Part-time involontario, cos’è e perché colpisce più le donne degli uomini

I dati del part-time involontario del report "Da conciliazione a costrizione": sempre più donne e giovani vittime del fenomeno

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Giorgia Bonamoneta

Giornalista

Nata ad Anzio, dopo la laurea in Editoria e Scrittura e un periodo in Belgio, ha iniziato a scrivere di attualità, geopolitica, lavoro e giovani.

Il part-time in Italia non è sempre una scelta. L’aumento del part-time involontario è un fenomeno che emerge dai dati del lavoro di ricercatrici, senatrici e dell’Istat. Nel rapporto “Da conciliazione a costrizione: il part-time in Italia non è una scelta. Proposte per l’equità di genere e la qualità del lavoro” sono presenti anche le esperienza di lavoratrici con contratto part-time involontario.

Il documento ha il pregio di concentrarsi su un fenomeno in forte crescita, ma di cui si parla poco o solo quando è in arrivo la stagione estiva: il part-time involontario. I numeri sono importanti, con oltre 2 milioni di lavoratori e lavoratrici su 4 milioni e 203mila part-time regolari. A differenza di chi sceglie il part-time, frutto di una conciliazione tra il tempo di vita e quello lavorato, chi ha un part-time involontario lo subisce. La promessa in molti casi è che il lavoro con un simile contratto, con gli straordinari, arriverà ad avere un guadagno adeguato.

Per trovare una soluzione alle pratiche scorrette di chi propone questo genere di contratto, il documento non solo propone una spiegazione del fenomeno e di chi colpisce, ma anche proposte concrete di politiche pubbliche volte a invertire la rotta. Susanna Camusso, senatrice del Partito Democratico, ha presentato le policy contenute nel documento e ha commentato come dal report emerge un’analisi impietosa e approfondita che rende visibile come “il part-time involontario è contemporaneamente discriminante per le donne, agisce a svalorizzare il loro lavoro, acuisce le difficoltà di conciliazione e le rende meno libere e ostaggio di imprese e servizi che galleggiano, restano nel grigio, nella flessibilità malata dedita più a ridurre i costi che a qualificarsi e così indeboliscono tutto il sistema”.

Cosa si intende per part-time time involontario: un fenomeno in crescita

La definizione è semplice, perché su carta si tratta di lavoratori e lavoratrici che cercano impiego a tempo pieno. Finiscono però per accettare e subire, per assenza di altre possibilità, il part-time “allungato” e arrivare a coprire più ore di lavoro (un full time o anche peggio).

In teoria il part-time dovrebbe essere una scelta di riduzione dei tempi di lavoro per riequilibrare vita e lavoro. In Italia invece il fenomeno accompagna marginalizzazione, soprattutto nel caso di giovani e donne.

In sintesi, l’orario di lavoro ridotto può essere definito “involontario”:

  • quando un lavoratore o una lavoratrice è assunto/a con orario ridotto ma a cui viene data una paga maggiore tramite ore di lavoro straordinarie o clausole elastiche;
  • quando un lavoratore o una lavoratrice è assunto/a part-time ma lavora più ore di quanto concordato (persone il cui lavoro a volte si può definire “grigio”: le ore lavorate in più vengono pagate fuori dalla busta paga o in alcuni casi non vengono retribuite);
  • quando un lavoratore o una lavoratrice è assunto/a part-time, con un contratto che prevede un monte ore di lavoro da 12 o 20 ore. In questo caso la persona assunta vorrebbe lavorare di più ma non c’è domanda di lavoro sufficiente.

Un confronto con l’Europa: 1 su 2 in Italia è part-time involontario

Il part-time involontario coinvolte oltre 2 milioni di lavoratori e lavoratrici ed è un fenomeno in crescita rispetto ad altri Paesi europei. Tra il 2004 e il 2018 la quota è passata dal 36,2% al 64,4% (fonte Eurostat). Torna utile il confronto con l’Europa per capire in che modo affrontare le conseguenze dei part-time involontari sul futuro dei lavoratori e delle lavoratrici.

Le più vulnerabili sul mercato del lavoro risultano essere le donne. In due Rapporti del Cnel del 2018 e 2019 si evidenzia come il tasso di occupazione femminile (20-64) è del 55% rispetto al 74,7% degli uomini. I dati sull’occupazione a cui si fa riferimento comprendono anche i part-time involontari, che rappresentano il 30% dei posti di lavoro occupati nel 2018.

Nel 2022 la quota di part-time involontario in Ue corrisponde al 19,7%, mentre in Italia rappresenta 1 lavoratore/lavoratrice part-time su 2 (il 56,2%). Il rapporto di Forum Disuguaglianze e Diversità spiega che il ricorso al part-time in Italia è legato a una strategia delle imprese, invece che alle esigenze degli individui.

Caratteristiche del part-time involontario: chi occupa e in quali settori

Il part-time in Italia presenta quindi caratteristiche particolari, che si discostano per numeri dalla media europea. Il report ha individuato diversi fattori che hanno inciso sulla crescita del  part-time volontario e involontario. Tra questi l’aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro e la ricomposizione dell’occupazione per settori di attività economica, che si traduce in maggiore richiesta nei servizi e minori posti nell’industria e nelle costruzioni. I settori dove i livelli di part-time involontario raggiungono quote più alte sono quelli per i servizi alle famiglie, il settore alberghiero e quello della ristorazione.

