Il gender pay gap non riguarda solo i lavoratori dipendenti, ma anche chi sceglie la libera professione. E se negli ultimi cinque anni si è ridotto (nel 2020 era di oltre il 10% più alto per le partite Iva), i dati mostrano che la strada verso la parità è ancora lunga.
Secondo un’indagine condotta dalla tech company Fiscozen su oltre 30.000 partite Iva attive nel 2024, gli uomini con partita Iva guadagnano in media il 18,3% in più delle donne, con un divario di 3.343 euro all’anno. Questo gap si manifesta fin dai primi anni di attività e aumenta con l’età: tra i 18 e i 24 anni è del 7,4%, sale al 20,6% nella fascia 25-35 anni, periodo in cui molte donne diventano madri, per poi raggiungere il 28,5% tra i 55 e i 65 anni.
Guida la classifica della disparità retributiva il settore manifatturiero, ci si avvicina invece alla parità nel mondo dell’istruzione, mentre i servizi di alloggio e ristorazione vedono le donne guadagnare il 26,2% in più dei colleghi. E, naturalmente, il gender pay gap nel mondo del lavoro si riflette anche sulle pensioni.
Indice
I settori con le maggiori disparità
L’analisi evidenzia come il gender pay gap sia particolarmente marcato in alcuni settori:
- nel settore manifatturiero gli uomini guadagnano in media il 91,4% in più rispetto alle donne (27.939 euro contro 14.643 euro)
- seguono l’ambito dell’informazione e comunicazione con un gap del 27,3% (31.937 euro contro 25.080 euro)
- infine la categoria “altri servizi”, che include professioni diverse come stylist, caregiver, pedagogisti, personal trainer, OSS, cuochi a domicilio, sommelier e persino gamer di e-sport, con una differenza del 26,5%.
Anche nei settori con maggiore concentrazione di partite Iva, il divario rimane significativo:
- nelle attività professionali, scientifiche e tecniche, il gap di fatturato medio è dell’11,7% ((21.045 euro degli uomini contro i 18.830 delle donne)
- nella sanità e assistenza sociale gli uomini guadagnano il 17,6% in più (25.496 contro 21.665 euro)
- nel settore artistico, sportivo e dell’intrattenimento, la differenza è del 15,8%, con gli uomini che fatturano 15.673 euro a fronte dei 13.531 delle donne.
La parità è avvicinata solamente nel mondo dell’istruzione, dove il divario è del 4,5%.
Dove le donne guadagnano di più
Nonostante il quadro generale svantaggi le lavoratrici autonome, ci sono alcuni settori in cui le donne con partita Iva riescono a guadagnare più degli uomini. È il caso:
- dei servizi di alloggio e ristorazione, dove le donne registrano un fatturato medio annuo di 37.589 euro, il 26,2% in più rispetto ai colleghi uomini;
- del settore del noleggio e dei viaggi, con +1.480 euro annui e un fatturato di 15.926 euro (+9,2%);
- delle attività immobiliari, con +1.679 euro e un fatturato di 23.418 euro (+7,1%).
Più in generale, i settori in cui si registrano i fatturati medi più alti per le donne, dopo i servizi di alloggio e ristorazione e quelli legati a informazione e comunicazione, sono l’immobiliare (23.418), sanità e assistenza sociale (21.665) e commercio (20.306).
Il confronto con i lavoratori dipendenti
Il gender pay gap nel lavoro autonomo appare ancora più marcato se confrontato con quello dei lavoratori dipendenti. Secondo i dati Istat del 2022, la disparità di retribuzione tra uomini e donne con contratto di lavoro dipendente era del 5,6%, con un gap più accentuato nel settore privato (15,9%) rispetto a quello pubblico (5,2%). Per i lavoratori autonomi, invece, il divario risulta significativamente maggiore: il fatturato medio annuo degli uomini con partita Iva è di 21.622 euro, mentre quello delle donne si ferma a 18.279 euro, con una differenza del 15,5%.
Le conseguenze sulle pensioni
Le differenze salariali si riflettono inevitabilmente anche sulle pensioni. Secondo il Rendiconto di Genere 2024 dell’Inps, le donne pensionate sono più numerose degli uomini (7,9 milioni contro 7,3), ma ricevono assegni mediamente più bassi. Nel settore privato, le pensioni di anzianità delle donne sono inferiori del 25,5%, quelle di invalidità del 32% e le pensioni di vecchiaia addirittura del 44,1%. Per le ex lavoratrici autonome, la situazione è ancora più critica: il gap nelle pensioni di anzianità raggiunge il 43,9%.
“Questo divario pensionistico riflette le minori opportunità di guadagno che le donne incontrano nel corso della loro carriera. Per molte giovani, aprire la partita Iva significa investire sul proprio talento e sulla propria indipendenza, nonostante retribuzioni inferiori e minori tutele rispetto al lavoro dipendente- commenta Enrico Mattiazzi, CEO e co-founder di Fiscozen. Per una generazione che considera autonomia e flessibilità valori essenziali, lavorare con la partita Iva è una scelta naturale: renderla più sostenibile permetterebbe di valorizzare appieno questa opportunità”.