Italia, vecchia d’Europa: servono 68mila colf e badanti (e formazione ad hoc)

Essendo il Paese più vecchio d'Europa, l'Italia ha e avrà sempre più bisogno di figure specializzate che assistano anziani e disabili

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

L’Italia è sempre più vecchia. Lo sottolinea il Focus sulle città metropolitane diffuso dall’Istat, secondo il quale nel 2021 si registrano nelle città metropolitane 177,5 anziani ogni 100 bambini. Una dinamica in crescita (nel 2011 il dato era pari a 142,4) ma inferiore alla media nazionale, che è pari a 187,6 pensionati ogni 100 bambini. Le persone anziane, con 65 anni e oltre, tra il 1861 e il 2022 sono passate dal 4,2% fino al 23,8% della popolazione totale.

Dopo la debole crescita demografica registrata attorno alla metà degli anni 2000, con la grande recessione iniziata nel 2008 il numero di nuovi nati è calato progressivamente. Da allora, la curva discendente non si è più arrestata, portando gli osservatori a parlare di un vero e proprio “inverno demografico”. Una situazione in cui il tasso di natalità crolla, l’età media della popolazione aumenta e il numero dei decessi supera ampiamente quello dei nati.

Italia, il Paese più vecchio d’Europa

Secondo i dati pubblicati da Eurostat relativi al 2022, l’Italia è il Paese più anziano d’Europa con un’età media pari a 48 anni, rispetto al target europeo che si attesta attorno ai 44,4 anni. Un primato che il Paese ha anche nella lista degli Stati con il più elevato indice di dipendenza degli anziani, cioè il rapporto tra il numero di anziani di età pari o superiore a 65 anni e il numero di persone in età lavorativa, cioè tra i 15 e i 64 anni, che in Italia è pari al 37,5%, quasi 5 punti sopra la media Ue.

Secondo l’Eurostat, in tutta l’Ue, l’età media è aumentata di 2,5 anni rispetto ai 41,9 anni del 2012, con una media che oscilla tra i 38,3 anni di Cipro e i 48 dell’Italia. Il Paese che è invecchiato di più negli ultimi 10 anni invece è stato il Portogallo, ma quasi tutti gli Stati membri hanno registrato un innalzamento dell’età media della popolazione nell’ultimo decennio. Le uniche eccezioni sono la Svezia, dove la popolazione è diventata più giovane, e Malta, dove non ci sono state significative variazioni, con l’età media rimasta attorno ai 40,4 anni.

Per il futuro in Italia le previsioni non sono rosee. Come riporta l’Osservatorio #Conibambini, realizzato da Con i Bambini e Openpolis nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, l’Istat prevede un crollo della popolazione residente: dai 59,2 milioni di abitanti nel 2021 si passerà ai 57,9 nel 2030, per poi scendere a 54,2 nel 2050 e a 47,7 milioni nel 2070. Questo si tradurrebbe in circa l’80% dei comuni (4 su 5) per cui è previsto un calo di popolazione entro 10 anni. Scenario molto più evidente nelle zone rurali, dove quasi 9 comuni su 10 vedranno una contrazione. Per i comuni nelle aree interne, distanti dai servizi essenziali, la percentuale sale addirittura al 94%, come nel Dopoguerra.

Le città e le regioni più anziane d’Italia

Guardando nello specifico al Belpaese, nel rapporto Istat “Indicatori demografici – anno 2022”, si rileva come ci sono più anziani nei comuni capoluogo (192) e nei comuni dell’ultima cintura, e un’incidenza minore nelle prime due cinture. In questo contesto il primato delle città metropolitane più anziane va ai territori del Nord, in particolare a Genova, che con 269 anziani ogni 100 giovani detiene il titolo di “città più vecchia”, ma anche Torino e Firenze non fanno meglio.

A livello regionale, è la Liguria ad aggiudicarsi il primato, con una quota di over 65enni pari al 28,9% e una di ultra 80enni del 10,4%. Seguono nella classifica il Friuli-Venezia Giulia (26,9% e 9,1%) e l’Umbria (26,8% e 9,2%).

A Napoli invece si rileva il dato più basso, pari a 13 anzini ogni 100 giovani. La regione con le percentuali più basse di ultra 65enni e ultra 80enni infatti la Campania (20,6% e 5,6%), seguita dal Trentino-Alto Adige (21,8% e 7%) e dalla Sicilia (22,9 e 6,7%). Invecchiamento sotto la media anche per Roma, Reggio Calabria, Palermo e Catania, mentre si collocano sopra la media altre grandi città del Sud: la messa peggio è Cagliari, con un indice di vecchiaia pari a 215, seguono Messina e Bari.