In Italia il lavoro a tempo parziale occupa 4,2 milioni di persone, il 18,2% del totale e ha una connotazione fortemente femminile. Gli uomini rappresentano una quota ridotta del fenomeno, ovvero l’8,3% rispetto al 31,8%. Un andamento che si verifica anche per il part-time involontario, per il quale il totale delle persone occupate passano dal 5,6% degli uomini e il 16,5% per le donne.

In sintesi, come riporta il documento di Futura: il part-time involontario è più diffuso tra le donne, più frequente nel Mezzogiorno, tra le persone straniere e tra chi possiede un basso titolo di studio. Le conseguenze sono significative, soprattutto perché a risentirne sono le persone già minate da vulnerabilità e scarsa qualità del lavoro.

Fig.2 dati Istat
Fonte: Rapporto part time involontario
Dati Istat (2022)
Fig.3 dati Istat 2022
Fonte: Rapporto part time involontario
Dati Istat (2022)

Dalle interviste condotte e presentate dal rapporto “Da conciliazione a costrizione” emerge un dato:  critico è il momento della maternità e il periodo di cura del figlio, che allontana le donne dal posto di lavoro. Un allontanamento che può avvenire in due modi:

  • parti time negato
  • licenziamento

Quali sono le possibili soluzioni: le proposte contro la marginalizzazione

Le conclusioni del rapporto sono chiare, ma non per questo semplici da attuare. È evidente infatti che serve un adeguato disegno di politiche pubbliche per contribuire a far uscire dalla condizione di part-time involontario. In particolar modo per le donne e i giovani, le categorie più vulnerabili, che hanno necessità di lavorare in condizioni di reale legalità. In questo senso c’è ancora molta strada da fare, soprattutto se si guarda a quei settori caratterizzati da appalti, pressioni di riduzione dei costi, alta flessibilità oraria, imprevedibilità di flussi di clientela e tanti altri.

Come fa notare il report, con il nuovo codice degli appalti è probabile che ci siano contratti a poche ore di lavoro, difficilmente qualificabili e senza prospettive a cui manca inoltre, una definizione di orario minimo per considerarsi part-time e, di conseguenza, manca anche il riproporzionamento dei diritti contrattuali all’orario ridotto.

Dal report si apprende come la crescita del part-time in Italia si può correlare agli interventi normativi che si sono attuati. Questi non hanno favorito la reale conciliazione e anzi hanno contribuito a ostacolare la possibilità di avere un lavoro capace di garantire stabilità per il futuro. Si legge:

L’eccessiva flessibilizzazione del lavoro a interesse esclusivo delle imprese, ha impedito ai lavoratori e alle lavoratrici di sommare più attività, che in aggiunta alla scarsa retribuzione che caratterizza, il part-time involontario ha generato un’aspettativa da parte delle imprese di maggior disponibilità da parte del lavoratore. Questo ha contribuito a danneggiare il dibattito in Italia sulla redistribuzione del lavoro attraverso la riduzione dell’orario, cruciale invece per accompagnare la transizione digitale e migliorare soprattutto il benessere lavorativo.

Cosa fare? Dai dati analizzati nel documento emerge quindi con chiarezza come in Italia la diffusione del part-time sembra più dovuta alle esigenze delle imprese di ridurre il costo del lavoro che a quelle dei lavoratori e delle lavoratrici.

Le proposte per sconfiggere il part-time involontario: una battaglia per la qualità della vita e del lavoro

È quindi necessario, si legge nel report, agire su tre aree di intervento: contrattazione, disincentivi alle forme involontarie di part-time e aumento dei controlli. Abbattere il part-time involontario vuol dire migliorare la vita di un lavoratore o una lavoratrice, ma anche di migliorare le performance delle imprese. A partire dalla contrattazione infatti si dovrebbe agire sul definire un orario entro il quale il contratto resta part-time e non si trasformi (attraverso ore di straordinario) in full time. Una delle proposte del report per impedire l’utilizzo incontrollato del “part-time involontario” è di aumentare il costo del lavoro per l’impresa che fa superare sistematicamente l’orario da contratto part-time ai propri dipendenti. Utile sarebbe anche definire una percentuale massima di lavoro part-time per le imprese a seconda del numero delle persone che occupa.

Altri disincentivi per le forme involontarie di part-time potrebbero essere facilitazioni a forme di denuncia da parte del dipendente o forme di controllo automatiche o a campione. Si rendono però necessari più controlli, perché il part-time involontario spesso sfocia in lavoro sommerso (in nero) e quindi evasione contributiva oltre che fiscale. Alcuni settori, più di altri, sono noti per queste pratiche, ma il numero dei controlli non è adeguato a impedire questa forma di sfruttamento.

Serve l’intervento dello Stato, dei sindacati e delle imprese che, a differenza delle altre, lavorano in linea con i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. È del tutto impensabile che un contratto nato per agevolare i dipendenti sia finito per diventare una forma di sfruttamento che alimenta il lavoro povero e che grave sulle minoranze. “Non è stata una mia scelta” è la frase più riportata nelle interviste alle donne costrette in un part-time involontario. Per raggiungere non solo la parità di genere, ma anche un nuovo livello di qualità del lavoro (come i tempi richiedono), è necessario agire sul sommerso dei finti part-time, dei falsi apprendistati e dei lavori “a chiamata”.