Hezbollah, che nel frattempo avevano “colonizzato” la zona meridionale del Paese dei cedri. Fu stabilita una “zona cuscinetto” di circa 60 chilometri tra la Linea Blu di demarcazione e il fiume Litani. La stessa Linea Blu rappresenta la direttrice del ritiro delle truppe stabilita nel 2000. La sicurezza della zona è stata affidata in pianta stabile proprio all’Unifil, presente con una forza totale di 10.400 uomini.
In sostanza, i caschi blu in Libano hanno il compito di demilitarizzare l’area, garantendo la giurisdizione alle Forze armate regolari libanesi e tenendo dunque a debita distanza sia i militari israeliani sia i miliziani di Hezbollah. Nella succitata risoluzione 1701 dell’Onu vengono elencati tutti gli obiettivi dell’Unifil:
- monitorare la cessazione delle ostilità;
- sostenere la Lebanese Armed Force nel suo ridispiegamento nel sud del Paese;
- coordinare il ritiro delle Idf dalle zone occupate;
- assicurare un corridoio umanitario alla popolazione civile e il rientro in sicurezza degli sfollati;
- mantenere tra la Blue Line e il fiume Litani una area libera da personale armato;
- imporre il disarmo a tutti i gruppi armati all’infuori dell’esercito libanese;
- impedire il commercio di armi e connessi materiali tranne quelli autorizzati dal governo;
- assicurare che l’area di operazioni non sia utilizzata per azioni ostili di ogni tipo;
- reagire con la forza a tentativi di impedire l’assolvimento del proprio compito sotto il mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Quanti soldati italiani ci sono in Libano per l’Unifil
L’Italia partecipa alla missione Unifil con un contingente di circa 1.200 soldati dell’Operazione Leonte, i quali hanno il compito di presidiare il settore occidentale della zona cuscinetto, con sbocco sul mare. Nel 2006 i nostri militari sono stati tra i primi a intervenire in Libano, inizialmente con l’operazione Mimosa e poi con Leonte, dal nome del maggiore fiume del Paese che delimita l’area d’azione del contingente italiano.
Dapprima affidato al Corpo della Marina, il gruppo italiano è poi passato sotto la giurisdizione dell’esercito. Da agosto 2024 la guida del contingente e del settore ovest di Unifil è stata assunta dalla Brigata Sassari, che ha sostituito gli alpini della Brigata Taurinense.
Perché Israele ha attaccato la missione Unifil dell’Onu?
Secondo fonti di intelligence, l’attacco di Israele alla missione Unifil avrebbe l’obiettivo di “costringerla a ritirarsi” per non avere “testimoni scomodi” in vista di “pianificazioni future” dell’esercito israeliano in Libano. La lettura del raid è condivisa anche dalla stessa missione Onu il cui comandante, il generale spagnolo Arnoldo Lazaro, ha già contattato gli omologhi dello Stato ebraico per condannare ufficialmente l’episodio.
Non dimentichiamo inoltre l’ormai aperto clima di avversione tra Onu e Israele. L’organizzazione ha deliberato verie risoluzioni che condannano le operazioni militari israeliane sui civili di Gaza e che chiedono la fine dell’occupazione di territori affidati legittimamente ai palestinesi, anche in assenza di uno Stato. Ripetendo, di fatto, le stesse conclusioni indirizzate allo Stato ebraico nel 1967, dopo la Guerra dei Sei Giorni. Dall’altra parte abbiamo assistito al duro affondo del premier Benjamin Netanyahu, che ha definito l’Assemblea delle Nazioni Unite una “palude antisemita”.