Allarme assistenza anziani

Oltre alla crescita dell’età media, nel 2022 si è registrato anche un aumento del numero di anziani rispetto alle persone considerate in età lavorativa, un indice che viene definito dagli esperti preoccupante per l’economia, perché comporta più costi per le pensioni, a fronte di meno forza lavoro a disposizione delle imprese e meno contributi lavorativi per gli Stati. Se nel 2012 il rapporto anziani/persona in età lavorativa era pari al 27,1%, oggi siamo al 33%.

Negli ultimi 5 anni la popolazione in età da lavoro è diminuita di 756mila persone, nel solo 2022 di 133mila. Una fotografia non certo rasserenante, perché così l’Italia è destinata a spendere sempre di più per l’assistenza. Solo nel 2023, il costo per una famiglia media è arrivato ad aumentare più di 2mila euro.

Secondo il report “Le famiglie, il lavoro domestico, i caregiver, le Rsa”, il quarto elaborato nell’ambito del progetto “Welfare familiare e valore sociale del lavoro domestico in Italia” realizzato dal Censis per Assindatcolf, il dato italiano è anche che alle Rsa le famiglie preferiscono le badanti per assistere un proprio familiare anziano o non autosufficiente: il 58,5% delle famiglie lo dice. Solo il 41,5% prende in considerazione la scelta di una Rsa: di queste, il 21,3% si rivolgerebbe a una struttura convenzionata, il 14,2% a una privata, il restante 6,0% a una pubblica. Le donne mostrano l’orientamento più marcato ad evitare una Rsa (il 60,1% rispetto al 56,1% degli uomini).

Anche gli stessi anziani sono scettici sul ricorso a una Rsa: dal 50,8% di chi ha un’età inferiore ai 55 anni si passa al 52,9% di chi ha un’età compresa tra 55 e 64 anni, per salire al 69,5% degli over 64. Dal sondaggio chiaro un sistema di welfare ancora zoppicante, al quale non corrisponde un’iniziativa riformatrice tempestiva. Il disegno di legge “Disposizioni per il riconoscimento e il sostegno del caregiver familiare”, datato agosto 2019, giace ancora in Senato.

Oggi, per coprire il fabbisogno familiare di cura e assistenza domestica in Italia servirebbero ogni anno fino a 23mila lavoratori stranieri (non comunitari, si legge nel report) da assumere nei ruoli di colf e badanti, che diventano circa 68mila nel triennio 2023-2025.

Questo il dato che emerge da una ricerca commissionata da Assindatcolf, Associazione Nazionale dei Datori di Lavoro Domestico e realizzata dal Centro Studi e Ricerche Idos, dal titolo “Il fabbisogno aggiuntivo di manodopera straniera nel comparto domestico. Stima e prospettive”, contenuta nel Rapporto 2023 “Family (Net) Work – Laboratorio su casa, famiglia e lavoro domestico” promosso da Assindatcolf in collaborazione con il Censis, Effe (European Federation for Family Employment & Home Care), la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro ed il Centro Studi e Ricerche Idos.

Lo studio stima, nell’ipotesi mediana, che siano state 1.328.000 le persone che nel 2022 hanno avuto necessità di personale straniero per l’assistenza familiare: circa 651mila badan­ti e oltre 677mila colf e baby-sitter. Tenendo conto delle previsioni di incremento della popolazione anziana, si calcola che questa platea crescerà fino a 1.402.000 persone nel 2025, di cui 687mila necessi­teranno di badanti e 715mila di colf e altro.

Su questa base, il fabbisogno di ma­nodopera straniera aggiuntiva oscillerebbe, per l’intero triennio 2023-2025, tra i 74mila (ipotesi me­diana) e gli 89mila lavoratori (ipotesi massima, che tiene conto, tra l’altro, anche della fuoriuscita dal mercato dei lavoratori domestici stranieri che nel frattempo raggiungeranno l’età pensionabile), per una media di 25/30mila nuovi inserimenti annui. Sottraendo la quota che verrebbe coperta da lavo­ratori stranieri comunitari, il fabbisogno di manodopera aggiuntiva non comu­nitaria si attesta tra circa 57mila e 68mila per l’intero triennio, per una media annua di 19-23mila nuovi inserimenti dall’estero.

Chi sono, e dove, i badanti oggi in Italia

La composizione dei lavoratori per nazionalità oggi in Italia evidenzia ancora, non a caso, una forte prevalenza di lavoratori stranieri (69,5% del totale), ma con una diminuzione dell’8,4% rispetto all’anno precedente, contro il -6,6% dei lavoratori italiani.

La maggior parte dei lavoratori domestici (316.817 lavoratori, pari al 35,4% del totale) proviene dall’Europa dell’Est, a cui seguono i lavoratori di cittadinanza italiana (30,5%), provenienti dal Sud America (7,8%) e dall’Asia Orientale (6,8%).

