Il nucleo speciale di Carlo Alberto Dalla Chiesa: la nascita dell’antiterrorismo moderno

La rivoluzione portata da Carlo Alberto Dalla Chiesa si riassume nel suo nucleo speciale. La turbolenta nascita dell'antiterrorismo come lo conosciamo oggi

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso dalla mafia il 3 settembre 1982 a Palermo, ha rivoluzionato come pochissimi altri il modo di condurre indagini e operazioni contro la criminalità organizzata in Italia. E lo ha fatto nei cosiddetti Anni di Piombo, i Settanta, in cui il terrorismo e la lotta armata delle frange più estremiste ha tenuto in scacco cittadini e istituzioni, con esiti spesso tragici (qui abbiamo parlato del caso Moro).

Oltre ad aver dato il nome a un metodo efficace di lotta alla mafia (del quale abbiamo parlato qui), l’ex prefetto ha dunque lasciato la sua profonda impronta anche nel campo dell’antiterrorismo. E lo ha fatto inaugurando un “nuovo corso”, che ancora oggi trova applicazione e concorre alle operazioni delle forze dell’ordine.

Il Nucleo Speciale Antiterrorismo

Gli uomini guidati da Dalla Chiesa hanno combattuto e vinto la guerra dello Stato contro le Brigate Rosse. Un’impresa titanica, destinata a finire nei libri di storia e resa possibile da un’intuizione del generale: dare vita a una squadra “esterna”, che agisse fuori dai ranghi – e a volte di fatto “oltre la legge” – e si confondesse con gli ambienti criminali.

Il 22 maggio 1974 nasce, a questo scopo, il Nucleo Speciale Antiterrorismo. Una creatura inizialmente non vista di buon occhio dal Comando dell’Arma dei carabinieri. All’epoca Dalla Chiesa era comandante della Brigata di Torino, quella che ha giurisdizione su Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. La sua idea per schiacciare le BR ripercorre i passi del metodo Dalla Chiesa utilizzato in Sicilia contro la mafia: un reparto speciale, autonomo e non assoggettato ai Comandi, formato da investigatori esperti della materia eversiva in cui si sarebbero calati fino alla cima dei capelli.

Nonostante le resistenze delle alte sfere gerarchiche militari, il progetto del generale piace all’allora ministro degli Interni Paolo Emilio Taviani. I successi conseguiti dal Nucleo Speciale attirano su Dalla Chiesa vibranti critiche per i suoi “metodi”. Molti, tra cui diversi politici, gridano allo “scandalo” e invocano lo stato di diritto. La replica del generale è lapidaria: “Gli infiltrati esistono dai tempi dei Babilonesi”.

In cosa consiste il nuovo antiterrorismo di Dalla Chiesa

Nel settembre dello stesso anno i militari di Dalla Chiesa arrestano a Pinerolo due leader delle BR, Renato Curcio e Alberto Franceschini. Alla stampa il generale dà una versione “addolcita” di come è stata condotta l’operazione, nascondendo i particolari più spigolosi e innovativi. Come ad esempio il coinvolgimento di un “infiltrato” tra i terroristi: Silvano Girotto, ex legionario ed ex frate francescano che ha vissuto in Sudamerica con i guerriglieri boliviani, dall’eloquente soprannome di Frate Mitra.

Un tipo insospettabile insomma, che i brigatisti non avrebbero mai associato alle forze dell’ordine. Carlo Alberto Dalla Chiesa lo istruisce al meglio e Girotto conquista in breve tempo la fiducia dei terroristi. Fino al trionfo del blitz: Frate Mitra consegna Curcio e Franceschini ai carabinieri e sferra un colpo letale alle Brigate Rosse. La successiva evasione di Curcio e la sua uccisione assieme a quella di un militare fanno ripiombare nella bufera i “metodi di Dalla Chiesa”.

Il solco del nuovo antiterrorismo è stato può tracciato. Un altro collaboratore – “esterno” al Comando ma “interno” agli ambienti criminali, come nei film polizieschi con Tomas Milian – è stato Pasquale Vitagliano, detto “Trucido”, secondo il quale “coi sistemi di Dalla Chiesa avremmo potuto radere al suolo le BR già nel 1975”. Sistemi che però esigevano grande sacrificio da parte degli infiltrati. “Eravamo brutti e trasandati” racconta il “Trucido” nel libro di Fabiola Paterniti intitolato “Tutti gli uomini del generale”. “Avevamo i capelli lunghi, i jeans, le scarpe da ginnastica. Non potevamo avere una fidanzata perché non potevamo dire nulla della nostra vita. Mia mamma telefonava spesso in caserma per avere mie notizie, ma non potevano dirle niente. E capitava, quando andavo a trovarla, che qualcuno vedendomi facesse dell’ironia: ma quale carabiniere”.