Boom di cibi italiani contraffatti: ecco dove e quanto valgono

Il falso Made in Italy produce danni inestimabili al nostro comparto enogastronomico: la lista con tutti i prodotti taroccati in queste aree del mondo

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Federico Casanova

Giornalista politico-economico

Giornalista professionista specializzato in tematiche politiche, economiche e di cronaca giudiziaria. Organizza eventi, presentazioni e rassegne di incontri in tutta Italia.

Se c’è un tema su cui noi italiani non accettiamo di prendere lezioni, quello è sicuramente l’ambito enogastronomico. Non solo perché intere generazioni di famiglie impegnate ai fornelli hanno costruito una vera e propria cultura del cibo, divenuta un tratto distintivo della nostra identità nazionale (per dirla con un’espressione assai cara al governo di centrodestra); ma anche perché – specialmente negli ultimi anni – il primato mondiale della cucina italiana è stato riconosciuto decine di volte da parte di svariati enti internazionali.

Saranno le 10.654 ricette di origine italiana censite ufficialmente dalla Fao (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’agricoltura e l’alimentazione), o forse i 22.159 ristoranti riconosciuti in cui poter gustare i piatti tipici della tradizione locale, sta di fatto che la dieta Mediterranea e le sue infinite declinazioni regionali vengono imitate ogni giorno in tutto il mondo (con risultati più o meno apprezzabili). Il problema è che molto spesso le nostre eccellenze non solo vengono “prese a prestito”, ma diventano oggetto di subdola imitazione, se non di vera e propria contraffazione illecita.

Quanto vale la contraffazione alimentare: per l’Italia un danno da decine di miliardi di euro

In un periodo in cui tutte le certezze storiche e culturali – che ormai da tempo in Occidente venivano date per acquisite – diventano oggetto di critica; se financo il Financial Times decide che l’origine del Parmigiano Reggiano debba identificarsi nel Wisconsin, e non più nella Food Valley emiliano romagnola; allora è certo che la tendenza ad accaparrarsi il patrocinio degli alimenti del Belpaese non possa che aumentare a dismisura, finendo per creare centinaia di camuffamenti in giro per il mondo.

La questione è molto più seria di quello che potrebbe sembrare. In ballo ci sono le autenticità di un comparto che rappresenta una fetta importantissima del nostro valore economico, sia per quanto riguarda l’export delle produzioni, sia per l’attrattività che ogni anno spinge milioni di turisti a venire nel nostro Paese per gustare e assaporare le prelibatezze italiche. Prendendo in rassegna solo gli ultimi dodici mesi, parliamo di un contributo al Pil nazionale che viene stimato attorno ai 63 miliardi di euro.

Quali sono gli alimenti italiani più taroccati e dove vengono venduti

Passando dalle considerazioni all’analisi dei dati concreti, l’ultimo report stilato da Coldiretti mostra come nel solo 2022 la contraffazione alimentare dei prodotti nostrani abbia arrecato all’Italia un danno stimabile in 120 miliardi di euro. Il falso Made in Italy non risparmia nessuno dei nostri punti di forza: in testa alla classifica delle specialità copiate ci sono i formaggi, con il Grana Padano, il Gorgonzola, il Pecorino, l’Asiago e la Fontina che si aggiungono al già citato Parmigiano Reggiano (con la variante del Parmesan che circola in maniera impressionante a tutte le latitudini, con un conseguente danno d’immagine di proporzioni inestimabili).

Tra gli orrori che proliferano sulle tavole straniere non poteva mancare il vino, che tra il bianco e il rosso si colloca al secondo posto nella spiacevole graduatoria dei prodotti italiani taroccati. All’ultimo gradino del podio ci sono gli insaccati (in particolare il salame, il prosciutto San Daniele e il prosciutto di Parma).

Secondo l’ultimo monitoraggio dei nostri servizi segreti, il fenomeno denominato Italian sounding (che significa spacciare per italiano ciò che non lo è) viene praticato specialmente in alcune aree specifiche: in testa c’è la Russia, da sempre terra di imitazioni illecite in questo ambito, seguita a ruota dalla Cina. Ma questa becera tendenza non coinvolge solamente altri Stati lontani come la Corea del Nord e Taiwan: nell’elenco compaiono anche la vicina Turchia e diversi Paesi dei Balcani (dove è diventato un caso quello del Prosec, la variante locale del nostro Prosecco che però, secondo gli esperti, nulla ha da spartire con le bollicine tipiche dell’alto Veneto).