Equal pay day è ancora lontano, dal 17 novembre le donne lavorano gratis

Il 17 novembre si celebra l’Equal Pay Day per ricordare come la parità resta ancora un obiettivo lontano e il divario salariale pesa sulle donne

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Giorgia Bonamoneta

Giornalista

Nata ad Anzio, dopo la laurea in Editoria e Scrittura e un periodo in Belgio, ha iniziato a scrivere di attualità, geopolitica, lavoro e giovani.

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Il 17 novembre si celebra la Giornata europea per la parità retributiva. Non è una “festa”, sia per definizione (perché si tratta di una giornata per sensibilizzare) sia per i risultati. Anche se il divario retributivo è diminuito del 4% nell’ultimo decennio, i progressi continuano a essere troppo lenti. È stato calcolato che, in media, una donna guadagna 0,88 euro per ogni euro guadagnato da un uomo.

Così, dal 17 novembre, le donne iniziano simbolicamente a lavorare gratis fino alla fine dell’anno. A questo si aggiungono dati come il fatto che le donne lavorano più ore a settimana rispetto agli uomini e dedicano più ore al lavoro non retribuito, come la cura di familiari e della casa. Fattori che hanno ripercussioni sulle loro carriere.

Equal pay day: un mese e mezzo di lavoro gratis

Il 17 novembre 2025 l’Europa ha istituito una giornata nazionale che celebra la parità retributiva. Non si tratta mai della stessa data, perché dipende dagli ultimi dati relativi al divario retributivo di genere. La stessa giornata comunque è riconosciuta per fare sensibilizzazione in 12 Paesi dell’Unione Europea tra cui Germania, Francia, Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, ma non l’Italia.

Per quanto nell’ultimo decennio la situazione sia in miglioramento, si parla di circa +4% verso l’obiettivo della parità retributiva, questa rimane ancora fortemente disallineata. Nel 2023 la retribuzione oraria lorda media dei dipendenti maschi era superiore del 12% rispetto a quella delle dipendenti donne (nel 2022 era pari al 13%). Un dato che, purtroppo, non è migliorato negli ultimi due anni e resta ancora fermo a una cifra che si può tradurre così:

Una donna guadagna 0,88 euro per ogni 1 euro guadagnato da un uomo.

Allo stesso tempo il dato è fortemente influenzato dal settore in cui le donne sono maggiormente impiegate. Infatti, il 24% del divario retributivo è dovuto alla sovrarappresentazione delle donne in settori poco retribuiti come l’assistenza, la sanità e l’istruzione.

Questo ci racconta un altro aspetto del divario di genere nel mondo del lavoro: gli ostacoli nell’arrivare in posizioni apicali. Secondo gli ultimi dati europei, meno di 1 CEO su 10 è donna.

Cosa si sta facendo per colmare il vuoto

Il problema del divario di genere nella retribuzione non ricade soltanto sulla singola donna o sulla famiglia, ma ha un impatto anche sul Pil del Paese. L’Europa si è impegnata così a cercare di ridurre il divario retributivo e nel 2023 ha presentato una direttiva sulla trasparenza retributiva. Si tratta dell’ultimo passo della Strategia per la parità di genere 2020-2025.

La direttiva si basa su quello che su carta può apparire banale, ma nella pratica non lo è:

A parità di lavoro deve corrispondere parità di retribuzione.

In base a questo, entro giugno 2026 le aziende dovranno condividere le informazioni sugli stipendi. Se questi risulteranno con un divario tra uomini e donne superiore al 5% a parità di mansione, dovranno apportare modifiche per portarli alla stessa cifra.

La situazione in Italia: cosa stiamo facendo

In ultimo abbiamo lasciato l’analisi sull’Italia, perché se in media le donne europee guadagnano il 12% in meno degli uomini, in Italia la forbice si allarga al 16% a parità di titolo di studio. Nell’ultima rilevazione Istat (dati aggiornati al 2025) la retribuzione oraria femminile è inferiore del 5,6% rispetto a quella maschile:

  • gli uomini percepiscono in media 16,8 euro l’ora, i laureati guadagnano 24,3 euro lordi l’ora;
  • le donne percepiscono in media 15,9 euro l’ora, le laureate guadagnano 20,3 euro lordi l’ora.

A leggere il dato sul divario salariale tra persone che hanno una laurea diventa difficile affermare che studiare, e ottenere persino risultati migliori rispetto ai colleghi uomini, sia utile all’obiettivo.

In particolare è il settore privato a pesare sul divario salariale con il 15,9%, mentre nel settore pubblico il divario scende al 5,2%. Sono proprio le donne a lavorare maggiormente nel pubblico impiego (55,6%), rispetto al privato, dove sono spesso costrette in part-time involontari o a minori possibilità di carriera.

Quali sono le conseguenze per le donne

A fare qualche conto, in Italia si scopre che il divario retributivo medio nel settore privato è pari al 7,2% della retribuzione oraria lorda e all’8,6% sulla retribuzione globale annua. In questo modo le donne guadagnano in media 2300 euro in meno di Ral e 2900 euro in meno di Rga.

Il gender pay gap pesa però non soltanto sul portafoglio e, in futuro, sulla pensione: ha infatti anche un impatto emotivo. Dall’indagine condotta dall’Osservatorio JobPricing e Idem, infatti, le donne dichiarano di essere poco soddisfatte del proprio pacchetto retributivo e della situazione lavorativa.

Dopotutto, come ricorda Nicole Boccardini, operations manager di Idem–Mind the Gap:

Il divario salariale è la punta dell’iceberg di disuguaglianze più profonde, culturali e strutturali che accompagnano le donne fin dal percorso formativo, condizionando accesso, crescita e riconoscimento nel mondo del lavoro.

La giornata del 17 novembre ci ricorda che le donne, tanto in Europa quanto in Italia, continuano a guadagnare meno rispetto agli uomini. Se pensassimo soltanto al risultato per il Paese, tralasciando l’aspetto culturale, si sta perdendo una perdita di ricchezza enorme e che la Banca d’Italia calcolò solo pochi anni fa pari al 7% del Pil (il 3% in Ue).