Pensioni, allo studio un “paracadute” per i giovani

Il traguardo finale è fissato per l'inizio di aprile quando il governo dovrà presenta il Dpef.

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Redazione

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Dopo la battaglia politica per il Quirinale la riforma delle pensioni rappresenta il primo banco di prova per il governo. Lo scorso 31 dicembre è scaduto il triennio di quota 100 (62 anni di età e 38 di anzianità) e alla fine di quest’anno si concluderà anche il regime transitorio a quota 102 (64 anni di età e 38 di contributi). In tale scenario l’obiettivo è quello di evitare lo scalone provocato dal ripristino della Legge Fornero che porterebbe l’età minima d’uscita a 67 anni.

Sul tema continua il confronto governo-sindacati. Il prossimo appuntamento, dopo l’incontro di ieri, è previsto per il 7 febbraio che vede in calendario un incontro ‘politico’ nel quale il ministro del Lavoro, Andrea Orlando e i leader di Cgil Cisl e Uil faranno un primo bilancio del lavoro svolto analizzando le criticità presenti sul cammino verso una riforma condivisa. Il traguardo finale è fissato per l’inizio di aprile quando il governo dovrà presenta il Dpef. Sul tavolo la proposta di fissare un’età minima al cui raggiungimento sarebbe consentita l’uscita anticipata, ma anche un bonus contributivo virtuale per incrementare le pensioni future dei giovani e alcune misure per agevolare la maternità come la riduzione del requisito anagrafico e contributivo per le lavoratrici madri pari a 12 mesi per figlio su tutte le prestazioni senza penalizzazioni.

Flessibilità del pensionamento

I sindacati sostengono la necessità di introdurre una maggiore flessibilità per poter accedere alla pensione. La Cisl ha ribadito la necessità di rendere più equo il sistema contributivo eliminando le soglie economiche che condizionano l’accesso alla pensione e di dare stabilità delle regole confermando la richiesta di consentire il pensionamento a partire dai 62 anni di età e anche in presenza di 41 anni di contributi, a prescindere da qualsiasi requisito anagrafico.

Una linea opposta a quello di Draghi che punta al sistema contributivo per non aggravare i conti pubblici. Allo studio vi è l’ipotesi di consentire a tutti di uscire a 63 anni con un assegno agganciato in buona parte alla contribuzione effettiva. Come penalizzazione è previsto un taglio della quota retributiva dell’assegno (intorno al 3% per ogni anno di anticipo rispetto all’età legale) che compensi il vantaggio di incassare la pensione per un numero maggiore di anni.

Pensione di garanzia per i giovani

Il sistema contributivo pone un problema per molti lavoratori, soprattutto per i giovani, che tra carriere discontinue, cassa integrazione, precariato e basso salario rischiano di percepire un assegno essere irrisorio. Per questo i sindacati chiedono una pensione di garanzia  di almeno mille euro che vada a irrobustire quanto percepito dai giovani che presentano buchi contributivi.

Una proposta valutatanei primi due tavoli tecnici previsti nell’ambito del confronto in corso tra governo e sindacati – come rileva il Sole 24 Ore – è quella del “bonus contributivo virtuale da garantire ai giovani”. La prima ipotesi illustrata dal quotidiano di Confindustria prevede che il bonus potrebbe scattare “garantendo per ogni anno di lavoro 1,5-1,6 anni di versamenti con il concorso diretto dello Stato, fino a coprire in modalità figurativa la durata dei periodi di formazione, di disoccupazione scoperti, e forse anche quelli riconducibili al lavoro di cura, ovvero all’assistenza di famigliari in difficoltà”. Ma il ministero dell’Economia si riserva di quantificare con precisione l’impatto finanziario e le platee prima di pronunciarsi. La seconda ipotesi prevede, invece, di assicurare la contribuzione figurativa sotto forma di bonus una tantum.