Nel 2020 l’INPS ha pagato meno pensioni: ecco perché

L'Istituto di previdenza ha reso noto il calcolo delle risorse che non sono state erogate nel 2020 come risultato dei tanti decessi

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Redazione

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Se il prezzo pagato in termini di vittime della pandemia è incalcolabile, i conti dell’Inps hanno fatto registrare un esborso minore sulle pensioni. L’Istituto di previdenza ha stimato in 1,1 miliardi di euro gli assegni previdenziali che non sono stati erogati nel 2020.

Pensioni, meno pagamenti a causa del numero di vittime della pandemia: il rapporto Inps

I dati sono contenuti nel nono Rapporto di Itinerari previdenziali presentato al Senato dal Centro Studi e Ricerche presieduto da Alberto Brambilla: il resoconto sul sistema pensionistico italiano prevede da qui al 2029 una spesa minore dell’Inps per 11,9 miliardi di euro.

“Il 96,3% dell’eccesso di mortalità registrato nel 2020 – si legge nel documento – ha riguardato persone con età uguale o superiore a 65 anni, per la quasi totalità pensionate. Considerando per compensazione l’erogazione delle nuove reversibilità, si quantifica in 1,11 miliardi il risparmio, tristemente prodotto nel 2020 dal Covid a favore dell’Inps, e in circa 11,9 miliardi la minor spesa nel decennio”.

Anche per effetto della fine di Quota 100, combinata con la cancellazione di prestazioni a lunga decorrenza, a partire dal 2022 i minori pensionamenti, “dovrebbero consentire di ammortizzare le perdite prodotte da Covid-19 nel corso dei prossimi 2 o 3 anni, con una risalita del rapporto attivi/pensionati intorno al valore di 1,49 già nel 2024″, un valore vicino alla quota record di 1,4578 toccata nel 2019 (qui per conoscere il calendario Inps delle pensioni del 2022).

Dai calcoli emersi dal dossier, il rapporto spesa pensionistica/PIL dovrebbe ridursi dal 14,27% del 2020 al 13,19% del 2021, migliorando fino al 12,32% (valore in linea alla media Eurostat) nel 2024 (ecco cosa può cambiare con Quota 102).

Nel 2020 la spesa per le prestazioni previdenziali (Invalidità, vecchiaia e superstiti) del sistema obbligatorio è stata di 234,7 miliardi di euro, in aumento di 4,5 miliardi (+1,95%) rispetto all’anno precedente. Nel complesso, nel 2020 l’Italia ha destinato alle prestazioni sociali (pensioni, sanità e assistenza) 510,258 miliardi, quasi 22 in più del 2019 (+4,5%).

Pensioni, meno pagamenti a causa del numero di vittime della pandemia: i dati sul sistema previdenziale

Sempre secondo il report, ad oggi sono oltre 476mila le pensioni Ivs (invalidità, vecchiaia e superstiti) pagate da oltre 40 anni, a persone andate in pensione quindi nel 1980 e anche precedentemente. Di queste 423mila sono le prestazioni che riguardano il settore pubblico e 53.274 quelle riguardanti il settore privato (qui abbiamo spiegato come cambiano gli importi delle pensioni nel 2022).

Nello specifico si trattano di oltre 217mila assegni di invalidità o inabilità previdenziale mentre quelle ai superstiti sono oltre 183mila (168.403 quelle del settore privato con un’età media alla decorrenza di 38,29 anni).

La media delle pensioni di più lunga durata è di quasi 46 anni nel settore privato e di 44 per il pubblico “mentre prestazioni corrette sotto il profilo attuariale non dovrebbero superare i 20/25 anni”. Questo è un ” monito fortissimo alle forze politiche e sociali che, a fronte di una delle più elevate aspettative di vita, continuano a proporre forme di anticipazioni” dicono gli esperti nel rapporto.

Per il presidente del Centro Studi e ricerche Itinerari previdenziali, Alberto Brambilla, il nostro sistema pensionistico rimane comunque sostenibile “e lo sarà anche tra 15 anni, nel 2035, quando le ultime frange dei baby boomer nati dal Dopoguerra al 1980 si saranno pensionate”.

Il professore ha però indicato quattro punti fondamentali sui quali è richiesto l’intervento dello Stato affinché si mantenga la sostenibilità pensionistica:

  • le età di pensionamento, attualmente tra le più basse d’Europa (62 anni l’età effettiva in Italia contro i 65 della media europea), nonostante un’aspettativa di vita tra le più elevate a livello mondiale;
  • l’invecchiamento attivo dei lavoratori, attraverso misure volte a favorire un’adeguata permanenza sul lavoro delle fasce più senior della popolazione;
  • la prevenzione, intesa come capacità di progettare una vecchiaia in buona salute;
  • le politiche attive del lavoro, da realizzare di pari passo con un’intensificazione della formazione professionale, anche on the job.