Dare un bonus ai dipendenti che raccomandano questo o quel lavoratore è davvero possibile? Oppure ci sono rischi di violazione di una qualche norma di diritto del lavoro, tali da condurre anche a una eventuale disputa giudiziaria? Si tratta di domande che hanno ragion d’essere, se pensiamo alle polemiche che ha suscitato l’iniziativa adottata da Leonardo S.p.A., uno dei fiori all’occhiello del made in Italy.
A seguito del premio sono sorte varie critiche negli ambienti dei sindacati – Cgil in testa – e c’è quindi chi potrebbe pensare ad un’iniziativa non degna di encomio dal punto di vista etico. Ma è davvero così? Di seguito faremo chiarezza in proposito, ricordando in sintesi il caso in oggetto – visto anche il rilievo di Leonardo nel panorama imprenditoriale italiano. Ma spiegheremo inoltre se tale bonus è legale e, se sì, entro che condizioni. Ecco cosa sapere.
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La vicenda in breve
Prima di andare a chiarire se, e a quali condizioni, è legale la pratica di avvalersi dei dipendenti per trovare nuovo personale – e pagarli per il servizio reso – richiamiamo in sintesi cosa è successo. Leonardo, gruppo industriale internazionale attivo nei settori aerospazio, difesa e sicurezza, è balzato nuovamente agli onori delle cronache per la fresca iniziativa che prevede una sorta di premio o bonus in busta paga ai lavoratori che – oltre ad impegnarsi nelle loro mansioni – procacciano o segnalano nuovi talenti, ovvero conoscenti, amici e figure appartenenti al loro ‘network’.
In particolare si tratta di un caso di employee referral e le parole ne suggeriscono l’origine statunitense. L’azienda può trarre vantaggio dall’opinione dei propri dipendenti, i quali già conoscono le competenze richieste e le caratteristiche desiderate per i nuovi assunti. Se ad esempio un’azienda sta cercando un nuovo programmatore, il team IT saprà esattamente quali skills devono essere rafforzate e quali lo renderebbero più completo.
Nella vicenda che qui interessa, 1.500 euro è la somma massima che Leonardo assegnerà come compenso in busta paga insieme ai normali stipendi, quasi a voler rivelare – implicitamente – le difficoltà che il grande gruppo riscontra nel trovare candidati qualificati, preparati e idonei a rivestire ruoli tecnico-specialistici.
Vero è che la notevole crescita del comparto aerospaziale sembra aver messo in crisi la capacità di reperire profili di alto livello. Ecco perché Leonardo mira ad aumentare la sua forza lavoro – con migliaia di nuovi inserimenti da qui al 2028 – velocizzando gli iter di assunzione grazie a bonus in busta paga ad hoc ai dipendenti “talent scout”. Il bonus – precisa il Gruppo – sarà assegnato però soltanto in caso di candidatura che giunga alla firma di un contratto a tempo indeterminato.
Ai sindacati però la mossa in oggetto non è piaciuta affatto, essendo stata bollata come inopportuna sul piano delle relazioni industriali e tale da allontanare queste ultime dalla logica della trattativa sindacale (anche per avere contratti all’altezza dei diritti dei lavoratori), quasi a voler sminuire il ruolo di Cgil e delle altre sigle.
Perché l’employee referral non compare nei contratti collettivi
Di questo programma non si trova traccia in noti Ccnl come ad es. quello del commercio o dei metalmeccanici. Ma la cosa non deve stupire. Semplicemente, si tratta di un argomento che resta nell’orbita delle politiche interne di reclutamento e che, piuttosto, viene disciplinato nelle policy o regolamenti aziendali, con la previsione di premi o bonus in busta paga ad hoc.
Al contempo nella legge italiana non compaiono riferimenti dettagliati a tali iniziative e questo, come detto, per la loro stessa natura di meccanismi che ben di prestano ad essere disciplinati internamente, con regolamenti che stabiliscono le modalità di segnalazione, gli incentivi offerti e le procedure di selezione dei candidati segnalati.
D’altronde i Ccnl trattano di temi di rilevanza generale e di questioni più ampie e fondamentali, come le condizioni di lavoro o le ferie. Mentre i programmi di referral sono considerati più un argomento facoltativo e una questione di policy aziendale che una materia da regolamentare “dall’alto”. Non solo. Una eventuale disciplina nei Ccnl potrebbe limitare la flessibilità e autonomia che caratterizza e differenzia l’iter di reclutamento da un’azienda all’altra.
Ma proprio l’assenza nei contratti collettivi a contribuito ad accendere le proteste dei sindacati, verso una pratica – almeno a loro dire – non indenne da valutazioni etiche e in grado di bypassare, in qualche modo, il ruolo delle parti sociali.
Legalità del programma di segnalazione dei dipendenti
Veniamo alla domanda iniziale. In Italia il citato employee referral è – in linea generale – da ritenersi legale, ma con alcune precisazioni importanti. Tale pratica di reclutamento deve infatti ispirarsi pur sempre ai principi di trasparenza, inclusività e non discriminazione, che sono alla base delle normative del diritto del lavoro.
Ma che significa in concreto? Ebbene tale selezione tramite dipendenti nella veste di “talent scout”, deve avvenire:
- in conformità alla disciplina della privacy e sul consenso al trattamento dei dati personali (GDPR e Codice Privacy). In sostanza chi segnala un candidato deve avere il consenso di quest’ultimo prima di condividere le sue informazioni con l’azienda;
- secondo regole di trasparenza e non discriminazione che pongano, sulla carta, tutti nelle stesse condizioni iniziali. In altre parole, le offerte di lavoro debbono – o dovrebbero essere – comunque pubbliche, consentendo anche ai “non segnalati” di potersi candidare e partecipare alla selezione;
- rispettando un principio di pari opportunità, per cui a fare la differenza non dovrà essere l’origine della segnalazione del candidato, ma effettive capacità emerse in quest’ultimo durante l’iter di selezione.
In apertura abbiamo accennato alle considerazioni di natura etica riguardanti l’employee referral e, in effetti, tale sistema di selezione di candidati deve – o dovrebbe – essere sempre utilizzato, senza favoritismi personali o scambi di favori o altre forme di accordi “sottobanco”.
Ricapitolando, il programma in oggetto – come il correlato bonus – non sono contrari alla legge, ma anzi sono in grado di favorire le aziende – costituendo peraltro un’espressione pratica dell’esercizio della libera iniziativa economica privata di cui all’art 41 della Costituzione.
Attenzione però: le aziende che lo attiveranno dovranno sempre e comunque rispettare le normative di legge e assicurare che il processo rimanga trasparente, non discriminatorio e inclusivo. Ciò eviterà rischi di possibili dispute giudiziarie.
In sostanza, se sarà il candidato a fare la differenza nei vari test, colloqui e valutazioni a cui sarà sottoposto, tutti sulla carta debbono – o dovrebbero – partire alla pari all’inizio della selezione.