L’area geografica con il maggior numero di lavoratori (30,8%) rimane il Nord-Ovest, seguita dal Centro con il 27,2%, dal Nord-Est con il 20,3%, dal Sud con il 12,4% e dalle Isole con il 9,3%. La regione con il maggior numero di lavoratori domestici è la Lombardia con 174.613 lavoratori (19,5%), seguita dal Lazio (13,8%), dall’Emilia Romagna (8,8%) e dalla Toscana (8,7%). In queste quattro regioni si concentra poco più della metà dei lavoratori domestici in Italia.

Il problema del decreto flussi, e del lavoro nero

Intanto, le associazioni di categoria chiedono al governo di prendere in considerazione questi numeri nell’annunciata nuova programmazione triennale dei flussi migranti, da cui il comparto domestico è rimasto escluso negli ultimi 12 anni. “L’invecchiamento della popolazione dovrebbe, infatti, essere preso in considerazione nel sistema di programmazione dei flussi migratori in ingresso nel nostro Paese, al pari delle dinamiche economiche”.

“Visto il limitato numero annuale di nuovi ingressi per lavoro non stagionale che hanno avuto luogo in Italia da parte di cittadini non comunitari da ben 12 anni a questa parte, è ragionevole supporre – afferma Luca Di Sciullo, presidente di Idos – che quelli riguardanti il comparto domestico siano stati ogni anno tra qualche centinaia e poco più di un migliaio. E’ facile vedere come, in questo comparto così a lungo trascurato, i nuovi avviamenti dall’estero siano stati tra le 20 e le 30 volte più bassi del reale fabbisogno. È il paradosso di politiche del tutto assenti sul piano della programmazione a monte e attive solo su quello della regolarizzazione a valle, così che nel mezzo si è di fatto lasciato ampio spazio al lavoro nero”.

Il report 2023 dell’Osservatorio INPS sul lavoro domestico relativo al 2022 evidenzia come i lavoratori domestici regolari siano il 7,9% in meno rispetto al 2021, pari a 894.299. Un numero che dimostra come, per evitare il sommerso, sia necessario favorire la regolarizzazione attraverso una legislazione per l’emersione del lavoro nero, con agevolazioni fiscali e contributive, come ha spiegato Vincenzo Caridi, direttore generale dell’Inps. “Ma c’è anche la necessità di una formazione specialistica dei lavoratori, quindi bisogna puntare su corsi di formazione legati alle tipologie di invecchiamento della popolazione mondiale, in particolare quella italiana”.

L’healthcare è uno dei pochi settori a livello internazionale che nel 2022 non ha registrato perdite in termini di lavoro e investimenti, anzi. Sintomo del fatto che servono sempre più figure specializzate, perché non bastano empatia e tanta voglia di fare. Non a caso anche da noi, finalmente, sono sempre più richiesti corsi di specializzazione che formano proprio le persone per diventare esperte nel caregiving, sia che si tratti di un familiare a carico sia che diventi un lavoro.

Serve formazione professionale specialistica

Una delle esperienze più interessanti in questo senso arriva da CEF Publishing, società leader della formazione professionale a distanza, pronta ad aprire le prime sedi nei principali capoluoghi italiani, da Nord a Sud, per affiancare ai suoi corsi in modalità e-learning nuove proposte formative che si svolgeranno in parte anche in presenza.

In questo contesto, CEF Publishing con il suo brand CORSICEF ha deciso anche di ampliare la sua offerta formativa arricchendo le sue proposte in ambito assistenziale. “Il corso per Assistente alla Persona apre molte opportunità di lavoro in ambiti privati, come Assistente anziani, Assistente domiciliare, Assistente disabili, nelle comunità alloggio, nei centri ricreativi per anziani e disabili e nei luoghi di vacanza” spiega la Direttrice Marketing Rosaria Lubrano a QuiFinanza.

Non solo. Ora CORSICEF ha stretto un importante accordo con UMANA, tra le più importanti agenzie per il lavoro italiane. La partnership prevede che tutti i corsisti del corso “Assistente alla Persona” con regolare corso di studio entrino a far parte di uno speciale database da cui UMANA potrà selezionare e contattare i profili professionali in linea con le diverse richieste di assistenza domiciliare, per favorire l’attivazione di un rapporto di lavoro.

“Lo stesso corso ha già all’attivo anche un altro accordo con Professione in Famiglia, associazione che mette in relazione domanda e offerta nel settore assistenziale: i corsisti con l’attestato CORSICEF sono automaticamente iscritti nel database nazionale delle professioni di ‘Operatore d’aiuto'”.