Il licenziamento disciplinare è frequentemente al centro di cause che coinvolgono dipendenti e aziende presso il giudice del lavoro. Da un lato il lavoratore non accetta la fine anticipata del rapporto (e la contestuale perdita del reddito), dall’altro il datore indica una o più ragioni che impediscono di conservare quella fiducia che regge il rapporto, fin dalla firma del contratto. Una sentenza della corte d’appello di Bologna di quest’anno, la n. 500, ci offre un’interessante panoramica sui meccanismi di licenziamento legati a condotta del dipendente, impugnazione stragiudiziale e interesse ad agire in tribunale.
La vicenda è interessante e in qualche modo curiosa. Riguarda infatti un dipendente che, a suo tempo, aveva contestato due distinti licenziamenti inflitti dalla propria azienda, dovuti a motivi diversi e notificati entrambi lo stesso giorno e in pochi minuti. Vediamo insieme, più da vicino, il caso in oggetto e cerchiamo di capire qual è l’insegnamento che la giurisprudenza dà in materia di recesso per ragioni disciplinari.
Indice
Le violazioni segnalate, la disputa giudiziaria e la decisione del giudice di primo grado
La vicenda ruotava attorno all‘espulsione dagli uffici aziendali di un uomo, assunto anni prima da una società di logistica per svolgere le funzioni di responsabile di magazzino e, in seguito, di direttore di filiale. Nel giugno del 2023, la società datrice gli contestava due distinte violazioni disciplinari, ossia:
- le assenze ingiustificate dal lavoro per 5 giorni;
- alcune spese, valutate come anomale, fatte tramite l’uso della carta carburante aziendale.
Poche settimane dopo l’avvio del procedimento disciplinare, il datore notificava al dipendente due diversi licenziamenti, tramite posta e con Pec al suo difensore. Successivamente, con atto scritto, il dipendente sceglieva di impugnare ambo i provvedimenti espulsivi in via stragiudiziale, ossia rispettando il termine di legge pari a 60 giorni.
In primo grado, il tribunale forlivese rigettava le domande dell’uomo, per mancanza di interesse ad agire.
In precedenza il lavoratore aveva impugnato soltanto uno dei due licenziamenti, quello relativo alle assenze, mentre il secondo licenziamento, relativo all’uso improprio della carta carburante, non era stato impugnato presso il giudice del lavoro. Aveva quindi prodotto quelli che in gergo si chiamano effetti risolutivi sul rapporto.
In breve: anche se il primo licenziamento fosse stato ritenuto illegittimo dal magistrato, il secondo rimaneva comunque in piedi, valido e definitivo. Quanto alle spese processuali, il tribunale di primo grado le compensava, considerando la particolarità della vicenda.
La distinzione tra impugnazione stragiudiziale e ricorso in tribunale
Per chiarire appieno una vicenda giudiziaria la cui sentenza, dicevamo, ha una portata generale, è bene ricordare un principio. Oltre al citato termine di 60 giorni, la legge dispone anche che l’impugnazione del licenziamento diviene inefficace se non è seguita dal deposito (entro 180 giorni dall’impugnazione stragiudiziale) del ricorso giudiziale in tribunale.
Fissata dalla legge, questa distinzione è fondamentale. Infatti, aiuta ogni dipendente che vuole contestare il licenziamento disciplinare a stabilire quanto tempo ha esattamente per attivarsi contro una decisione che reputa ingiusta.
Non basta la mera impugnazione stragiudiziale, ossia quell’atto scritto con cui si evidenzia la contrarietà all’espulsione – ad es. una lettera inviata all’azienda, sottoscritta dal lavoratore, da un’associazione sindacale o da un legale.
Come appena accennato, occorre anche il ricorso al giudice del lavoro, quell’atto formale con cui viene introdotta una causa sulla validità del recesso unilaterale dell’azienda.
Tornando al caso in oggetto, il dipendente non impugnò il secondo licenziamento perché ritenuto giuridicamente inesistente e non fondato su fatti emersi successivamente.
Lo contestò perché scaturito da eventi già conosciuti al datore, al momento del primo recesso. Proprio da questo aspetto dipenderebbe la mancanza dei presupposti per un nuovo e legittimo provvedimento disciplinare.
La contestazione della pronuncia di primo grado e la sentenza d’appello
Il dipendente proseguiva la disputa giudiziaria, facendo appello e indicando, in particolare, tre distinti motivi di impugnazione della sentenza di primo grado, ossia:
- l’illegittimità del licenziamento per assenze, perché tutte le assenze contestate erano in realtà giustificate (giorni festivi, riposi, Rol);
- l’erronea valutazione dell’interesse ad agire — l’uomo sosteneva, infatti, che le due espulsioni fossero state notificate in momenti distinti (orari diversi) e, perciò, il secondo licenziamento non poteva considerarsi valido;
- richiesta di tutela reale, con reintegra nel posto di lavoro e pagamento di un’indennità risarcitoria fino a 12 mensilità, oppure, in via subordinata, l’indennità sostitutiva prevista dalla legge.
Decidendo sul merito della questione, la corte d’appello di Bologna non cambiava le conclusioni del primo grado. Infatti, la magistratura indicava che:
- i due licenziamenti, pur distinti, vanno considerati contestuali, perché rileva il momento — e anzi il giorno — in cui la duplice comunicazione è effettivamente giunta a conoscenza del lavoratore, e non l’orario di consegna dei plichi al servizio postale;
- il lavoratore non aveva impugnato giudizialmente il licenziamento relativo all’uso della carta carburante, pertanto questo secondo licenziamento era diventato definitivo ed efficace per decorso dei termini di impugnazione stragiudiziale di cui alla legge.
In breve, per la magistratura mancava un pieno interesse ad agire e tanto bastava a rendere valido e definitivo il recesso, al di là dell’esito del giudizio sul licenziamento effettivamente impugnato in tribunale.
Oltre alla conferma dell’espulsione per ragioni disciplinari, l’uomo è stato altresì condannato al pagamento delle spese processuali del grado di appello.
Che cosa cambia per i lavoratori licenziati due volte
La sentenza 500/2025 del giudice d’appello di Bologna ricorda ad aziende e dipendenti alcuni punti fondamentali nel diritto del lavoro.
In generale, i licenziamenti multipli — se basati su fatti diversi o sopravvenuti — possono essere considerati validi. Il momento rilevante per la notificazione non è il momento di spedizione, ma quello in cui la comunicazione giunge effettivamente a conoscenza del lavoratore.
Come appena visto, l’interesse ad agire è essenziale per tutelarsi contro l’espulsione che si ritiene ingiustificata. Se un licenziamento successivo non viene impugnato, può rendere inefficace qualsiasi contestazione di un licenziamento precedente, anche se ritenuto infondato.
In sostanza, è come se i due atti siano considerati uno solo ai fini dell’impugnazione.
Concludendo, è chiaro che questa sentenza ha una portata generale ed è un utile riferimento per tutti, ribadendo che la strategia di impugnazione dei licenziamenti deve considerare tutti gli atti disciplinari contestuali e i termini previsti dalla legge.
Negligenza, inerzia e omissioni non sono perdonate o giustificate e, anzi, possono condurre a perdere il contratto e la causa di lavoro.