Il rinnovo del contratto dei metalmeccanici vede il braccio di ferro tra sindacati e Federmeccanica. Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Uilm-Uil insistono su richieste precise, tra cui l’aumento salariale di 280 euro lordi e la riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali senza tagli alla retribuzione. I sindacati chiedono uno sforzo alla controparte che tuteli il potere d’acquisto dei lavoratori, eroso dall’inflazione.
Federmeccanica e Assistal, di contro, considerano irrealistiche tali rivendicazioni e rilanciano con una controproposta legata a inflazione, welfare e premi di risultato.
Contratto scaduto
Il contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici è scaduto il 30 giugno 2024. Da una parte i lavoratori, rappresentati dai sindacati, mirano alla redistribuzione della ricchezza prodotta dalle aziende, mentre i datori di lavoro puntano a preservare la competitività in un contesto incerto.
Oltre agli aumenti e al ritocco all’orario di lavoro, le sigle invocano una serie di altri interventi, fra i quali limiti stringenti all’utilizzo dei contratti temporanei per porre un argine al lavoro precario e l’accettazione delle proposte di welfare aziendale solo come aggiunta (e non come sostituzione) agli aumenti retributivi.
Gli industriali lasciano cadere nel vuoto le proposte, ribattendo che la loro realizzazione non sarebbe realistica nell’attuale contesto economico flagellato dalla crisi. Il 2025 “sarà un anno difficilissimo”, prevede il direttore generale di Federmeccanica Stefano Franchi, dialogando con Adnkronos. “Ogni trimestre è sempre peggio”, aggiunge.
La controproposta di Federmeccanica
Federmeccanica mette sul piatto una controproposta articolata su tre punti chiave:
- l’adeguamento dei minimi tabellari all’inflazione;
- un’ulteriore redistribuzione laddove si generano adeguati profitti e non ci siano già premi di risultato. Nello specifico, Federmeccanica propone premi fino a 700 euro lordi annuali legati alla performance aziendale;
- misure di welfare come la tutela della non autosufficienza a vita e incentivi per flexible benefits e il miglioramento dell’assistenza sanitaria integrativa per le fasce più deboli, fino al rafforzamento della previdenza complementare per tutti e in particolare per giovani e donne.
Federmeccanica ricorda inoltre come le retribuzioni del comparto hanno avuto negli anni un tasso di crescita superiore del 40% al complesso dell’industria.
Il nodo dei salari
I sindacati respingono le offerte, evidenziando fra le altre cose come “la curva dei profitti delle imprese è cresciuta”, come ha fatto presente il segretario generale della Fiom, Michele De Palma. Esibendo i dati di uno studio sull’andamento del settore, le sigle evidenziano come l’utile per le aziende metalmeccaniche sia stato pari a oltre 30 miliardi, mentre il costo del personale è andato assottigliandosi negli anni passando dal 65% del 2019 al 58% del 2023). I salari, nel frattempo, sono sì aumentati, ma “per effetto del sistema previsto nel ccnl che loro vogliono mettere in discussione”.
“Le aziende non rischiano di chiudere per il costo del lavoro, ma per mancanza di investimenti,” denuncia De Palma.
L’ombra dello sciopero
I sindacati, che hanno già dato vita ad agitazioni, annunciano altre otto ore di sciopero entro il 15 gennaio, mentre si teme un’escalation delle proteste in caso non si riesca a superare il muro contro muro.
Ma sul settore pesano anche le incertezze per la questione Stellantis, con la serie di stop alla produzione in vari stabilimenti e lo spettro della cassa integrazione.