Secondo lavoro, cassa integrazione a rischio senza doppia comunicazione a Inps e datore

Una nuova legge fissa l’obbligo di comunicare al datore ogni secondo lavoro. Scopri che cosa cambia e quali sono i rischi

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

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Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 3 dicembre scorso, la legge 182/2025 contiene regole per la semplificazione delle procedure nel campo del lavoro. Oltre a temi di primaria importanza come l’immigrazione, il settore turistico-ricettivo o il lavoro agricolo, questo testo normativo introduce un obbligo generale per tutti i dipendenti.

Ci riferiamo alla comunicazione, al proprio datore, dello svolgimento di altra attività lavorativa, da parte di chi percepisce il trattamento di cassa integrazione guadagni, per motivi di crisi o riduzione dell’attività aziendale. Da adesso, infatti, l’interessato dovrà informare non soltanto l’ente previdenziale, ma anche l’azienda.

Vediamo più da vicino questa significativa novità e che cosa cambia, in concreto, per milioni di lavoratori.

Il duplice obbligo di comunicazione a Inps e al datore

L‘art. 22 della legge n. 182 parla chiaro, introducendo l’appena citato impegno nei confronti dell’azienda che, a suo tempo, ha richiesto l’intervento di integrazione salariale, sulla scorta dei requisiti di legge.

Esigenze di trasparenza nei controlli, semplificazione, lealtà e tutela del datore permeano una novità che arricchisce la disciplina normativa precedente. Il riferimento va all‘art. 8 del d. lgs 148/2015, recante regole per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali.

Finora, sul percettore di cassa gravava già l’obbligo di dare preventiva comunicazione dello svolgimento di un secondo lavoro all’ufficio Inps territorialmente competente, a pena di decadenza dal diritto al trattamento.

In particolare, il dipendente:

  • che svolge attività di lavoro subordinato, oppure autonomo, durante il periodo di integrazione salariale non ha diritto al relativo trattamento per le giornate di lavoro effettuate;
  • decade dal diritto al trattamento, nel caso in cui non abbia provveduto a dare preventiva comunicazione dello svolgimento dell’attività alla sede territoriale Inps.

Ora all’appena citato art. 8, viene aggiunto il comma 2 bis secondo cui:

Il lavoratore che fruisce del trattamento di integrazione salariale deve informare immediatamente il datore di lavoro, che ha richiesto il relativo intervento, di aver intrapreso un’attività lavorativa in relazione alla quale ha provveduto a fornire all’Inps la comunicazione.

Preferibilmente con un documento scritto proveniente dal suo dipendente, l’azienda sarà ora subito informata e potrà agire velocemente per sospendere la richiesta di Cig, o comunicare eventuali anomalie. Violare questa nuova regola, esporrà il dipendente cassintegrato a provvedimenti disciplinari.

La tutela del datore di lavoro che anticipa il trattamento di integrazione salariale

La recente modifica alla disciplina sulla compatibilità, tra cassa integrazione e svolgimento di un’altra attività, mira a offrire una tutela più solida al datore. Come è noto, egli — in buona fede — anticipa ai dipendenti il trattamento di integrazione salariale, recuperandolo poi tramite conguaglio con i contributi dovuti all’Inps.

Oggi, può verificarsi una situazione problematica. L’azienda che, a suo tempo, ha richiesto la cassa integrazione, non essendo venuta a conoscenza del lavoro svolto dal suo dipendente durante il periodo di sospensione, continua ad anticipare tutta la prestazione.

Successivamente, però, l‘ente previdenziale può legittimamente ridurre — o, nei casi più gravi, azzerare — l’importo conguagliabile o recuperabile dai contributi dovuti all’Inps, rimodulando la misura del trattamento in base ai compensi ottenuti dal cassintegrato, per l’attività svolta.

In questo scenario il datore si trova a dover sostenere non soltanto l’onere economico derivante dalla mancata restituzione da parte dell’Inps delle somme anticipate in buona fede, ma anche gli eventuali profili sanzionatori connessi. Rischia, insomma, di rimetterci dei soldi.

Il recente intervento normativo, dunque, mira a evitare che l’azienda sia penalizzata, quando non ha alcuna possibilità di conoscere l’attività svolta dal lavoratore durante la cassa integrazione.

Quanto spetta di cassa integrazione con un secondo lavoro?

Viene così assicurato un sistema più equo e coerente, nel rapporto tra anticipazione del trattamento e recupero presso l’istituto previdenziale. La responsabilità è così spostata sul lavoratore in Cig che non dichiara la diversa attività svolta.

Inoltre, per costante indirizzo giurisprudenziale, lo svolgimento di lavoro remunerato nel periodo di sospensione del lavoro non porta alla perdita di tutto il diritto alla somma per l’intero periodo.

Il dipendente subirà, esclusivamente, una sua riduzione proporzionale all’importo dei guadagni dell’alternativa attività svolta.

Cassa integrazione: tutti gli obblighi e i limiti

E proprio parallelamente agli approdi giurisprudenziali va letta questa fresca novità di legge, sulla trasparenza della gestione dei trattamenti di sostegno al reddito.

Già nel 2022, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 31146, aveva ribadito che il dipendente in cassa integrazione deve sempre comunicare all’ente previdenziale, in modo preventivo, ogni attività lavorativa svolta presso un altro datore, al di là del reddito prodotto.

Nella disputa, a suo tempo risolta dai giudici di piazza Cavour, un pilota — durante tre anni di cassa integrazione guadagni straordinaria — aveva lavorato per un’altra compagnia, senza informare né Inps né la società originaria.

Dopo una prima decisione favorevole all’uomo, la corte d’appello aveva ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare, valutando grave la mancanza.

La Cassazione ha confermato: il dovere di comunicazione vale per ogni attività, anche occasionale, minima, autonoma o non soggetta a contributi.

E non richiede alcuna verifica sulla prevalenza o sull’impegno lavorativo. L’omessa comunicazione comporta, quindi, la decadenza dal trattamento e può giustificare il recesso disciplinare.

Ora, l’integrazione normativa di cui alla legge 182/2025 corre parallela, perseguendo la finalità di ridurre il rischio di indebite percezioni e garantire un corretto utilizzo corretto dei soldi pubblici.