In una società i cui ritmi spiccano sempre più per velocità, negli ambienti di lavoro non è affatto raro imbattersi in situazioni che contrastano con il diritto alla salute e al recupero delle energie psicofisiche. Pensiamo ad esempio a luoghi come gli ospedali, in cui frequentemente le unità che compongono il personale sanitario non sono in numero sufficiente a garantire servizi sempre puntuali e rapidi.
Recentemente un caso di superlavoro ha destato un certo clamore, anche e soprattutto per la cifra di risarcimento ottenuta dalla vittima, un medico che aveva patito un fortissimo stato di stress per l’eccessivo numero di ore di attività. A pagare ben 100mila euro è stata l’Asl partenopea, all’esito di un procedimento giudiziario che ha dato ragione all’ortopedico che aveva fatto un numero spropositato di ore di straordinario.
Vediamo insieme, in sintesi, i contenuti della vicenda e della decisione della Corte d’appello, cogliendo anche l’occasione per evidenziare quali sono i rimedi per i danni da troppo lavoro.
Indice
La vicenda
Come accennato, all’origine della disputa giudiziaria c’è un rapporto di lavoro caratterizzato da un orario molto maggiore rispetto a quello contrattualizzato. Il medico – vittima di stress sfociato poi nel cosiddetto burnout – ha lavorato ‘oltre i limiti’ per ben quindici anni, patendone poi le conseguenze sul piano della propria salute.
Dopo diverse esperienze lavorative, dal 2008 l’uomo aveva iniziato ad operare nel del reparto di ortopedia e traumatologia dell’Asl di Napoli 3 Sud. Agli organi di informazione, a cui la vicenda è stata dettagliata negli ultimi giorni, i legali del dottore hanno spiegato che l’ambiente lavorativo della struttura era caratterizzato da grave carenza di personale.
Proprio questo aspetto ha esposto il medico a richieste sempre più rigide da parte della dirigenza, la quale desiderava un suo sempre maggiore impiego ben oltre l’ordinario orario di lavoro pari a 48 ore settimanali. Egli non ha potuto sostanzialmente sottrarsi, a meno di voler lasciare totalmente scoperto il reparto con evidenti rischi sul fronte sanitario. Il lavoratore ha però finito per pagare con la propria salute.
In primo grado il tribunale aveva respinto la richiesta di risarcimento del medico, ma la pronuncia è stata poi ribaltata in appello.
La violazione delle norme sul riposo dei lavoratori
L’eccessivo orario di lavoro – come evidenziato dalla la Corte d’appello di Napoli nella sua pronuncia – non ha consentito all’ortopedico di sfruttare un periodo minimo di riposo giornaliero pari a 11 ore consecutive, così come previsto dalle norme UE e dalla legge e come indicato anche sul sito web del Ministero del Lavoro. Anzi il medico si è trovato suo malgrado a svolgere lavoro notturno per più delle 8 ore giornaliere permesse. Mentre, come detto, il suo orario di lavoro normale era pari a 48 ore settimanali.
In particolare, la Corte di Giustizia europea ha più volte ricordato che è l’art. 3 della direttiva 2003/88 ad assegnare a ogni dipendente, nel corso di ogni periodo di 24 ore, un periodo minimo di riposo pari a 11 ore consecutive. Inoltre, l’art. 5 fissa il diritto, per ogni periodo di 7 giorni, a un periodo minimo di riposo ininterrotto di 24 ore.
E non si può dimenticare che la Costituzione italiana, all’art. 36, tutela il diritto al rispetto dell’orario di lavoro. Pertanto l’usura psicofisica derivante dalla mancata fruizione del riposo deve essere risarcita – così come sostenuto dai legali del medico – in quanto il riposo costituisce di per sé un primario bene giuridico da proteggere.
Lo stress fisico e mentale
Pur incassando uno straordinario che aumentava il compenso, il medico ha iniziato a patire un grave stress che, nel corso del tempo, ha pregiudicato la sua salute fisica e mentale. Per questo i suoi avvocati hanno richiesto un maxi risarcimento danni, poi riconosciuto dai giudici del secondo grado.
Secondo la Corte d’appello di Napoli, infatti, non può essere infatti il medico a fare le spese delle inefficienze organizzative di una struttura ospedaliera, perché – spiegano i giudici – non sono comunque ammesse deroghe alle regole sui riposi:
quando le condizioni di criticità derivino dalla errata gestione del personale o dalla carenza di personale creata dall’errata programmazione dei fabbisogni da parte dello Stato.
Da rimarcare che da diversi anni l’UE ha varato una disciplina in tema di orario di lavoro finalizzata a garantire al dipendente le condizioni minime necessarie, affinché ne sia protetto il diritto alla salute. Il punto è che, dopo aver recepito le indicazioni comunitarie nei confronti di tutti i lavoratori, l’Italia l’ha illegittimamente esclusa per il personale medico, con una legge del 2008.
Soltanto a seguito di una procedura di infrazione intrapresa dalla Commissione UE, il nostro paese ha poi provveduto ad adeguare l’orario di lavoro dei medici alle regole comunitarie. Tuttavia continuano evidentemente ad esservi ‘zone grigie’ e falle nel sistema.
Che cosa cambia
La pronuncia in oggetto – pur andando a trattare temi già ben noti come il danno da stress sul lavoro e la forte carenza di personale sanitario nelle strutture ospedaliere e al pronto soccorso (cui si abbina il problema di un’asserita mancanza di risorse) – riconoscendo un cospicuo risarcimento apre lo spiraglio di un fruttuoso ricorso a tutti i medici italiani, di certo non pochi, che si trovano nella stessa situazione di sovraccarico sul fronte lavorativo.
Altro aspetto molto interessante è che il risarcimento può e deve essere corrisposto con efficacia retroattiva, come nel caso di questo medico che per ben 15 anni ha lavorato in condizioni pregiudizievoli per la propria salute psico-fisica.
In sostanza non può essere il singolo medico, dunque, a risolvere il problema degli ospedali che hanno carenze di personale ed anzi quest’ultimo – se esposto a richieste che minano il suo diritto al riposo – avrà tutto il diritto di agire in tribunale ed ottenere il risarcimento per danno alla salute. Entro fine anno la Asl condannata al risarcimento valuterà se ricorrere in Cassazione o se rassegnarsi alle conclusioni del giudice del secondo grado.