Docenti sotto esame per ottenere fondi, via alla riforma dell’università

Cambiano le modalità di accesso alla professione universitaria e anche l'assegnazione dei fondi agli atenei. Come verrano erogati e cosa ha modificato la riforma

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Claudio Cafarelli

Giornalista e content manager

Giornalista pubblicista laureato in economia, appassionato di SEO e ricerca di trend, content manager per agenzie italiane e straniere

Pubblicato: 20 Maggio 2025 12:40

Il Consiglio dei ministri ha approvato una nuova riforma che modifica le modalità di accesso alla professione universitaria. Presentata dalla ministra dell’Università Anna Maria Bernini, la riforma interviene su vari aspetti del reclutamento accademico, a partire dalla valutazione periodica dei docenti, fino all’assegnazione dei fondi agli atenei. Uno degli obiettivi principali, secondo la Bernini, è semplificare le procedure, valorizzare il merito e rafforzare l’autonomia delle università.

Fino ad oggi, l’accesso alla carriera universitaria in Italia era regolato dall’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN), introdotta con la legge Gelmini nel 2010. Questo sistema prevedeva una doppia selezione: prima il conseguimento dell’abilitazione a livello nazionale e successivamente il superamento di un concorso bandito dal singolo ateneo. Il meccanismo, nel tempo, ha evidenziato alcune criticità secondo il Ministero dell’Università: ha generato un numero elevato di abilitati senza una corrispondente disponibilità di posti, e si è concentrato quasi esclusivamente sulla produttività scientifica, trascurando altri aspetti della professionalità accademica.

I principali cambiamenti introdotti dalla riforma

Il nuovo disegno di legge modifica il sistema di reclutamento dei docenti universitari introducendo i seguenti punti salienti:

  • i docenti saranno valutati ogni due anni, con un sistema di valutazione periodica che influenzerà l’accesso ai finanziamenti da parte degli atenei;
  • viene abolita l’Abilitazione Scientifica Nazionale, sostituita da un sistema che prevede l’autocertificazione dei requisiti minimi di produttività e qualificazione scientifica;
  • sarà creata una piattaforma informatica ministeriale, dove i candidati potranno caricare le proprie autocertificazioni;
  • la selezione dei docenti sarà gestita direttamente dalle università, che avranno maggiore autonomia nella definizione delle procedure;
  • le commissioni giudicatrici saranno composte da un membro interno all’ateneo e da membri esterni selezionati tramite sorteggio nazionale tra i docenti del medesimo settore scientifico-disciplinare;
  • le nuove regole si applicheranno anche al reclutamento dei ricercatori a tempo determinato.

L’intento della riforma è armonizzare le procedure, evitare sovrapposizioni e favorire la mobilità tra atenei, anche a livello internazionale.

Come vengono selezionati i docenti

Un elemento centrale della riforma è l’introduzione di una piattaforma informatica gestita dal Ministero dell’Università e della Ricerca. Su questo portale i candidati potranno autocertificare il possesso dei requisiti minimi, definiti a livello nazionale.

Questa novità mira a semplificare il percorso di accesso alla carriera universitaria, eliminando la necessità di un passaggio nazionale obbligatorio come l’ASN. Le università avranno quindi il compito di valutare i candidati, basandosi non solo su parametri scientifici ma anche su competenze didattiche e contributi alla “terza missione”, ovvero le attività di impatto sociale svolte dagli accademici.

Le nuove commissioni saranno formate da un docente dell’ateneo e membri esterni, estratti a sorte da un elenco nazionale. Questo modello vuole assicurare imparzialità e trasparenza nella selezione, riducendo al minimo i rischi di autoreferenzialità.

Come vengono valutati i nuovi docenti

Con la nuova riforma, tutti i docenti universitari saranno soggetti a una valutazione ogni due anni. Le commissioni incaricate della valutazione saranno istituite nei singoli atenei e dovranno verificare il rispetto degli standard minimi definiti a livello nazionale.

Il risultato di queste valutazioni influenzerà direttamente la distribuzione dei fondi pubblici: gli atenei che riusciranno a reclutare e valorizzare i docenti più qualificati riceveranno maggiori risorse. Il meccanismo punta a introdurre elementi di merito nel sistema di finanziamento, incentivando le università a puntare sulla qualità.

Secondo la ministra Anna Maria Bernini, la riforma rappresenta una risposta necessaria a criticità emerse negli ultimi anni nel sistema universitario italiano. La ministra ha spiegato che l’obiettivo è “rafforzare l’autonomia degli atenei e responsabilizzarli nella gestione delle selezioni”, introducendo un modello più agile ed efficiente. Il nuovo sistema punta a ridurre i tempi delle procedure, ad ampliare i criteri di valutazione e a valorizzare il merito.

Le critiche dell’Associazione dei Dottorandi

Non sono mancate le critiche, in particolare da parte dell’Associazione dei Dottorandi e Dottori di Ricerca (Adi). Il coordinatore dell’area ricerca, Raffaele Vitolo, ha espresso dubbi sull’efficacia della riforma, dichiarando al Fatto Quotidiano: “Una riforma serviva ma questa rischia di peggiorare le cose”.

L’associazione ha sempre contestato il sistema dell’Abilitazione Scientifica Nazionale, in quanto basato esclusivamente sul numero di pubblicazioni, senza considerare le competenze trasversali dei docenti. Secondo Vitolo, il nuovo modello potrebbe portare solo cambiamenti di facciata, senza risolvere i problemi strutturali del sistema.

Secondo Adi, il rischio è che la maggiore autonomia concessa agli atenei non sia accompagnata da sufficienti garanzie di equità e trasparenza, e che le nuove procedure non riescano a valorizzare realmente le diverse dimensioni della professionalità accademica.