Chi lavora di notte si infortuna meno: lo svela l’Inail

L'indagine della Consulenza statistico attuariale dell'Inail evidenzia che chi lavora di notte ha meno probabilità di subire un infortunio. Numeri e motivazioni del fenomeno

Foto di Claudio Garau

Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Gli infortuni sul lavoro rappresentano il maggior pericolo per la salute di chi giornalmente si reca in ufficio, in fabbrica o in altro luogo, per lo svolgimento delle mansioni di cui al suo contratto. Come spiega il sito web ufficiale del Ministero del Lavoro, essi sono costituiti da lesioni subite per causa violenta, durante l’attività per cui si è stati assunti e con riflessi sulla capacità lavorativa.

Potrebbe sorprendere ma un recente studio Inail smentisce una convinzione comune, quella per cui gli infortuni sul lavoro avrebbero maggior probabilità di verificarsi nelle ore notturne, per ragioni come la scarsa visibilità o l’attenzione ridotta rispetto alle ore diurne. Così non è. Di seguito esporremo i principali dati dell’indagine e, soprattutto, indicheremo i motivi – individuati da Inail – per cui lavorare di notte implica un minor rischio di farsi male durante lo svolgimento delle mansioni. Ecco cosa sapere.

Lavoratori notturni e percentuali di infortunio: lo studio Inail

Per inquadrare il contesto di riferimento, ricordiamo che lo studio considera il nesso causale tra il lavoro e il verificarsi del rischio da cui può scaturire l’infortunio (da tener ben distinto dalla malattia professionale). Il rischio è quello specifico, ossia quello legato alla ragione stessa dell’attività. E, oltre a quanto previsto dalla disciplina contrattuale collettiva, è considerato lavoratore notturno chi svolge nel periodo notturno almeno tre ore del tempo giornaliero di lavoro per un minimo di 80 giorni l’anno.

Come accennato in apertura, è sul web un interessante e aggiornato studio sul lavoro notturno, realizzato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Inail. Il documento analizza la normativa odierna, i lavoratori occupati e in particolare gli infortuni ricorrenti e gli indici di rischio ricadenti su chi non è impegnato a lavorare, secondo gli orari più comuni.

Con una dettagliata panoramica della normativa di riferimento, nello studio sono esaminate le denunce (inclusi gli eventi letali) e i casi definiti positivamente del quinquennio 2018-2022, con aggiornamento al 31 ottobre dello scorso anno.

Nel testo del documento Inail si può in particolare leggere che:

Nel 2022, gli infortuni sul lavoro denunciati complessivamente all’Inail, al netto dei casi inerenti gli studenti di scuole di ogni ordine e grado, sono stati 640.251, di questi 18.054 sono occorsi tra la mezzanotte e le 6. Gli infortuni in orario notturno rappresentano una quota molto contenuta, il 2,8% nel 2022, quota che si è mantenuta abbastanza stabile nel quinquennio 2018-2022, a meno del calo osservato nell’anno della pandemia.

Nel 2020 infatti la percentuale degli infortuni nel lavoro notturno era calata al 2,5%, contro valori pari a 2,8 e 2,9 nelle altre annate considerate.

Infortuni in itinere notturni, uso di mezzi di trasporto, menomazioni e decessi

Gli infortuni in orario notturno avvengono per oltre i tre quarti in occasione di lavoro (76,9%, media dei cinque anni), il resto in itinere (23,1%). Spiccano le differenze per genere: più elevata è infatti la quota di infortuni in itinere per le lavoratrici (27,7% contro 21,4% degli uomini).

Se si considera il differente dettaglio dell’uso o dell’esclusione dello strumento di trasporto, notiamo altresì una quota maggiore quando vi è il concorso di un mezzo di questo tipo. Più alte ancora le differenze per i casi mortali. Gli infortuni notturni con uso di mezzo di trasporto costituiscono, nel quinquennio oggetto di analisi, il 21% delle denunce e ben il 60% dei casi letali. Le identiche percentuali riferite a tutti gli infortuni (diurni e notturni) sono più basse e uguali al 14% e al 36%. Pertanto, l’uso del mezzo di trasporto per lavorare o per tornare / andare al lavoro appare particolarmente pericoloso nei casi più gravi che conducono alla morte.

Per i lavoratori notturni nel quinquennio considerato, il livello di menomazione dell’integrità psicofisica conseguente all’infortunio si attesta, nel 98% dei casi, entro le prime 3 classi di gravità. In particolare:

  • l’82% non ha presentato menomazioni costanti nel tempo;
  • il 9,7% un danno biologico di lieve entità (grado 1-5) inquadrabile nella sfera delle lesioni micro-permanenti (che determinano bassi mutamenti nella condotta di vita del danneggiato);
  • il 6,3% un danno biologico di modesta entità (grado 6-15) da produrre una sicura compromissione peggiorativa dell’esistenza del lavoratore.

Sempre nel 2022 i decessi complessivi sono stati 1.243, di cui 96 avvenuti in orario notturno. Più elevata l’incidenza per i casi mortali: il 7,7% nel 2022, la più alta nel quinquennio, a fronte di un dato medio del 5,5% che è quasi doppio rispetto a quello osservato sugli infortuni in complesso.

Le ragioni del minor rischio

Lo studio dell’Inail – vero e proprio presidio per i lavoratori al pari dell’Ispettorato del lavoro – spiega perché chi lavora di notte, ha minor probabilità di essere vittima di infortunio. Nel testo di trova infatti scritto che molte lavorazioni ad elevata pericolosità, non concorrono alla determinazione del rischio infortunistico notturno perché svolte quasi solo in orario diurno. Basti pensare alle attività nel settore delle costruzioni (per le quali solo l’1% dei lavoratori svolge orario notturno) o ad alcuni comparti dell’industria manifatturiera.

Invece, nelle attività del terziario – ossia il settore in cui si producono o forniscono servizi – hanno più spazio i lavori notturni. Pensiamo ad es. alla vigilanza, alla ristorazione, alla pulizia di uffici e strutture varie o alla stampa di quotidiani, vale a dire mansioni per loro natura caratterizzate da una maggior ‘flessibilità oraria’ e da una rischiosità più bassa di quella delle attività a carattere industriale.

Conclusioni

Tramite la descrizione e l’analisi di più variabili, lo studio Inail ha presentato un esauriente quadro del fenomeno infortunistico in riferimento al lavoro notturno, facendo emergere il dato di fondo per cui – per i lavoratori notturni – le probabilità di incappare in un infortunio sono più basse rispetto a quelle che ricadono su coloro che compiono la propria attività professionale durante il giorno.

L’incidenza infortunistica annua, relativa al 2022 (ultimo anno del quinquennio considerato nell’analisi), ottenuta come rapporto tra le denunce di infortunio sul lavoro e gli occupati, produce due indicatori pari rispettivamente a 27,7 per mille per il complesso delle denunce e 7,0 per mille per i soli lavoratori notturni. Si riconferma dunque quanto già indicato in una precedente pubblicazione Inail del 2011, ossia un rischio più elevato per il complesso dei lavoratori rispetto ai soli notturni, conservandosi ancora valide ed attuali le motivazioni fornite allora.